“Più evasione per tutti”: la ricetta di Meloni può funzionare davvero?

Dopo il discorso programmatico in Parlamento, la premier è tornata ad insistere sulla lotta al valore sommerso: colpirà tutti o solo certi contribuenti?

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Pierpaolo Molinengo

Giornalista economico-finanziario

Giornalista specializzato in fisco, tasse ed economia. Muove i primi passi nel mondo immobiliare, nel occupandosi di norme e tributi, per poi appassionarsi di fisco, diritto, economia e finanza.

“Faremo una lotta serrata all’evasione fiscale“. Sono queste le parole utilizzate da Giorgia Meloni nell’aula della Camera durante il discorso con cui ha esposto i principali punti del suo programma in occasione del voto di fiducia al suo governo. La maggioranza di centrodestra – dopo le tante divisioni che hanno accompagnato la spartizione per la nomina dei titolari dei ministeri e dei sottosegretari – si è ricompattata in occasione del doppio intervento della nuova premier prima a Montecitorio e poi a Palazzo Madama, mostrando una coesione difficile da prevedere fino a qualche giorno prima.

Proprio nelle stesse ore in cui i rappresentanti dei partiti eletti in Parlamento esprimevano il proprio voto favorevole o contrario al nuovo esecutivo, una notizia aveva cominciato ad occupare le pagine delle agenzie di stampa, provocando agitazione tra deputati e senatori. La presidente del Consiglio non aveva ancora concluso il proprio intervento quando ha appreso della presentazione di una proposta di legge per alzare il tetto all’uso del contante, firmata dall’esponente leghista Alberto Bagnai.

Evasione fiscale e tetto al contante

Seguendo il parere di molti economisti, la crescita dell’evasione fiscale e l’utilizzo della moneta fisica sono due aspetti collegati in maniera diretta tra loro. Non tutti gli esperti sono concordi con questa visione: ad oggi infatti non esiste un automatismo comprovato dalla scienza che accomuni questi due fattori. Eppure tutti sappiamo come vi sia un potenziale collegamento tra le operazioni che prevedono l’uso del contante e la possibilità che questo finisca per ingrossare il valore sommerso.

Ne sono convinte le forze di opposizione, che hanno alzato i toni contro Giorgia Meloni quando ancora si trovava in Aula. “Con le tante emergenze da affrontare per garantire la salvaguardia economica e sociale degli italiani, il nuovo governo decide di partire con un assist agli evasori“: questo il commento più ricorrente tra le fila del Partito Democratico. Un concetto ribadito anche dagli eletti del Movimento 5 stelle, mentre deputati e senatori del Terzo Polo hanno messo nel mirino il partito di Matteo Salvini, reo di “strizzare l’occhio ai frodatori per recuperare il consenso perduto in campagna elettorale”.

Il nesso tra l’utilizzo della moneta elettronica e la lotta al valore sommerso

Con la voce ferma ma un po’ rauca a causa delle molte sigarette dell’ultimo periodo, la presidente del Consiglio non ha atteso neanche mezza giornata per formulare la propria risposta alle critiche. “Non c’è correlazione tra l’evasione fiscale e l’innalzamento del tetto all’utilizzo del contante” ha replicato, citando le parole pronunciate da Pier Carlo Padoan quando era ministro dell’Economia del governo di Matteo Renzi. Un’affermazione che l’attuale presidente del Cda di Unicredit ha poi ritrattato nel corso degli anni, affermando come le due cose non siano poi così scollegate come gli era uscito e citando nel merito un report della Banca d’Italia.

Al di là del botta e risposta in occasione della fiducia, nei giorni successivi Giorgia Meloni ha voluto delineare con maggior precisione quello che intende fare per contrastare una delle piaghe peggiori del nostro sistema economico e contributivo: “Partiremo dai cosiddetti evasori totali, controllando le operazioni svolte dalle imprese maggiori del nostro tessuto sociale e andando ad intervenire sulle grandi frodi dell’Iva“. Una frase ad effetto che però innesca una domanda che esperti e studiosi si pongono ormai da tempo: il problema dell’Italia è davvero quello della grande evasione?

Cosa non torna nel ragionamento di Giorgia Meloni sul valore sommerso

Pare proprio di no, almeno se si osserva la relazione del ministero dell’Economia pubblicata ad inizio anno sulla situazione complessiva dei conti nel 2021. Stando ai numeri elencati da via XX Settembre, l’imposta più evasa risulta essere l’Irpef sul lavoro autonomo e di impresa, il cui mancato pagamento vale di per sé 32,4 miliardi di euro nei dodici mesi. Le altre due tasse che pagano solo le aziende, ossia l’Ires sui redditi e l’Irap regionale, vengono evase in misura minore, rispettivamente per la cifra di 8,3 e 5 miliardi di euro.

Il dato più positivo riscontrato dai tecnici del Tesoro riguarda l’evasione sull’Iva. Confrontando i numeri del 2021 con quelli di cinque anni prima (quando, volontà del destino, a dirigere i conti c’era proprio Padoan), il dicastero evidenzia come ci sia stata una netta discesa del valore sommerso derivante dall’imposta sul valore aggiunto, che è passato da 35,8 a 27 miliardi di euro nel giro di un lustro. Questo proprio in virtù della progressiva stretta sul contante, che ad oggi ha raggiunto il tetto dei 2 mila euro (con ulteriore discesa a mille nei prossimi mesi, a meno che il governo non intervenga).

I dati del Tesoro e il gettito dell’Agenzia delle Entrate

Già da questi dati si potrebbe evincere come la parte più consistente dell’evasione non sembra derivare dai mancati pagamento delle grandi industrie, bensì dai piccoli sotterfugi che spesso vengono orchestrati nelle micro transizioni. Un presentimento che viene confermato dal valore del gettito incassato dall’Agenzia delle entrate in questo settore.

Sempre in riferimento al 2021, a fronte di quasi 4 mila controlli effettuati sui grandi contribuenti (ossia tutti coloro che dichiarano un fatturato annuo superiore ai 100 mila euro), l’Agenzia ha potuto accertare e iniziare a recuperare circa 1,2 miliardi di euro. Un dato che però è rappresenta circa la metà di quello che invece è emerso per quanto riguarda le imprese di medie dimensioni: a parità di accertamenti svolti, le imposte non versate dal tessuto medio dell’imprenditoria raggiungono una cifra di 2,2 miliardi di euro.

Infine c’è tutta la parte di controlli svolti su lavoratori autonomi e partite Iva. Il valore di quanto non è stato versato in termini di tasse e imposte durante lo scorso anno raggiunge addirittura la quota di 3,7 miliardi di euro. Più della somma dei due valori precedenti. E vale la pena aggiungere come molti dei soggetti attenzionati non rientrino in alcun caso nella categoria dei grandi contribuenti. La domanda da cui siamo partiti torna a risuonare ancora una volta: siamo davvero sicuri che il problema dell’Italia sia la grande evasione?