Human capital, la diversità è un valore: 3 regole che cambieranno il lavoro in azienda

Il Deloitte Annual Divesity, Equity & Inclusion Maturity Index 2023 analizza il livello di inclusività delle aziende italiane. Ecco i trend da seguire

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Il lavoro, oggi, non solo sta cambiando, ma sta vivendo un’autentica rinascita. E se reinterpretato, può diventare più che un semplice processo. Al centro di questa rivoluzione c’è la sperimentazione, assieme all’uomo. Lo evidenzia bene il Deloitte Annual Divesity, Equity & Inclusion Maturity Index 2023, studio condotto da Deloitte in collaborazione con l’Università Europea di Roma che mira ad analizzare il livello di inclusività delle organizzazioni italiane, misurando la loro capacità di creare un contesto rispettoso in cui le diversità vengano accolte e considerate un valore aggiunto.

Lo Human Capital di Deloitte ci dice ad esempio che l’80% delle organizzazioni ha sviluppato almeno un’iniziativa per aumentare la diversità in azienda. Le organizzazioni più attive appartengono al settore Consumer, quelle meno attive invece ai settori Government & Public Services e Energy, Resources & Industrials. Il 40% promuove il rispetto e l’inclusione attraverso percorsi di formazione per team leader in ambienti di lavoro ibridi. Il 34% favorisce la leadership inclusiva attraverso l’attivazione di percorsi di sviluppo ad hoc, come mentoring e coaching.

Ma il report evidenzia anche che solo 1 organizzazione su 4 ha una percentuale di donne in posizioni di leadership superiore al 40%. Tra le iniziative avviate per promuovere la rappresentazione femminile troviamo programmi di formazione sull’empowerment femminile (21%) e di coaching (18%), oltre che di sensibilizzazione sul coinvolgimento femminile nei ruoli STEM (17%).

Il 57% delle organizzazioni supporta poi i lavoratori con disabilità e neurodiversità con azioni ad hoc. Il 74% lavora a iniziative legate alla genitorialità e al caregiving, tra cui la possibilità di lavorare in modo flessibile (48%), il supporto alle madri durante il reinserimento post parto (20%) e l’estensione del congedo di paternità (18%). Purtroppo solo il 16% concede permessi retribuiti per la cura dei figli, fatta eccezione per il settore finanziario che registra un 50%, e l’11% per il caregiving. Soltanto il 2% invece ha stipulato policy legate alla genitorialità affettiva e unioni civili. E ancora, il 52% delle organizzazioni dichiara di tenere conto dei valori Diversity, Equity e Inclusion nello sviluppo e nella scelta di relazioni di business con clienti e fornitori.

L’indagine riguarda tutti i settori per avere una visione d’insieme del panorama economico italiano. “Lo studio mira ad evidenziare i principali trend, mostrare differenze e similitudini tra le industry, mettendo in luce sia le best practice che le aree di miglioramento” spiega a QuiFinanza Mirco Nobile, Human Capital, Leadership, Learning & Talent di Deloitte Consulting, nell’ambito dell’evento “4 Weeks 4 Inclusion” di Tim, 4 settimane di maratona con oltre 300 eventi dedicati alla diversità e all’inclusione, e più specificamente in occasione del webinar “Apprendere in solitudine? La sfida dei learner designer”, promosso da Gruppo Pragma, società della holding Ebano S.p.A., 100% femminile, innovativa e a vocazione totalmente digitale, punto di riferimento nel settore del corporate digital learning, del coaching e del mentoring.

“Tramite il DE&I Maturity Index – prosegue Nobile – Deloitte potrà monitorare l’andamento dei dati nel corso degli anni per comprendere se e come le organizzazioni italiane, appartenenti ai diversi settori, stanno aumentando il proprio livello di inclusione. Sulla base dei trend individuati, sarà possibile suggerire strategie e iniziative per supportare le aziende ad identificare le priorità, colmare eventuali gap e valorizzare tutte le diversità”.

Nobile, qual è lo scenario di fronte a cui ci troviamo oggi, parlando di formazione e sviluppo di competenze in Italia?

Lo scenario del lavoro oggi è cambiato e questo si riflette anche sui modi in cui la formazione e lo sviluppo delle persone stanno evolvendo. Si sta evolvendo la sensibilità delle imprese verso un uso più consapevole delle tecnologie per l’apprendimento. Queste dinamiche sono chiare nel nostro report, che è davvero un’indagine globale sulle direttrici di cambiamento delle organizzazioni. Per dare un numero, il report ha raccolto 10mila rispondenti in 105 Paesi tra tutte le generazioni. Ciò che è evidente è come, fino al secolo scorso, siamo stati governati da una visione meccanicistica del lavoro. Oggi invece le organizzazioni stanno affrontando nuovi paradigmi: da un lato perdono quei tradizionali confini a cui eravamo abituati, fissi e ordinati, che hanno sempre regolamentato il mondo del lavoro. Dall’altro, stanno aumentando la propria voglia di sperimentare. Noi lo chiamiamo il “permesso di sperimentare“, cioè guidare e innovare per definire le caratteristiche fondamentali di workforce e workplace.

