Autonomia differenziata, ecco quando entrerà in vigore

Il Governo punta a far entrare in vigore la legge nel 2024, ma gli ostacoli lungo la corsa non sono pochi. Ecco tutte le tappe e il calendario del disegno di legge

Foto di Maurizio Perriello

Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Dopo l’ok da parte del Consiglio dei ministri al disegno di legge che riforma l’autonomia (ne abbiamo parlato qui), è già arrivato il tempo dei dubbi e delle domande. La prima e più importante riguarda le tempistiche: quando entrerà in vigore il nuovo sistema voluto fortemente dal Governo Meloni?

La Presidente del Consiglio assicura che l’Italia sarà “più forte e più unita, ma l’iniziativa sta già dividendo profondamente i governatori delle Regioni. Uno degli ostacoli principali riguarda l’obbligo di un accordo con il Governo previsto per tutte le Regioni che intenderanno ampliare i propri poteri.

Il calendario dell’autonomia differenziata

E partiamo proprio dalle tempistiche. Il Governo auspica che la legge quadro, formata da 10 articoli, entri in vigore nel 2024, quindi nel giro di un anno. Si tratta di una previsione ragionevole, dato che quello sull’autonomia non è un disegno di legge costituzionale, che avrebbe tempi di approvazione più lunghi, con la doppia lettura da parte del Parlamento e la possibilità di una consultazione popolare tramite referendum.

Il calendario delle varie tappe è in capo alla Cabina di regia istituita a Palazzo Chigi dalla Manovra. L’assemblea è formata dal Presidente del Consiglio, dal presidente della Conferenza delle Regioni e da quello dell’Associazione nazionale dei comuni italiani, oltre che da una serie di ministri: quello per gli Affari regionali, quello per gli Affari europei, quello per il Sud, per le politiche di coesione e il Pnrr, quello per le Riforme istituzionali, quello dell’Economia.

Il rebus del Livelli essenziali di prestazione

In questo contesto si iscrive la questione (apertissima) dei Lep, i Livelli essenziali di prestazione, primaria al fine di garantire una base minima di servizi in tutto il Paese. I Lep sono previsti dalla Costituzione, ma non sono stati ancora definiti. Il loro finanziamento è approvato per legge, se determinano oneri aggiuntivi per le casse dello Stato. Se nel corso del tempo i Lep cambiano, la Regione dovrà comunque rispettarli dopo la revisione delle risorse.

La durata dell’iter della legge dipende in gran parte dalla definizione dei Livelli. Il compito della Cabina di regia è proprio quello di individuare i Lep in un anno, quindi entro fine 2023. Se non dovesse arrivare una valutazione nei tempi prestabiliti, la mansione passerà in mano a un commissario straordinario. Poi tocca al Parlamento, con le Camere che avranno 45 giorni per esprimere il loro parere, prima che il testo venga adottato.

Un iter piano di “curve”

Ma non è finita qui: l’iter per l’intesa durerà almeno cinque mesi. Il ministro dell’Economia e quelli competenti avranno 30 giorni per valutare la richiesta della Regione, dopo che è la stessa stata trasmessa al presidente del Consiglio e al ministro per gli Affari regionali. Dopodiché si inaugura un negoziato con la Regione per l’intesa preliminare, approvata poi dal Cdm e trasmessa alla Conferenza unificata che, a sua volta, ha 30 giorni per il parere. Il testo torna quindi alle Camere e il regolamento prevede che i “competenti organi parlamentari” abbiano 60 giorni per “atti di indirizzo”.

La “giostra” non si ferma ancora, perché l’ultimo giro spetta al premier o, in alternativa, al ministro per gli Affari regionali, il quale predispone l’intesa definitiva al netto di eventuali e ulteriori negoziati. La Regione approva la risoluzione ed entro 30 giorni ci sarà la delibera in Cdm. Il disegno di legge è quindi trasmesso alle Camere, che votano a maggioranza assoluta. L’iter dei ddl del governo in media nell’ultima legislatura è durato 81 giorni al Senato e 69 giorni alla Camera.