COP28 sotto attacco, “ecco cosa uscirà dalla conferenza sul clima di Dubai”

Intervista a Jacopo Bencini, esperto in diplomazia climatica e membro di Italian Climate Network, su aspettative ed esiti auspicabili della prossima Conferenza sul Clima di Dubai

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Alessandro Mariani

Giornalista green

Nato a Spoleto, dopo una laurea in Storia e una parentesi in Germania, si è stabilito a Milano. Ha avuto esperienze in radio e in TV locali e Nazionali. Racconta la società, con un focus sulle tematiche ambientali.

Manca poco, meno di un mese, all’inizio della COP28, la ventottesima Conferenza sul clima che si terrà a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, dal 30 novembre al 12 dicembre. Un summit già molto discusso, ad esempio per la nazione ospitante, non certo un esempio di Paese all’avanguardia nella rinuncia ai combustibili fossili.

L’attuale crisi climatica è causata principalmente dall’attività umana, soprattutto per l’impiego di combustibili fossili come gas, petrolio e carbone. Gli Emirati Arabi Uniti, in particolare, sono un Paese il cui sostentamento economico è fortemente legato alle risorse fossili. Inoltre, va notato che il presidente della Conferenza, Ahmed Al Jabber, riveste anche la carica di direttore generale della compagnia petrolifera Abu Dhabi National Oil Corporation, il che solleva preoccupazioni sull’esito della Conferenza sul Clima.

A pochi giorni dall’inizio della COP28 QuiFinanza Green ha fatto alcune domande su cosa possiamo aspettarci dalla prossima Conferenza sul Clima a Jacopo Bencini, Policy Advisor, esperto in diplomazia del clima e membro di  Italian Climate Network: organizzazione fortemente impegnata nella battaglia contro i cambiamenti climatici, che ha come obiettivo quello di coinvolgere i giovani in iniziative di formazione, istruzione e sensibilizzazione.

Bencini, cosa possiamo aspettarci dalla COP28 a Dubai?

Purtroppo, neanche quest’anno ci saranno novità dal punto di vista degli impegni nazionali nella riduzione delle emissioni che causano i cambiamenti climatici, questo è abbastanza scontato visto l’esito di COP27 e la complessa situazione geopolitica ed energetica. La volatilità dei prezzi e delle vie di approvvigionamento energetico a livello internazionale, insieme alla debolezza politica dei blocchi che storicamente hanno spinto il processo (Unione Europea e USA entrambi con elezioni politiche nei prossimi mesi), porterà ad una COP con ambizioni di retroguardia, salvo sorprese. Potremo sicuramente aspettarci qualcosa di positivo, invece, dal punto di vista della finanza per il clima (incluse compensazioni per perdite e danni) e degli investimenti in tecnologie rinnovabili.

Data questa premessa, quali sono i traguardi realizzabili e quali politiche potrebbero emergere dalla conferenza?

Sarà indispensabile che i Paesi, in particolare i grandi inquinatori, continuino ad investire su tutti i settori della mitigazione, ossia della riduzione delle emissioni, a partire dalla riconversione industriale, dall’efficientamento energetico e, solo infine, della cattura e stoccaggio delle emissioni non mitigabili in altro modo, senza invertire questo ragionamento. A COP28 si arriverà con lo scenario attuale, purtroppo quasi fermo politicamente dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina.

Qualche elemento positivo c’è?

L’unico slancio in avanti in questo periodo sembra essere stato fornito da Papa Francesco con la sua esortazione Laudate Deum, nella quale auspica ancora una COP28 ambiziosa con a cuore i bisogni del pianeta, ma quella di Francesco per quanto autorevole sembra una voce isolata.

La situazione geopolitica attuale come influenzerà l’azione globale sul clima, e in che modo la COP28 potrebbe affrontare queste questioni?

La guerra in Ucraina prima, le tensioni nel Caucaso e in Medio Oriente poi, hanno completamente cambiato lo scenario: a Glasgow nel 2021 la COP costruiva il mondo nuovo dopo il Covid19, da COP27 in poi, invece, si cerca di avanzare per piccoli passi, su singoli temi, in un mondo caratterizzato da incertezza, volatilità, incapacità di pianificazione. Alla COP27 abbiamo visto il cosiddetto Sud del mondo riprendersi la scena politica, complice la debolezza occidentale; è probabile che su temi come la compensazione di perdite e danni si ripeta uno schema simile, con il lancio – che auspichiamo – del nuovo Fondo internazionale.

