Prevenire il burnout lavorativo con il modello Iglo, la guida dell’Inail

Una recente analisi degli uffici Inail approfondisce il fenomeno del burnout indicando i migliori strumenti di prevenzione

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

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Come spiegano varie ricerche e studi – tra le altre anche quella del Censis di quest’anno – il burnout o sindrome da esaurimento professionale è un fenomeno in crescita. Può colpire lavoratori di qualsiasi settore, non solo chi svolge professioni di intenso contatto umano e coinvolgimento emotivo, come medici, infermieri o insegnanti. La sua diffusione è aumentata anche in relazione alle nuove modalità di lavoro, allo smart working e all’uso continuo e quotidiano delle tecnologie.

Chi soffre di burnout, non soltanto vede peggiorare la qualità della performance in ufficio, ma mette a rischio il proprio equilibrio psico-fisico, perché da questa forma di esaurimento legata al lavoro possono scaturire gravi problemi di salute. Lo ha recentemente chiarito il Dipartimento di medicina, epidemiologia, igiene del lavoro e ambientale dell’Inail, pubblicando sul suo sito web uno studio intitolato Il burnout: un fenomeno occupazionale. L’analisi ricorda anche le migliori strategie di prevenzione, tra tutte il modello Iglo.

La definizione di burnout e i suoi segni distintivi secondo Inail

Tutte le aziende e i lavoratori devono tener ben presente che il burnout non è solo un mero stato dell’umore o una scusa per lavorare di meno o con minor produttività. Nel 2019 l’Organizzazione mondiale della sanità ha inserito questo disturbo di salute nella classificazione internazionale delle malattie, definendolo come:

sindrome derivante da stress cronico sul posto di lavoro che non è stato gestito con successo.

Per Inail sono tre gli aspetti chiave che lo caratterizzano:

  • esaurimento, vale a dire una forte stanchezza fisica ed emotiva, che non passa nemmeno con il riposo;
  • disaffezione lavorativa, ossia atteggiamenti cinici o distaccati verso il lavoro e le persone con cui si interagisce, spesso come forma di difesa dallo stress;
  • inefficacia personale, con essa intendendosi la sensazione di non riuscire più a raggiungere buoni risultati, con conseguente perdita di fiducia nelle proprie capacità.

Le conseguenze negative per le imprese

Addirittura 1 lavoratore su 4 soffrirebbe di burnout in ufficio. Le ripercussioni del problema non riguardano esclusivamente la salute, ma si riflettono anche sull’azienda. Non ci sono soltanto i disturbi fisici, come i problemi gastrointestinali, oppure quelli psicologici, come l’ansia, la depressione o l’insonnia. La ridotta concentrazione, l’aumento dell’assenteismo e il calo della produttività vanno a impattare sul profitto aziendale in modo significativo.

Pensiamo ad esempio all’impiegato che lavora molte ore al giorno e salta pause e ferie, comincia a commettere errori frequenti nelle pratiche amministrative, aumentando tempi di lavoro e rischi di conflitti con colleghi e clienti.

Oppure pensiamo a un team di progetto con rapporti difficili tra supervisore e collaboratori, che nota un aumento dell’assenteismo e un calo della motivazione: i dipendenti iniziano a distaccarsi emotivamente dal lavoro, con ripercussioni sulla qualità dei risultati.

Senza dimenticare poi il burnout tra gli insegnanti e in generale nell’ambiente scolastico, diffusissimo secondo i più recenti dati disponibili, oppure gli ambienti sanitari. Non è un caso che ci sia un vero allarme di stress da lavoro tra gli oncologi. In entrambi i casi le performance professionali possono avere conseguenze importanti sull’educazione e la salute di studenti e pazienti.

Ignorare il burnout, specialmente se va a colpire una pluralità di dipendenti del proprio ufficio, significa correre il rischio di compromettere il loro benessere, come pure la performance complessiva di un’organizzazione e la soddisfazione di clienti o utenti.

Le cause lavorative del burnout

Il burnout non nasce per caso. Infatti, rimarca Inail, alla sua base ci sono fattori legati sia all’organizzazione del lavoro, sia al modo in cui il singolo affronta lo stress. Tra i principali elementi di rischio troviamo il sovraccarico di lavoro, con richieste eccessive e continue che stressano fisicamente ed emotivamente il dipendente e lo portano ad andare fuori giri.

C’è poi il problema della leadership inadeguata, imputabile a dirigenti che non supportano adeguatamente i lavoratori o non comunicano con loro con chiarezza e rispetto. A contribuire al problema di salute troviamo anche scarsa autonomia e eccessivo controllo sul lavoro, che impediscono di poter dare un proprio contributo, anche minimo, alle decisioni aziendali.

Altro fattore scatenante e diffusissimo negli uffici è rappresentato dai conflitti e dalle relazioni difficili con colleghi e supervisori, dovute ad esempio a incompatibilità caratteriali oppure a istruzioni poco chiare, mancanza di supporto reciproco o stili di gestione autoritari, che generano tensioni e stress costante.

Anche la variabile tempo gioca un ruolo non secondario. Infatti, gli orari di lavoro prolungati, irregolari o con molti straordinari, come pure i turni, la reperibilità notturna e le difficoltà nel conciliare vita privata e lavoro costituiscono un mix che alla lunga può danneggiare sensibilmente l’equilibrio psicofisico individuale.

Il modello Iglo per prevenire il burnout

La buona notizia è che il burnout si può prevenire. D’altronde, la legge italiana (d. lgs. 81/2008) non si limita a consigliare, ma obbliga aziende e datori a valutare i rischi psicosociali e a inserire e applicare strategie di prevenzione, che si articolano su tre livelli:

  • prevenzione primaria con interventi che agiscono direttamente sulle cause organizzative dello stress, andando a distribuire i carichi di lavoro in modo più equilibrato oppure a migliorare le relazioni interne, sviluppando una leadership efficace e favorendo un ambiente di lavoro collaborativo e rispettoso;
  • prevenzione secondaria con azioni rivolte a chi comincia a manifestare i primi sintomi di stress, con formazione, supporto psicologico e sviluppo di strategie di gestione del problema;
  • prevenzione terziaria con interventi per i lavoratori già in condizioni di burnout conclamato, con percorsi di cura, riabilitazione e recupero del benessere psicofisico.

Inail sottolinea che un approccio efficace deve essere sempre integrato e multidisciplinare, coinvolgendo distinti livelli: il singolo, il gruppo, la leadership e l’intera organizzazione. È il cosiddetto modello Iglo (dalle iniziali delle parole di ciascuno dei quattro livelli), di cui l’istituto spiega in sintesi le possibili applicazioni pratiche:

  • per l’individuo, l’introduzione di un supporto psicologico per recuperare equilibrio ed efficacia professionale;
  • per il gruppo, la creazione di gruppi di autoaiuto e momenti di confronto per gestire conflitti;
  • per la leadership, la previsione di una specifica formazione dei manager su ascolto attivo e supporto emotivo;
  • per l’organizzazione, l’inserimento di sportelli di ascolto e di procedure per la gestione di violenza e molestie.

Concludendo, Inail ha così colto l’occasione per ribadire che investire nella prevenzione del burnout, significa prendersi cura delle persone e della produttività aziendale. Anzi, creare ambienti di lavoro sani, sostenibili e attenti alle esigenze dei dipendenti non è solo un obbligo legale. È una strategia vincente per il benessere dei lavoratori e il successo di ogni impresa, a prescindere dal settore di attività, dagli strumenti a disposizione e dal numero e esperienza dei singoli dipendenti.