Crediti fiscali: l’AdE li può sempre disconoscere. Spetta al contribuente dimostrare il contrario

L'Agenzia delle Entrate può disconoscere in qualsiasi momento i crediti fiscali. Spetta al contribuente dimostrare di averne diritto

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

L’Agenzia delle Entrate ha la possibilità di disconoscere il credito esposto dal contribuente, nel momento in cui quest’ultimo richiede il rimborso delle imposte dirette o dell’eccedenza IVA detraibile.

L’Amministrazione finanziaria ha la possibilità di contestare i crediti che sono stati esposti nella dichiarazione direttamente dal contribuente, anche quando risultino essere scaduti i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento o per l’eventuale rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta. Può scattare la contestazione da parte dell’Agenzia delle Entrate anche quando non sia stato adottato alcun provvedimento: resta fermo il fatto che i termini decadenziali si devono attenere esclusivamente ai crediti erariali.

A stabilire questo principio è stata l’ordinanza n. 35518 del 19 dicembre 2023 della Corte di Cassazione.

Imposte dirette il rimborso Iva: arrivano i chiarimenti ufficiali

La presa di posizione della Corte di Cassazione ha preso il via da una vicenda processuale. Una società fallita ha proposto ricorso avverso il silenzio-rifiuto di rimborso dell’eccedenza Iva, che si era andata a formare nel corso del periodo d’imposta 2005, precedente al fallimento dell’azienda. L’eccedenza risulta dalla dichiarazione Iva del 2006 ed è stata riportata a nuovo nel corso dei periodi d’imposta successivi.

Nel 2012 l’eccedenza è stata richiesta a rimborso dal Fallimento, come minor credito maturato nel corso dell’ultimo triennio, ai sensi dell’ex articolo 30, terzo comma, DPR n. 633 del 26 ottobre 1972.

A seguito dell’emissione di quattro note di rettifica da parte dell’emittente originario creditore del Fallimento, l’Agenzia delle Entrate ha dedotto l’esistenza di un credito di imposta minore. Documentazione che non è stata contabilizzata da parte del cessionario che è stato dichiarato fallito. Quest’ultimo, per tutelare la propria posizione, ha invocato la cristallizzazione dell’eccedenza Iva. Pratica che non è stata oggetto di rettifica da parte dell’AdE.

La posizione dei giudici

In entrambi i gradi di giudizio il ricorso è stato respinto. Di particolare importanza è la presa di posizione della CTR, che ha rigettato l’appello perché ha ritenuto che, nel momento in cui al centro del contendere è il rimborso di un’eccedenza di imposta non vale la cristallizzazione del credito. L’amministrazione finanziaria ha sempre il potere di disconoscere i crediti chiesti a rimborso, almeno per quanto riguarda i periodi d’imposta per i quali risulta essere decorso il termine per l’accertamento.

La società ha deciso di proporre ricorso per Cassazione contro questa decisione. Viene lamentata la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 6, commi 2 e 5, della Legge n. 212 del 27 luglio 2020 e dell’articolo 39, terzo e quinto comma, 54, primo comma, 57, primo comma del DPR n. 633/1972. Il ricorrente sosteneva che l’omesso esercizio della potestà di accertamento non dovesse precludere la possibilità di contestare il credito che veniva chiesto a rimborso.

Secondo la Corte di Cassazione risultano essere infondati i motivi di doglianza presentati dal ricorrente. Ha quindi deciso di rigettare il ricorso.

Cosa comporta le decisione della Corte di Cassazione

I giudici della Suprema Corte hanno sostanzialmente aderito all’orientamento che era stato espresso, in passato, dalla giurisprudenza nelle seguenti occasioni:

  • rimborso di imposte dirette: Cass., SS.UU., 15 marzo 2016, n. 5069;
  • rimborso dell’eccedenza Iva detraibile: Cass., SS.UU., 29 luglio 2021, nn. 21765 e 21766.

L’Agenzia delle Entrate ha la possibilità di contestare il credito che il contribuente espone nella dichiarazione. Questa operazione può essere effettuata anche quando i termini per l’esercizio del suo potere di accertamento risultino essere scaduti. O anche quando si siano definitivamente conclusi i termini per la rettifica dell’imponibile e dell’imposta dovuta. Il diritto dell’AdE non decade anche quando non sono stati adottati dei provvedimenti, purché i termini decadenziali si riferiscano unicamente ai crediti erariali.

Nel caso preso in esame non si riscontrano delle violazioni dei diritti costituzionali del contribuente, perché il nodo del contendere non verteva intorno all’attività impositiva, ma al diritto di credito del contribuente e del relativo onere della prova. In questo caso non si era davanti ad un’attività di imposizione, per la quale gli uffici preposti dovevano rispondere in tempi certi.

I giudici della Suprema Corte, inoltre, sottolineano che in questo caso nulla osta il disposto previsto dall’articolo 57 del DPR n. 633/1972, che ha come oggetto la decadenza dei crediti da rimborsi Iva. La norma appena citata, infatti, si riferisce alla sottostima del debito d’imposta che deriva da una serie di accertamenti sul maggior debito, non dell’insussistenza dello stesso credito determinata da un’eventuale eccedenza che viene esposta a credito.

Secondo la Corte di Cassazione non si deve ritenere precluso l’esercizio del diritto al credito solo per il fatto che, per legge, le scritture contabili devono essere conservate per dieci anni. I giudici, infatti, ritengono che non si debba confondere l’obbligo della conservazione contabile con l’onere di fornire le prove in giudizio del proprio credito.

Nel momento in cui il creditore ha intenzione di far valere un proprio diritto, la cui prova della sussistenza derivi da una documentazione ultradecennale – come è il caso del credito Iva attinente ad un dichiarazioni Iva del periodo d’imposta 2006 – deve conservare la documentazione dalla quale si evince il proprio credito. Anche quando viene superato il termine previsto dall’articolo 2220 del Codice Civile.

In sintesi

La domanda di fondo che i contribuenti si possono porre è la seguente: fino a quando l’Agenzia delle Entrate ha diritto a contestare un qualsiasi credito che vanta un contribuente? Secondo quanto emerge dalla posizione dei giudici della Corte di Cassazione lo può fare anche quando sono scaduti i termini di accertamento. Gli uffici tributari hanno la possibilità di prendere questa decisione anche se quel credito, in passato, non è stato contestato.

Come si può difendere il creditore? Il contribuente, nel momento in cui ha un qualsiasi credito nei confronti del Fisco, ha l’onere della prova. Deve quindi presentare la documentazione da cui emerge il proprio diritto. Anche quando sono passati i termini legali che prevedono la conservazione delle scritture contabili.

Se si chiede il rimborso di un credito maturato da più di dieci anni (e anche meno) è sempre importante tenere le pezze giustificative per poter richiedere quanto spetta.