Regolamentazione dell’affido dei figli: l’ordinanza della Cassazione e le poche novità

L’ordinanza della Cassazione civile N.633/2022 riporta al centro la discussione sulla regolamentazione privata per il mantenimento dei figli.

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Redazione

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La Suprema Corte di Cassazione recentemente è stata chiamata a pronunciarsi sulla regolarità degli accordi privati in ordine alla regolamentazione del mantenimento per i figli nati da genitori non coniugati.

Il caso: la scrittura privata per la regolamentazione dell’affido

Il fatto: due genitori non sposati concordavano con una scrittura privata, quindi senza passare per il Tribunale, che il padre avrebbe trasferito al figlio la proprietà di un immobile e che non sarebbe stato onerato dell’obbligo di contribuzione periodica al mantenimento, salvo le spese scolastiche e di abbigliamento. La madre, una volta sperimentato tale accordo, riteneva che non fosse sufficientemente a garantire gli interessi del figlio e ricorreva al Tribunale di Cosenza che dichiarava inammissibile la domanda, sostenendo la piena validità dell’accordo privato e non rilevando mutazioni economiche successive alla stipula. La madre dunque proponeva reclamo e la Corte di Catanzaro accoglieva le istanze materne imponendo un onere di contribuzione periodico tramite assegno di 250,00 euro a carico del padre. Tale sentenza veniva confermata dalla Corte di Cassazione.

Le conclusioni: la mera lettura del dato normativo

Già dalla brevissima sinossi presentata emerge come sia eccessivo voler intravedere nella presente Ordinanza un cambiamento epocale che sostanzialmente non c’è e, a parere di chi scrive, per delle buone ragioni.

Se infatti è vero che la Corte di Cassazione non ritiene l’accordo privato sul mantenimento dei minori in re ipsa nullo o privo di efficacia ne chiarisce anche i moltissimi limiti. Non sono quindi gli Ermellini a dare il via libera alle forme di composizione bonaria già previste dall’art 337 ter c.c. al rigor del quale “salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito”. Peraltro, questi cosiddetti accordi non possono essere ridotti ad un atto espressivo dell’autonomia privata, poiché essi producono effetti sui minori il cui interesse costituisce il bene giuridico nucleo inderogabile di tutta la normativa di riferimento.

Pertanto, l’accordo, può essere in linea di principio valido, ma non preclude che il Giudice sia chiamato a valutarne la rispondenza agli obblighi di mantenimento del figlio, proprio come è accaduto nel caso di specie. In questo caso infatti il patto raggiunto dagli ex conviventi è rimasto valido nel suo complesso, tanto che il trasferimento dell’immobile rimane un atto efficace, ma è stato oggetto di modifica giudiziale in ordine al mancato mantenimento.

Inoltre, la Corte specifica una ulteriore distinzione rispetto ad altri diritti disponibili, dal momento che nell’operare tali valutazioni il Giudice dovrà ispirarsi al criterio fondamentale dell’esclusivo interesse della prole, senza i limiti processuali costituiti dal rispetto del principio della domanda e del principio del dispositivo ex art 112 c.p.c.

Ciò significa che il patto è valido, ma solo se le previsioni al suo interno rispondono all’interesse morale e materiale della prole, ovvero è valido finché nessuno lo mette in dubbio di fronte a un Giudice come ha fatto la protagonista del caso oggetto di analisi. La Corte, infine, chiarisce come sia implicitamente escluso che l’assegno di mantenimento possa sostanziarsi in un generico obbligo del genitore a partecipare alle spese.

Alla luce della succitata analisi possiamo escludere la portata innovatrice di questa pronuncia che si limita a ribadire quanto già chiaro agli addetti ai lavori: per le coppie non coniugate, che dopo la rottura del loro legame sentimentale, vogliono regolamentare l’affido con statuizioni che abbiano valore vincolante, l’opzione più sicura resta quella dell’Omologa da parte del Tribunale competente.

Del resto se così non fosse si costituirebbe l’ennesima, ingiustificata e ingiusta discrasia tra la disciplina prevista per i figli nati all’interno del matrimonio e quelli di genitori non coniugati. La parificazione tra queste due posizioni non sarà mai effettiva fino a quando i genitori non coniugati potranno concordemente decidere di violare i diritti dei propri figli, senza il controllo giudiziale che invece è imposto alle coppie unite in matrimonio.

In collaborazione con Studio Legale Grolla