L’Iva non può essere rimborsata senza territorialità

Nel caso in cui manchi la territorialità, l'Iva non può essere chiesta a rimborso. La presa di posizione della Corte di Cassazione

Pubblicato: 2 Ottobre 2023 09:01

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

Quali sono le operazioni fuori campo Iva? Come devono essere gestite le operazioni verso soggetti passivi che non hanno una sede in Italia? A fare il punto della situazione ci ha pensato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 24507 dell’11 agosto 2023, che è partita dall’analisi di un caso specifico.

È a tutti gli effetti un’operazione fuori campo Iva quella che vede coinvolta una società con sede in Spagna, soggetto passivo non stabilito in Italia, che ha acquistato delle insegne pubblicitarie su alcuni edifici nel nostro paese. Quella che stiamo analizzando, inoltre, non risulta essere una prestazione di servizi immobiliari, riconducibili all’articolo 7-quater, comma 1, lettera a), Dpr n. 633/1972. Viene, quindi, esclusa la territorialità della prestazione. L’Iva, a questo punto, non deve essere applicata nelle fatture che vengono emesse dagli operatori italiani. L’imposta sul valore aggiunto, però, non può costituire oggetto di rimborso.

Operazioni con soggetti stranieri

L’ordinanza n. 24507 della Corte di Cassazione prende spunto da un caso specifico. Una società con sede a Barcellona ha avanzato una richiesta di rimborso Iva relativamente a delle operazioni effettuate nel 2010. Alla società era stata addebitata l’imposta da alcune aziende italiane per l’installazione di alcune insegne luminose su alcuni immobili in Italia.

La risposta dell’Agenzia delle Entrate, in prima istanza, fu un gentile diniego. L’AdE ritenne che le prestazioni effettuate dovessero essere escluse dal campo di applicazione Iva perché mancava il requisito territoriale, così come previsto dall’ ex articolo 7-ter del Dpr n. 633/1972. Non avendo una stabile organizzazione in Italia e nemmeno un rappresentante fiscale nel nostro paese, la società spagnola aveva diritto a corrispondere l’Iva utilizzando il meccanismo dell’inversione contabile.

L’istanza di rimborso

A seguito di un’analisi delle fatture, che erano state allegate direttamente all’istanza di rimborso, emerge che i documenti erano stati emessi da alcuni operatori italiani titolari di partita Iva. E che le stesse erano relative all’attività di installazione di insegne luminose presso alcune strutture immobiliari di varie concessionarie automobilistiche con sede in Italia. Altre fatture, invece, erano relative alle prestazioni professionali rese da alcuni ingegneri italiani ed erano sempre connesse all’installazione delle suddette insegne luminose.

In altre parole le insegne erano state spedite dalla Spagna ed erano state installate in Italia grazie all’intervento dei tecnici locali.

La società spagnola ha immediatamente impugnato il diniego. Riteneva di aver diritto al rimborso dell’Iva perché si era in presenza del presupposto di territorialità. Le insegne pubblicitarie, infatti, sono state collocate su immobili ubicati in Italia. Veniva a determinarsi, con certezza, il luogo in cui era stata effettuata la prestazione.

Gli esiti del giudizio

Nei vari gradi di merito l’esito del giudizio è stato altalenante. Il Collegio, in primo grado, ha rigettato il ricorso: le prestazioni oggetto delle fatture non rientravano tra quelle che erano esplicitamente previste dalla norma in argomento. Sono, invece, soggette alla regola generale posta dall’articolo 7-ter dello Stato di stabilimento del committente o del prestatore.

Le prestazioni restano fuori dal campo di applicazione dell’imposta perché l’insegna non ha una connessione inscindibile con l’immobile sulla quale è montata. Ma soprattutto perché risulta essere un bene mobile anche se incorporata su uno immobile.

Di parere opposto, invece, è il giudice di appello, il quale ha affermato che le insegne apposte erano inglobate nella struttura stessa dell’immobile: come tali costituivano una parte integrante dello stesso.

L’Agenzia delle Entrate ha proposto un ricorso nel quale segnala che il collegio di secondo grado:

  • aveva inquadrato in maniera errata l’installazione delle insegne tra le deroghe al principio generale di territorialità. Aveva quindi erroneamente presupposto che esistessero i presupposti per il pagamento a monte dell’Iva: riteneva, infatti, che le operazioni fossero connesse a dei beni mobili;
  • aveva erroneamente ritenuto che l’imposta fosse versabile in Italia, perché era stata fatturata ad un soggetto passivo che non era stabilito nel nostro paese. In questa operazione, la società spagnola non era la cedente, ma l’acquirente. La società, essendo quella effettuata un’operazione fuori campo Iva, poteva al massimo rivalersi sulla cedente, chiedendo la restituzione dell’Iva versata e che non era dovuta.

La Corte di Cassazione ha accolto le motivazioni dell’Agenzia delle Entrate e ha spiegato che la prestazione

è fuori campo Iva per difetto del requisito della territorialità, essendo stata resa a soggetto passivo non stabilito nel territorio dello Stato (v. art. 7 ter comma 1 lett. a, d.P.R. n. 633/1972) e non trattandosi di una prestazione di servizi relativa ad un immobile ma di una prestazione relativa ad una cosa mobile, cioè l’insegna, che non rientra tra quelle contemplate dall’art. 7 quater comma 1 lett. a), cit., nella versione applicabile ratione temporis.

Il rimborso Iva non è dovuto

I giudici della suprema corte hanno, quindi, escluso la territorialità della prestazione: questo significa che l’Iva applicata dagli operatori non era dovuta. Hanno anche ritenuto legittimo il diniego di rimborso: il caso preso in esame coincideva con quello esaminato dalla Corte di Giustizia – Causa C-35/05, sentenza del 15 marzo 2007 – che aveva come oggetto proprio il rimborso Iva ad eventuali soggetti passivi che non fossero residenti.

Nel caso preso in esame, l’imposta erroneamente fatturata al destinatario e versata all’Erario di uno Stato membro non può essere rimborsata, perché, come ha spiegato il giudice unionale, il sistema europeo dell’Iva non prevede che la stessa possa essere fatturata per errore.

Questo principio di base è stato recepito anche dal diritto nazionale. La Corte di Cassazione ha spiegato che, nel momento in cui viene effettuata un’operazione imponibile, ne derivano tre diversi rapporti, indipendenti l’uno dall’altro:

  • il primo tra l’amministrazione finanziaria e il cedente, che prevede il pagamento dell’imposta;
  • il secondo tra il cedente e il cessionario, in merito alla rivalsa;
  • il terzo tra l’amministrazione e il cessionario, per ciò che attiene alla detrazione.

L’autonomia dei tre diversi rapporti risulta essere fondamentale per poter garantire il principio della neutralità dell’Iva, in modo da evitare una perdita del gettito tributario.