Manovra, spunta una terza rata IMU a febbraio. Scoppia la polemica

Un emendamento firmato dai relatori prevede per le amministrazioni ritardatarie che le delibere sulle aliquote possono essere pubblicate entro il 15 gennaio 2024. In 211 Comuni può scattare la terza rata a febbraio.

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Paolo Viganò

Giornalista di attualità politico-economica

Classe 1974, giornalista professionista dal 2003, si occupa prevalentemente di politica, geopolitica e attualità economica, con diverse divagazioni in ambito sportivo e musicale.

Da una Manovra che, nell’intento della presidente del Consiglio Giorgia Meloni, doveva procedere spedita senza emendamenti, spuntano sorprese inaspettate. Sul fronte Superbonus, dove Forza Italia spinge per una proroga a dispetto della netta contrarietà della Lega (più sfumata la posizione di Fratelli d’Italia), e ora anche sul fronte IMU. Un emendamento al disegno di legge di Bilancio firmato dai relatori prevede infatti per le amministrazioni ritardatarie che le delibere sulle aliquote possano essere pubblicate entro il 15 gennaio 2024. Un modo per evitare ammanchi di cassa, ma che può trasformarsi in un boomerang per i cittadini di oltre 200 comuni italiani, che si ritroverebbero a dover pagare una terza rata il 29 febbraio.

L’emendamento

L’emendamento in questione, a firma dei relatori alla Manovra, prevede solo per il 2023 – in deroga alla normativa vigente – una nuova scadenza per la pubblicazione delle delibere sul sito del MEF e conseguentemente un termine aggiuntivo per il pagamento del conguaglio IMU. Il testo dell’emendamento prevede che:

“Limitatamente all’anno 2023, le delibere regolamentari e di approvazione delle aliquote e delle tariffe sono tempestive, in deroga all’articolo 13, comma 15-ter, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e all’articolo 1, commi 762 e 767, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, se inserite nel portale del federalismo fiscale entro il 30 novembre 2023. Il termine per la pubblicazione delle delibere inserite ai sensi del periodo precedente, ai fini dell’acquisizione della loro efficacia, è fissato al 15 gennaio 2024.
L’eventuale differenza positiva tra l’imposta municipale propria (IMU), calcolata sulla base degli atti pubblicati in virtù di quanto stabilito al comma 2 e quella versata, ai sensi dell’articolo 1, comma 762, della legge 27 dicembre 2019, n. 160, entro il 18 dicembre 2023, è dovuta senza applicazione di sanzioni e interessi entro il 29 febbraio 2024. Nel caso in cui emerga una differenza negativa, il rimborso è dovuto secondo le regole ordinarie.”

L’emendamento riguarda dunque da vicino i circa 200 comuni che non hanno presentato nei tempi previsti la delibera sul calcolo dell’IMU 2023. il termine per la pubblicazione delle delibere, ai fini dell’acquisizione della loro efficacia, è fissato al 15 gennaio 2024. La norma, che rimanda quindi le scadenze del 14 e 28 ottobre, ha un impatto sui cittadini, chiamati a versare la seconda rata dell’Imu entro il 18 dicembre. Se le nuove aliquote comporteranno una differenza positiva, i contribuenti saranno chiamati a versare la differenza entro il 29 febbraio 2024 (senza sanzioni e interessi). Nel caso di una differenza negativa, il rimborso è invece “dovuto secondo le regole ordinarie”.

Dal ‘no’ alla riforma del Catasto alla terza rata Imu

Curioso che la misura in Manovra venga proprio dai partiti, FdI e Lega, che maggiormente avevano avversato la riforma del Catasto di Mario Draghi, accusando l’ex presidente del Consiglio di voler alzare le rendite catastali sugli immobili e quindi anche l’imposta municipale. Ora le aliquote potrebbero venire alzate dai Comini, ma grazie alla Manovra del governo Meloni.

Consumatori: “Una vergogna”

Secondo Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori, “è vergognoso che si voglia dare più tempo ai Comuni ritardatari per fissare le aliquote Imu, calpestando i diritti dei contribuenti”. Viene infatti contraddetto il principio dello Statuto del contribuente in base al quale al cittadino va dato un congruo preavviso prima che scatti l’obbligo del pagamento. “L’art. 3 dello Statuto del contribuente, ossia della Legge 27 luglio 2000, n. 212”, ricorda Dona a Il Fatto Quotidiano, afferma “non solo che ‘relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d’imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono’, ma anche che ‘le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell’adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti’. Peccato che tra il 15 gennaio e il 29 febbraio non ci siano 60 giorni, violando la ratio della norma”, conclude Dona.