Google, monopolio nelle ricerche online: cosa cambia per gli utenti dopo la condanna

L'istruttoria antitrust del giudice federale Amit Mehta ha portato alla condanna di Google per monopolio. Si attende ora una seconda sentenza contenente i rimedi da mettere in atto

Foto di Mauro Di Gregorio

Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Pubblicato: 6 Agosto 2024 11:08

Negli Usa Google è stata condannata per aver violato la legge antitrust per le attività del suo motore di ricerca. Così ha stabilito un giudice federale. La condanna per monopolio apre nuovi scenari: le autorità europee potrebbero seguire la stessa strada di quelle americane. E Big G modificherà i suoi servizi: il cambio nel modus operandi arriverà con certezza negli Usa, ed eventualmente anche in Europa.

Perché la condanna per monopolio

“Dopo aver attentamente considerato e soppesato le testimonianze e le prove, la Corte giunge alla seguente conclusione: Google è un monopolista e ha agito come tale per mantenere il proprio monopolio”, ha scritto il giudice distrettuale americano Amit Mehta. Google “ha violato la Sezione 2 dello Sherman Act”.

L’azienda, osserva il giudice, ha speso decine di miliardi di dollari in contratti di esclusiva per assicurarsi una posizione dominante come fornitore di ricerca predefinito a livello mondiale su smartphone e browser web. Tali contratti hanno di fatto affossato la concorrenza di potenziali rivali come Bing di Microsoft e DuckDuckGo.

E non è tutto: gli accordi esclusivi di Google con Apple e altre Big Tech sono stati considerati anticoncorrenziali. Google ha inoltre applicato prezzi elevati nella pubblicità associata alla ricerca. Prezzi che, in una situazione di leale concorrenza, sarebbero stati più bassi.

Il Dipartimento di Giustizia e gli Stati avevano citato in giudizio Google ai tempi dell’amministrazione Trump, accusandola di aver illegalmente consolidato il proprio dominio, in parte, pagando altre aziende, come Apple e Samsung, miliardi di dollari all’anno per far gestire automaticamente a Google le query di ricerca sui loro smartphone e browser web.

Il giudice ha stabilito che quei comportamenti anticoncorrenziali devono essere fermati e Google deve adoperarsi per rimuovere ogni possibile pratica scorretta che possa alterare la libera concorrenza.

Google sta inoltre affrontando un’altra causa antitrust federale relativa alla tecnologia pubblicitaria che dovrebbe andare in giudizio il mese prossimo.

Google annuncia appello

La sentenza, emessa lunedì 5 agosto, non include rimedi per il comportamento di Google. Il giudice Mehta deciderà in un secondo momento, sentiti i periti, quali modifiche Big G dovrà mettere in atto. Ci si aspetta che Google venga costretta a cambiare il suo modo di operare o a vendere parte del suo business.

Google ha annunciato che ricorrerà in appello contro la sentenza, come ha reso noto il suo presidente per gli Affari globali, Kent Walker: “Questa decisione riconosce che Google offre il miglior motore di ricerca, ma conclude che non dovremmo essere autorizzati a renderlo facilmente disponibile”. Le modifiche all’esperienza utente, dunque, avverranno eventualmente solo dopo la decisione sull’appello.

Cosa cambia per gli utenti

In generale ci si può aspettare che, su servizi strategici, avvenga un ridimensionamento come accaduto per Google Maps, il navigatore di Google che è praticamente sparito dalle ricerche dopo l’entrata in vigore del nuovo regolamento europeo Dma.

Facendo delle previsioni probabilistiche, ci si può aspettare:

  • che i prezzi per le inserzioni pubblicitarie calino;
  • che venga meno parte dei contratti in esclusiva stipulati da Google con altre Big Tech, così da lasciare spazio ad altri operatori;
  • che gli smartphone smettano di gestire le query in automatico affidando le ricerche a Google (probabilmente alla prima accensione l’utente sarà chiamato a selezionare un motore di ricerca);
  • che motori di ricerca oggi considerati come “alternativi”, come ad esempio Bing, guadagnino terreno.