Dov’è la crisi climatica? Quasi assente dai media italiani

Questo è emerso dal rapporto che Greenpeace Italia ha commissionato all’Osservatorio di Pavia, istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione

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Matteo Paolini

Giornalista green

Nel 2012 ottiene l’iscrizione all’Albo dei giornalisti pubblicisti. Dal 2015 lavora come giornalista freelance occupandosi di tematiche ambientali.

Il cambiamento climatico continua a ricevere poco spazio sui mezzi di comunicazione tradizionali come la stampa e la televisione, mentre contemporaneamente aumentano gli annunci pubblicitari delle aziende che sono maggiormente responsabili del riscaldamento globale sui principali giornali italiani. Questo evidenzia l’influenza pericolosa che l’industria dei combustibili fossili esercita sull’ambito dell’informazione. Queste sono le conclusioni del nuovo rapporto commissionato da Greenpeace Italia all’Osservatorio di Pavia, un istituto di ricerca specializzato nell’analisi della comunicazione.

Lo studio

Durante il periodo compreso tra settembre e dicembre 2022, uno studio ha analizzato la narrativa relativa alla crisi climatica presente sui principali giornali nazionali (Corriere della Sera, Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire e La Stampa), sui programmi televisivi di approfondimento e sui telegiornali serali di Rai, Mediaset e La7. La ricerca completa il monitoraggio sulla copertura mediatica dei cambiamenti climatici iniziato da Greenpeace Italia a gennaio 2022 e che si protrarrà durante tutto il 2023, nell’ambito della campagna “Stranger Green”, che mira a combattere il greenwashing e la disinformazione in merito alla crisi climatica.

Greenpeace: pubblicità inquinanti influenzano i media sulla crisi climatica

Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia, dichiara che la sconcertante indifferenza dei media e dei politici italiani nei confronti della più grave emergenza ambientale della nostra epoca è stata confermata negli ultimi mesi del 2022. Secondo Sturloni, questa situazione non cambierà fintanto che i principali organi di informazione continueranno a dipendere dalle pubblicità delle aziende inquinanti e fintanto che la classe politica preferirà soddisfare gli interessi dell’industria dei combustibili fossili anziché quelli dei cittadini. In Italia, le aziende hanno un’enorme influenza sulla narrazione mediatica della crisi climatica e un colosso come Eni può dettare le politiche energetiche del governo.

Crisi climatica poco raccontata

Durante l’ultimo quadrimestre del 2022, i quotidiani italiani hanno pubblicato meno articoli sulla crisi climatica rispetto al quadrimestre precedente, con una media di 2,5 al giorno. Il Corriere della Sera e La Stampa hanno contribuito maggiormente alla diminuzione, mentre Il Sole 24 Ore ha avuto un leggero aumento di articoli sull’ambiente. Le menzioni esplicite della crisi climatica sono più comuni negli eventi politici (37%) e nei contesti economici e industriali (21%), mentre i fenomeni naturali estremi costituiscono solo il 7% delle menzioni. Le cause della crisi climatica, come le emissioni di CO2 e gas climalteranti, sono citate solo nel 55% dei casi. L’industria dei combustibili fossili e delle aziende di trasporto hanno aumentato significativamente le pubblicità sui giornali, evidenziando la loro influenza sui media. I politici e le istituzioni internazionali occupano il primo posto (21%) nella copertura della crisi climatica, seguiti dalle aziende (15%). Le associazioni ambientaliste, gli esperti e i politici e le istituzioni nazionali seguono rispettivamente.

La classifica di Greenpeace sulla copertura della crisi climatica sui giornali italiani

In base a quanto rinvenuto dall’indagine, Greenpeace ha pubblicato una nuova classifica dei principali quotidiani italiani, valutandoli in base a cinque parametri. Il primo parametro considerato è quanto spazio dedicano alla copertura della crisi climatica, seguito dal grado di menzione dei combustibili fossili come causa della crisi. Inoltre, la classifica valuta anche quanto spazio le aziende inquinanti occupano sui giornali attraverso le loro pubblicità e se le redazioni sono trasparenti sui finanziamenti ricevuti da queste aziende. Il questionario inviato ai direttori delle cinque testate ha ricevuto una risposta parziale solo da Avvenire. Considerando la media dei cinque parametri, solo Avvenire ha superato la sufficienza con un punteggio di 3,4 punti su 5. Il Sole 24 Ore ha ottenuto un punteggio di 2,6, La Stampa di 2,4, Il Corriere della Sera di 2,2 e La Repubblica di 2.

