Quando una relazione finisce, non si interrompono solo gli affetti, si riapre anche il capitolo economico. E anche dopo la fine di un’unione civile, le domande sono le stesse di chi divorzia: chi ha dato di più? Chi deve garantire un aiuto economico?
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Ho diritto all’assegno come ex partner di un’unione civile?
La Corte di Cassazione con la recente ordinanza n. 25495 del 17 settembre 2025 ha riconosciuto un principio consolidato, l’assegno divorzile si applica anche alle unioni civili. In particolare i giudici hanno affermato che il diritto al sostegno economico non deriva dallo status formale di coniuge, ma dal rapporto di solidarietà che l’unione civile crea tra i partner. Anche dopo lo scioglimento, chi ha contribuito in misura prevalente alla vita comune o ha sacrificato la propria indipendenza economica mantiene il diritto a una tutela.
“Il vincolo dell’unione civile genera doveri reciproci di assistenza morale ed economica che non si estinguono automaticamente con la cessazione del legame, ma continuano, in forma attenuata, a protezione del partner più debole (Cass., ord. n. 25495/2025)”.
La Legge Cirinnà, l .n. 76/2016, è il fondamento giuridico di questa equiparazione. L’art. 1, co. 25, stabilisce che, per quanto compatibile, allo scioglimento dell’unione civile si applicano le disposizioni della Legge sul divorzio (l. n. 898/1970). Quindi, se un’unione civile si interrompe, il partner in difficoltà può chiedere al tribunale un assegno di mantenimento o divorzile.
Quali criteri considera il giudice per l’assegno dopo un’unione civile?
Per stabilire quando spetta l’assegno serve dimostrare un concreto squilibrio economico tra i partner e il contributo che ciascuno ha dato alla vita comune. Le Sezioni Unite hanno superato la logica del “tenore di vita matrimoniale” e fissato i principi che valgono anche per le unioni civili (Cass. SS.UU. sent. n. 18287/2018).
“L’assegno non ha funzione punitiva né automatica, ma mira a ristabilire un equilibrio economico concreto, in relazione al contributo dato alla vita comune e alle opportunità sacrificate durante la relazione (Cass. ord. n. 25495/2025)”.
Secondo la giurisprudenza, l’assegno divorzile, e quindi anche quello riconosciuto dopo lo scioglimento di un’unione civile, ha una triplice natura:
- assistenziale, perché tutela chi non riesce a mantenersi autonomamente dopo la rottura;
- compensativa, perché riconosce il valore del lavoro familiare e delle rinunce fatte durante la convivenza;
- perequativa, perché mira a ridurre le disuguaglianze economiche nate dal diverso apporto dato alla vita di coppia.
Come il giudice valuta i presupposti
Il punto focale è la diseguaglianza economica non occasionale, uno squilibrio reale e duraturo tra i partner, frutto delle scelte condivise durante l’unione. Serve provare che l’unione ha inciso in modo concreto sulle possibilità economiche di chi chiede l’assegno, ad esempio, chi ha lasciato il lavoro per occuparsi dei figli o dell’assistenza domestica.
Il giudice esamina:
- la durata dell’unione civile, che incide sul peso del contributo reciproco;
- il tenore di vita condiviso durante la relazione;
- le risorse economiche e patrimoniali di ciascun partner, compresi immobili, rendite, investimenti;
- il contributo non economico, come la cura dei figli, la gestione della casa e il sostegno alla carriera dell’altro.
Il tutto con una prognosi di autosufficienza futura, l’assegno spetta se, senza quell’aiuto, la persona non può mantenere una condizione dignitosa e proporzionata al contributo dato.
Come si avvia la richiesta e come viene calcolato l’assegno nell’unione civile?
Il primo passaggio è la dichiarazione di scioglimento, che può essere fatta anche unilateralmente davanti all’Ufficiale di stato civile (art. 1, comma 24, l. n. 76/2016). È sufficiente una dichiarazione personale, senza bisogno di motivazioni o consenso dell’altro partner. Tuttavia, tale dichiarazione produce solo effetti anagrafici, per regolare le condizioni economiche, come l’assegno o la casa comune, serve un accordo o un provvedimento giudiziario.