Nel report di Deloitte ci sono 3 direttrici, 3 regole del gioco. Cosa dovranno fare sempre di più le aziende e i lavoratori?

La prima regola che le aziende dovranno abbracciare è pensare come fa un ricercatore: è quella spinta a ricercare sempre qualcosa di innovativo, e quindi ad attivare la curiosità, guardando ad ogni decisione come a un esperimento in grado di generare nuove conoscenze e confini. Proprio questo è il fattore abilitante che ci spinge di più ad avere un valore aggiunto. Dovranno, dovremo, sfidare le tradizioni, lavorare con umiltà ed empatia, e imparare a recepire nuove informazioni per poi poterle perfezionare il più rapidamente possibile, anche in un contesto in continuo movimento. Vale per le aziende e anche i lavoratori: sono determinanti per l’employability, sono un po’ la materia prima.

La seconda regola?

La seconda regola del gioco è tracciare un nuovo percorso, co-creando la relazione, che è un punto di vista fondamentale. Le organizzazioni e anche le persone dovranno imparare a navigare insieme in questo nuovo mondo, progettare per creare un nuovo impatto sociale, quindi non solo creare progettazioni per noi stessi ma anche per gli altri. L’adozione di queste nuove fondamenta richiede che organizzazioni e persone abbraccino una nuova mentalità, abbandonando i vecchi schemi e andando verso modalità innovative più fluide, più umane, più centrate su velocità, agilità e continua sperimentazione.

Potremmo dire che si passerà da una forza lavoro preparata per le sfide attuali a una forza lavoro che invece è pronta ad accogliere positivamente le sfide future?

Esattamente. Per preparare, e questa è la terza regola che emerge dal nostro studio, i lavoratori hanno bisogno di fare molta formazione, ma non come veniva vista fino a qualche tempo fa, quando erano le persone che andavano a cercarla. Oggi il cambiamento che vedo è proprio il contrario: sarà sempre di più la formazione che deve cercare le persone. Come lo facciamo? Sicuramente con le nuove tecnologie applicate all’apprendimento.

In Italia in particolare c’è una forte narrazione che sostiene senza sfumature che “la tecnologia sostituirà le persone”. Secondo lei è davvero così?

Fortunatamente questa idea sta iniziando un po’ a svanire. Si sta andando ad affermare sempre di più il concetto che questi due mondi possono coesistere: la tecnologia diventa un fattore abilitante. Ci sono diversi esempi applicativi che mettono in luce come la tecnologia può supportare lo svolgimento delle nostre attività lavorative. Mi viene in mente ad esempio Textie, piattaforma di scrittura basata sull’Intelligenza artificiale che fornisce dati e suggerimenti in real time, migliorando la qualità dei contenuti scritti. Anche l’utilizzo di chatbot è sicuramente una nuova tecnologia che ci aiuta anche a risparmiare tempo.

L’impressione però è che, nonostante il cambiamento, le aziende siano ancora molto indietro in Italia rispetto all’adozione di un mindset innovativo, aperto alle nuove tecnologie dell’apprendimento. Cosa si può fare per spingere le organizzazioni verso questa direzione, in maniera consapevole?

Mi viene in mente quella frase di Einstein che dice che “non puoi usare una vecchia mappa per esplorare un nuovo mondo”. Ecco, noi ci troviamo un po’ in questa dimensione. Le tecnologie avanzate stanno rivoluzionando tutto il modo in cui lavoriamo, e ci portano delle sfide enormi, etiche e sociali, che richiedono un’attenzione e una responsabilità altrettanto enormi. Realtà come Deloitte giocano un ruolo sicuramente fondamentale nell’aiutare le aziende ad utilizzare in maniera responsabile la tecnologia. Al di là di argomenti importantissimi quali la privacy e la sicurezza, la tecnologia ci può davvero supportare a costruire un futuro in cui le persone siano al centro delle decisioni aziendali. Per questo, dentro le aziende, per il corporate learning, servono sempre più Instructional Designer.

Cosa fanno e cosa devono fare nello specifico gli Instructional Designer?

Sono professionisti capaci di disegnare idee, progettare l’applicazione delle tecnologie all’interno dei processi di lavoro, per migliorarli. Sono professionisti che raccolgono le informazioni dagli esperti in materia e creano esperienze di apprendimento coinvolgenti ed efficaci. Il primo passo è identificare i gap di conoscenza e competenze e trovare il modo più efficace per colmarli: dall’Intelligenza artificiale al Metaverso al gaming. Approcciarsi, inoltre, a metodologie di co-design creative come quella del design thinking e ripensare le strategie aziendali e un approccio sempre più vicino alle persone. La tecnologia può essere, e lo sarà sempre di più, un fattore abilitante.