Il tema della crisi climatica sulla televisione italiana

I telegiornali di prima serata hanno registrato un leggero aumento della copertura di temi ambientali, ma la crisi climatica è stata menzionata in meno del 3% delle notizie trasmesse. Il TG1 e il TG3 hanno dedicato più spazio alla questione rispetto al TG La7. Nei programmi di approfondimento, la crisi climatica è stata discussa in 116 delle 450 puntate monitorate, con Unomattina che ne ha parlato di più. Greenpeace ha criticato La7 per la scarsa attenzione al problema, in linea con la loro linea editoriale politica. Durante la campagna elettorale del 2022, la crisi climatica è stata menzionata in meno dello 0,5% delle dichiarazioni dei politici riprese dai principali telegiornali.

La crisi climatica sui media all’estero

Un’analisi condotta dal Media and Climate Change Observatory (MeCCO) su 127 testate di 59 paesi, dal 2006 al 2021, ha rilevato un aumento significativo della frequenza con cui i media parlano del cambiamento climatico, nonché un cambiamento nel linguaggio utilizzato. Le parole e le frasi utilizzate oggi sono più intense e l’uso dei termini “catastrofe” ed “emergenza” è aumentato, suggerendo un problema acuto ed episodico, piuttosto che una questione strutturale da affrontare con politiche mirate. Al contrario, i termini come “riscaldamento globale” ed “effetto serra” sono sempre meno frequenti. Secondo Max Boykoff, coordinatore della ricerca, il linguaggio dei media riflette le realtà del nostro mondo e il cambiamento climatico non è più solo una questione scientifica, ma entra nelle pagine di politica, economia, società e cultura. L’aumento dell’attenzione dei media può essere visto come un’indicazione dell’incremento dell’impegno della società civile.

L’utilizzo del linguaggio del rischio nella crisi ambientale

Secondo James Painter del Reuters Institute for the Study of Journalism all’università di Oxford, sia scienziati che politici stanno sempre più utilizzando il linguaggio del rischio per parlare della crisi ambientale. Questo approccio sottolinea i rischi connessi al cambiamento climatico invece delle incertezze, creando un contesto più favorevole per i decisori politici e una risposta più forte da parte dell’opinione pubblica.

Il dibattito sui cambiamenti climatici riguarda il futuro e quindi comporta inevitabilmente un grado di incertezza sui tempi, il ritmo e la gravità dei possibili impatti, nonché sulle opzioni per gestirli ed evitarli. Tuttavia, l’utilizzo del linguaggio del rischio può allontanare il dibattito pubblico dall’idea che le decisioni debbano essere rimandate fino a quando non si avrà una prova conclusiva o una certezza assoluta.

In questo modo, si può promuovere un’azione tempestiva e presa sulla base di un’analisi dei costi e dei rischi di diverse scelte, compreso il non fare nulla. Pertanto, l’utilizzo del linguaggio del rischio può favorire il processo decisionale in modo da affrontare la crisi ambientale in modo più efficace.

Il “bothsidesism” nei media e il danno alla percezione della crisi ambientale

Negli ultimi anni, in molti paesi anglosassoni è in corso una discussione sul cosiddetto “bothsidesism” nei media, ovvero il falso equilibrio. Questo approccio consiste nell’offrire spazio a entrambi i lati di una questione, anche quando le fonti più credibili stanno tutte dalla stessa parte. Tuttavia, secondo un recente studio condotto dalla Northwestern University, questo approccio può danneggiare la capacità del pubblico di distinguere tra notizie vere e false, e portare a dubitare del consenso scientifico sul cambiamento climatico.

Il professore David Rapp, tra gli autori dello studio, ha affermato che i media danno ancora voce alle opinioni di persone che non credono che ci sia motivo di allarmarsi per l’ambiente, il che aiuta a creare l’impressione che il problema sia meno grave di quanto non sia in realtà. Questo atteggiamento può minare gli sforzi per affrontare la crisi ambientale, poiché riduce l’urgenza e la gravità della situazione, rendendo più difficile ottenere il sostegno necessario per adottare misure concrete per combattere il cambiamento climatico.

Pertanto, i media dovrebbero prestare maggiore attenzione all’accuratezza e alla bilanciata presentazione delle notizie sulla crisi ambientale, evitando di cadere nel “bothsidesism” e dando maggiore spazio alle fonti scientifiche e alle soluzioni sostenibili. In questo modo, sarà possibile sensibilizzare l’opinione pubblica sulla gravità della situazione e promuovere l’adozione di misure efficaci per combattere il cambiamento climatico.