Le strade sono due. La negoziazione assistita, una procedura consensuale che si svolge davanti agli avvocati delle parti, prevista dal D. l. n. 132/2014. È la via meno conflittuale:
“I partner definiscono le condizioni economiche, l’importo dell’assegno e gli eventuali altri obblighi, con un accordo che viene poi trasmesso all’Ufficiale di stato civile per la registrazione”.
Invece, il ricorso giudiziale, necessario se non si raggiunge un’intesa. In questo caso, il tribunale valuta le condizioni economiche di ciascuno e può disporre l’assegno. L’intervento del tribunale è obbligatorio anche quando ci sono beni immobili in comune o pendenze economiche complesse, perché solo il provvedimento giudiziale ha valore esecutivo.
Come si calcola l’importo dell’assegno
Il calcolo dell’assegno si basa su una valutazione caso per caso. Il giudice considera:
- i redditi effettivi e potenziali di entrambi i partner, inclusi stipendi, pensioni, rendite e patrimoni;
- la durata dell’unione civile e il contributo dato alla vita comune;
- le prospettive professionali e la capacità di mantenersi autonomamente;
- eventuali sacrifici economici o familiari sostenuti durante la convivenza.
L’assegno può essere riconosciuto in forma periodica (mensile o trimestrale) oppure una tantum, cioè con il versamento di una somma unica.
“Se due partner hanno convissuto per 10 anni e uno dei due ha rinunciato a lavorare per seguire la casa e sostenere la carriera dell’altro, il giudice potrà tenere conto del reddito del partner economicamente forte, del valore del contributo familiare e del tempo per riacquisire autonomia”.
Cosa succede all’assegno se il mio ex partner si rimette in unione o migliora reddito?
Dopo lo scioglimento di un’unione civile, può accadere che uno dei due ricominci una nuova relazione o migliori la propria situazione economica. Ma questo non basta a far cessare l’assegno; la revoca non è automatica.
La Corte di Cassazione ha chiarito che la nuova convivenza o un nuovo legame affettivo non comportano, da soli, la perdita del diritto (Cass. SS.UU. n. 32198/2021). E’ un diritto che deve essere “valutato in concreto”, alla luce dei cambiamenti economici effettivi.
“L’assegno può essere ridotto o revocato solo se la nuova condizione personale comporta un effettivo mutamento del quadro economico complessivo (Cass., ord. n. 25495/2025)”.
Quando la situazione può cambiare
L’assegno può essere rivisto, ma solo se uno dei partner prova che l’equilibrio economico tra le parti è mutato in modo stabile. Ciò accade, se il beneficiario inizia una nuova unione civile o si sposa, in questo caso il diritto si estingue, perché il nuovo legame crea un sistema autonomo di doveri e solidarietà economica.
Diversa è la convivenza di fatto stabile, che non determina in automatico la perdita dell’assegno. Tuttavia, se la nuova convivenza genera una condivisione economica continuativa, per esempio, spese comuni, contribuzione al reddito o un miglioramento reale del tenore di vita, il giudice può disporre una riduzione o una revoca.
Infine, le relazioni occasionali o non stabili restano irrilevanti, finché non si forma un nuovo nucleo familiare, l’obbligo economico rimane.
Anche un incremento dei redditi o la riduzione delle risorse del partner obbligato possono giustificare una modifica. In questi casi è necessario presentare un’istanza di revisione, allegando documenti, buste paga o prove del mutamento economico.
E per il fisco e l’esecuzione: come funziona l’assegno dopo un’unione civile?
Se il tribunale o l’accordo di negoziazione assistita riconoscono un assegno a favore dell’ex partner, la questione fiscale e quella esecutiva sono di grande rilievo.
Dal punto di vista fiscale, l’Agenzia delle Entrate equipara gli assegni riconosciuti dopo lo scioglimento di un’unione civile a quelli derivanti dal divorzio. La circolare n. 19/E del 2022, stabilisce che gli assegni periodici corrisposti all’ex partner sono deducibili dal reddito IRPEF per chi li versa e imponibili per chi li riceve; la somma una tantum non è deducibile né tassabile, perché non ha carattere di periodicità e non costituisce reddito continuativo.
Pertanto, se un ex partner versa 800 € al mese a titolo di assegno, potrà dedurre ogni anno 9.600 € dal proprio reddito, a condizione che il pagamento avvenga con mezzi tracciabili (bonifico, assegno, conto dedicato) e che l’importo sia chiaramente indicato nel titolo.