A proposito di compensazione di perdite e danni, quali sono le sfide e le problematiche legate alla creazione del Loss and Damage Fund? Come verrà gestito il finanziamento di questo fondo?

Il problema quando si parla di perdite e danni (Loss and Damage Fund) è sempre legato alla tassonomia del danno compensabile: quali danni sono imputabili al fenomeno globale e quali all’inazione, all’incuria? Quali danni sono da compensare al 100% e quali no? Sarà possibile compensare tramite trasferimenti diretti e se sì, a chi? Ai governi, alle autorità locali o anche alle realtà associative, cooperative, o private dei territori?

E quindi?

Queste domande necessitano ancora di risposta, ma probabilmente la gestione rimarrà confinata nell’ambito multilaterale, quindi governativo. Sarà importantissimo capire, altresì, se il Fondo sarà gestito semplicemente sotto la Convezione Quadro ONU sul clima oppure sotto l’architettura dell’Accordo di Parigi, questo potrebbe cambiare notevolmente il tipo di coinvolgimento di attori come Cina ed India, che sotto l’Accordo avrebbero responsabilità più marcate. Altra storia se il Fondo fosse invece gestito dalla Banca Mondiale come proposto dagli Stati Uniti, ipotesi non convincente per molti Paesi in via di sviluppo.

Parlando invece di fonti fossili rispetto alla riduzione delle emissioni di gas serra: come la mancanza di un impegno per la loro eliminazione alla COP27 ha influenzato l’agenda della Cop28?

L’agenda sul tema, come detto, è ferma al 2021. Non è in vista alcun aggiornamento dei piani nazionali di riduzione a livello ONU, nonostante i numerosi e accorati appelli del Segretario Generale Guterres e dei Paesi più fragili e più colpiti dai cambiamenti climatici. La comunità internazionale, e in particolare i grandi inquinatori, sembrano oggi prendere tempo per far passare guerra e instabilità, anche se nessuno può realisticamente sapere quanto durerà questa attesa. Intanto, però, le grandi aziende del settore oil and gas non sembrano voler ridurre significativamente le loro quote di investimento in nuovi impianti, giacimenti, addirittura con un pericolosissimo ritorno, in molti Paesi, al carbone come fonte di energia primaria.

La COP28 è già stata oggetto di critiche, in particolare per la nomina come Presidente di Sultan Al Jaber, considerando il suo coinvolgimento nell’industria petrolifera…

Si tratta di una prima volta per un cosiddetto lobbista del fossile alla guida di una conferenza sul clima, questo ha colpito tutti, noi inclusi. Allo stesso tempo, proprio per il suo ruolo sia professionale che ministeriale Al Jaber è persona di grande esperienza, e volendo seguire la regola secondo la quale nessun governo si candida ad ospitare un evento internazionale senza voler allo stesso tempo fare bella figura con l’esterno, immaginiamo che la Presidenza spingerà molto per vedere approvati accordi importanti sui temi che quel tipo di Paese maneggia meglio: investimenti e tecnologia (verde, in questo caso). Piccoli passi forse rispetto al problema complessivo ma utili a non tenere fermo l’intero processo in vista di COP29, che tutti auspichiamo possa tenersi a guerra conclusa.

Infine le aziende: qual è il loro ruolo nella lotta contro il cambiamento climatico, e come la decisione di Sultan Al Jaber di coinvolgere le imprese nel processo può contribuire a raggiungere gli obiettivi climatici?

In questo caso il problema principale è il rischio di greenwashing. Lo scorso anno il Segretario Generale dell’ONU Guterres si è trovato costretto a presentare un report contro il greenwashing negli impegni per il clima del settore privato, rivolgendosi in particolare ai settori bancario ed assicurativo, dopo gli episodi che hanno visto indebolirsi nel tempo l’iniziativa Glasgow Financial Alliance for Net Zero (GFANZ) lanciata nel 2021.

Poi cosa è successo?

È emerso che l’iniziativa non risultava più sotto controllo delle Nazioni Unite, e che addirittura oltre il 70% delle aziende aderenti aveva ancora capitali e asset investiti nel settore del carbone. Il precedente di GFANZ è pesante e sicuramente la Presidenza emiratina sta lavorando per lanciare iniziative ed accordi più solidi da un punto di vista politico ed etico.