Baby influencer, la proposta di legge italiana di FdI e Pd per limitarli

L'Italia sta preparando una legge per regolare il lavoro del baby influencer

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Matteo Runchi

Editor esperto di economia e attualità

Redattore esperto di tecnologia e esteri, scrive di attualità, cronaca ed economia

Il fenomeno dei baby influencer, bambini anche molto piccoli che ottengono successo sui social network, sta assumendo dimensioni considerevoli in Italia. Un recente rapporto di Save the Children ha contato oltre 300mila minorenni sotto i 15 anni con esperienze di lavoro nel nostro Paese, il 5,7% dei quali online. Un fenomeno che segue le tendenze internazionali ma che preoccupa per la mancanza di una regolamentazione precisa a riguardo.

Per questa ragione è in discussione in parlamento un disegno di legge presentato da due deputate di Fratelli d’Italia del Partito democratico per chiarificare quali siano le regole riguardo il lavoro minorile su internet. Le nuove regole potranno includere anche una verifica dei dati personali e una verifica dell’età, oltre a un maggiore coinvolgimento delle figure di genitori e tutori all’interno della stesura dei contratti lavorativi dei figli.

Il fenomeno dei baby influencer in Italia

Il fenomeno dei baby influencer si sta allargando in Italia. Nel nostro Paese, secondo una ricerca di Save the Children, circa 336mila bambini sotto i 15 anni, o infraquindicenni, hanno avuto almeno un’esperienza lavorativa. La gran parte di loro è coinvolta nelle attività di famiglia che spesso si sviluppano nel settore del commercio al dettaglio. Ma un 5,7% ha invece ottenuto un impiego attraverso la propria presenza online.

Una questione che presenta diversi aspetti sensibili, dato che può coinvolgere bambini molto piccoli. Da una parte c’è la privacy e la gestione dei dati e dell’immagine dei più giovani da parte dei genitori, prima che questi possano effettivamente consentire o dissentire dall’utilizzo degli stessi. In gergo è chiamato Sharenting, la tendenza dei genitori a condividere immagini e esperienze con i propri figli minori. Una volta pubblicate sui social, le immagini sfuggono al controllo e all’intenzione di chi le ha condivise, causando problemi.

Lo ha dimostrato di recente un’inchiesta del New York Times riguardante in particolare Instagram, social network di proprietà di Meta, la stessa azienda dietro a Facebook e WhatsApp. Gli account, soprattutto di bambine, gestiti dalle madri che pubblicizzano le attività delle figlie come ballerine o ginnaste per ottenere contratti con aziende di abbigliamento finiscono spesso nel mirino di uomini adulti che lasciano commenti sessualmente espliciti ai post.

Manca però anche una precisa regolamentazione sul lavoro dei minori su internet. Anche quando le attività dei bambini raggiungono il pubblico desiderato, le attività lavorative di minorenni infraquindicenni sono regolate da norme che avevano come esempio di un’attività tollerabile soprattutto il mondo dello spettacolo. La mancanza di aggiornamenti di queste leggi può portare a buchi normativi e a una mancanza di tutele del bambino.

C’è infine un’ultimo problema che riguarda il rapporto tra bambini molto piccoli e social network. Da anni si ipotizza un effetto negativo di queste tecnologie sullo sviluppo psichico dei minori. Di recente lo psicologo Jonathan Haidt ha proposto, dopo il successo del suo libro The Anxious Generation, un approccio molto più cauto all’introduzione dei minori al mondo dei social, ritardando fino ai 14-16 anni le prime esperienze. Il lavoro su queste piattaforme stimola l’interazione con le stesse ricompensandola con del denaro. Questo potrebbe essere visto come un peggioramento del rapporto tra il minore e il social.

Cosa dice la legge sul lavoro minorile in Italia

In Italia li lavoro minorile è tutelato dalla legge del 17 ottobre 1967 oltre che da due articoli della costituzione, il 34 e il 37. L’età minima per svolgere un lavoro in Italia è 16 anni, 15 solo in caso di alternanza scuola-lavoro. Questo vale per ogni tipo di lavoro tranne uno, il settore dello spettacolo, per il quale esistono regole specifiche. Si considera infatti questo tipo di impiego culturalmente accettato e non pericoloso per la crescita del bambino. La legge tutela però comunque questo impiego, ponendo paletti molto specifici sia ai datori di lavoro che ai genitori che devono gestire questa esperienza.

In primo luogo è necessaria l’autorizzazione della Direzione territoriale del lavoro competente per il luogo dove si svolge l’attività lavorativa. Questa deve verificare che le attività svolte non pregiudichino “la sicurezza, l’integrità psico-fisica e lo sviluppo, la frequenza scolastica o la partecipazione a programmi di orientamento o di formazione professionale da parte del minore”, citando la stessa legge del 1967. Inoltre la Dtl deve controllare che l’impiego sia autorizzato da chi detiene la potestà genitoriale.

Queste norme si applicano al mondo dello spettacolo, incluse televisioni e radio, e a quello della cultura, ma non esplicitamente a quello dei social, a causa dell’età della legge, che ha ormai quasi sessant’anni. Un aggiornamento sarebbe quindi necessario e il Parlamento si sta muovendo proprio in questa direzione.

La nuova legge per regolamentare i baby influencer

Per questa ragione Lavinia Mennuni di Fratelli d’Italia e Marianna Madia del Partito democratico, rispettivamente senatrice e deputata, hanno presentato una legge che introduce nuove regole proprio riguardo alla possibilità dei minorenni, e in particolare dei bambini sotto i 15 anni, di lavorare nell’ambito dei social network. Il principio è proprio quello di applicare le norme già esistenti per la tutela del lavoro minorile nell’ambito del mondo dello spettacolo tradizionale anche a quello degli influencer.

Il primo problema emerge però subito all’articolo 2 della proposta. La legge deve imporre alle piattaforme social una verifica dell’età dell’utente che apre un profilo, senza la quale è impossibile confermare quali siano le norme da applicare. Già in passato però misure simili si sono scontrate con le norme sulla privacy che impongono ai social stessi di non conservare o appropriarsi di alcuni dati senza l’approvazione dell’utente che, se minore, difficilmente può consentire a livello legale. L’Agcom ha già predisposto una consultazione per stabilire le modalità tecniche di questa verifica entro 60 giorni dalla promulgazione della legge.

Gli articoli dal 3 al 5 sono quelli che riguardano specificatamente la questione della regolamentazione del lavoro minorile su internet, introducendo novità significative:

  • I contratti firmati dagli infraquindicenni sono nulli a meno che siano coinvolti i genitori o i tutori.
  • Le diffusioni delle immagini di infraquindicenni devono essere autorizzate dai genitori o dai tutori se sono intente a generare o generano un provento maggiore di 12mila euro annui.
  • Le somme guadagnate oltre i 12mila euro vanno versate su un conto corrente intestato al minore, che i genitori non possono utilizzare.

La verifica del rispetto di ognuna di queste norme inoltre non ricade sulle autorità ma sui committenti stessi del lavoro, quindi le aziende che offrono il contratto al minore. Inoltre le stesse aziende devono assicurarsi che i minori siano informati dei servizi del numero di emergenza per l’infanzia 114, oltre che provvedere a finanziarlo.