Sugli scontrini spunta la “frigo tax”: cos’è e quanto vale

Nei supermercati le bevande fredde conservate in frigorifero costano di più di quelle sugli scaffali, a temperatura ambiente. E fin qui nulla di strano. Ma a Roma sugli scontrini spunta una nuova voce

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

L’ultimo capitolo del libro nero dei rincari che hanno colpito il carrello della spesa riguarda il freddo. E qualcuno ha già pensato bene di chiamare “frigo tax” l’ultima voce comparsa sullo scontrino fiscale rilasciato da diversi supermercati di Roma. Ecco di cosa si tratta.

La frigo tax sulle bevande fredde

La cosiddetta “tassa frigo” non è altro che un sovrapprezzo sulle bevande conservate in frigorifero e vendute fredde ai clienti in supermercati e ipermercati. E non un semplice costo maggiorato, che già da anni i consumatori erano abituati a conoscere come “normale” per i prodotti da bere acquistati direttamente da una cella frigorifera. Non si tratta di una vera e propria “tax”, ma compare sullo scontrino con tanto di specifica chiamata “aggiunta frigo”.

Come verificato dal Corriere della Sera, l’aumento medio del prezzo è di 20 centesimi di euro rispetto al prezzo per la stessa bibita praticato però allo scaffale, per un aumento anche del 40%. I gestori hanno addotto come motivazione principale della maggiorazione il contrasto ai rincari delle bollette energetiche, divenute troppo onerose per le attività (addio al mercato tutelato dal 2024: cosa cambia e per chi).

Il “nuovo scontrino” dei supermercati

Sulle scelte gestionali dei punti vendita pesano senza dubbio l’inflazione e il maggiore costo di luce e gas e delle materie prime. La vera novità del costo maggiorato delle bevande conservate in frigorifero è però un’altra: la sua “istituzionalizzazione”, cioè il suo inserimento all’interno dello scontrino fiscale. Come accennato, le bibite acquistate da celle refrigerate sono sempre costate di più di quelle posizionate sugli scaffali, proprio perché raffreddarle rappresenta un costo aggiuntivo per chi le vende.

Se una bibita gassata a temperatura ambiente sullo scaffale costa 51 centesimi, la stessa marca e lo stesso dosaggio ne costa 71 alla cassa se presa dal frigorifero. Il vero problema, se così lo si vuol chiamare, riguarda la totale assenza di tabelle e valori di riferimento per quantificare e calcolare i sovrapprezzi. Da qui la polemica.

Quanto costa raffreddare i prodotti

Considerando che in ogni cella frigorifera di un comune supermercato sono in vendita almeno 50 bevande, e calcolando una media di 20 centesimi in più sul prezzo alla cassa, la “frigo tax” farà guadagnare al punto vendita almeno 10 euro in più al giorno. Una somma che, se si considerano i valori mediani delle bollette delle attività commerciali, basta e avanza per coprire i costi in ambito energetico. In altre parole: gli aumenti in bolletta non giustificano la maggiorazione di prezzo (in autunno arriva la stangata su luce e gas).

Bisogna tuttavia ricordare come, soprattutto nel corso del 2022, numerose attività commerciali in Italia (il 7% del totale) hanno deciso di chiudere nei giorni festivi per risparmiare sulle bollette, mentre molte altre hanno optato per lo spegnimento dei frigoriferi durante la notte. Il timore di quelle stangate sui bilanci aziendali (che a volte hanno raggiunto aumenti del 400%) è ancora vivo in tantissime imprese.

La volontà di rendere sistemica la “frigo tax” risponde anche alla presa di coscienza che la strategia della chiusura non paga come sperato: secondo associazione come Federdistribuzione, infatti, le chiusure domenicali o lo spegnimento delle celle frigorifere “non portano vantaggi perché alcuni costi, come la catena del freddo, sono incomprimibili”.