Diga e gasdotto distrutti in Ucraina, perché ora la guerra fa più paura

Sabotaggio o incidente? Cosa è successo alla diga di Nova Kakhovka e alla conduttura Togliatti-Odessa per il trasporto di ammoniaca, importantissime sia per i russi sia per gli ucraini

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

La guerra in Ucraina non ha risparmiato persone e infrastrutture civili fin dai primissimi giorni. Dai raid sull’aeroporto di Kiev a quelli sul teatro e sull’ospedale pediatrico di Mariupol, dalla distruzione del Ponte Kerch al massacro di Bucha: questi sono solo gli esempi tristemente più celebri di un conflitto che ha ferito in maniera insanabile la “nuova” frontiera d’Europa. Per non parlare dell’orrore delle vittime civili del conflitto, che sfiorano quota 10mila.

Negli ultimi giorni è toccato a un’altra infrastruttura civile di importanza strategica cadere sotto il fuoco della guerra. Anzi, a due infrastrutture cruciali: la diga che raccoglieva le acque del fiume Dnepr nelle vicinanze della città di Nova Kakhovka, nell’oblast di Kherson controllato dai russi, e la parte finale del gasdotto Togliatti-Odessa che trasportava ammoniaca dalla Russia all’Ucraina. Nel secondo caso si parla genericamente di “un’esplosione”, mentre nel primo si rincorrono le accuse reciproche. Mosca attribuisce la responsabilità del crollo agli ucraini e “documenta” le sue affermazioni, mentre dall’altro lato della barricata Zelensky punta il dito contro Putin e il “disastro da lui causato”, coadiuvato nell’accusa al Cremlino dai vertici occidentali. Anche sul numero di vittime non c’è accordo: per gli ucraini il bilancio è di cinque morti e di 13 dispersi, mentre Mosca parla di otto vittime. Intanto sono oltre 40mila i residenti evacuati dalla zona alluvionata.

Cosa è successo alla diga di Nova Kakhovka

Nella notte tra il 5 e il 6 giugno cade giù la paratoia principale della diga della centrale idroelettrica di Kakhovskaya. Ne è seguita una vasta inondazione nei territori più a valle, investiti da un autentico tsunami che ha costretto all’evacuazione migliaia di persone e allagato oltre 20mila ettari di campi coltivati e coltivabili a ridosso del fiume Dnepr. La produzione agricola della zona potrebbe rimanere interrotta per i prossimi cinque anni. Sono passate circa due ore dallo sfondamento della parete all’allagamento del territorio fino a Kherson, con la velocità dell’onda principale che ha raggiunto i 25 chilometri orari. Il livello dell’acqua è continuato a salire per oltre 14 ore, inondando decine di villaggi. Un’onda apocalittica. In una parola: inarrestabile. Il fronte coinvolto dal disastro è di oltre 2.500 chilometri quadrati, pari a oltre un terzo dell’intero territorio alluvionato in Emilia-Romagna (di cui avevamo parlato qui).

Dopo due giorni la piena, con tutto ciò che ha incontrato e trascinato lungo il suo percorso, è sfociata nel Mar Nero. Con essa è arrivata anche un’enorme chiazza di petrolio, derivante da almeno 150 tonnellate di olio da turbina fuoriuscite della centrale idroelettrica distrutta. Un danno ambientale enorme, accompagnato a un rischio ancora più grande per la sicurezza civile: la grande onda ha smosso centinaia di mine installate dagli invasori russi sulle sponde del Dnepr, terreno di una ferocissima battaglia fino a poche ore prima (con cecchini sugli alberi, come abbiamo spiegato qui). Il rischio mortale nascosto nel fango è diventato altissimo per abitanti e soccorritori. La piena ha inoltre sommerso i quartieri meridionali della città di Kherson, capoluogo dell’omonimo oblast. Immagini che ci risultano tragicamente familiari, con tutto l’abitato stretto fra il corso principale del Dnepr e il suo affluente Kosheva. Migliaia di persone sono rimaste senza accesso ad acqua potabile e corrente elettrica e altre 16mila rischiano l’evacuazione sulla sponda destra del fiume.

C’è poi un rischio ancora più atroce, che gli osservatori affermano essersi già trasformato in realtà: oltre alle mine e alle sostanze inquinanti, la piena del Dnepr ha travolto e trascinato decine e decine di cadaveri sparsi in tutta la piana alluvionale di Kherson. Una tragedia umana, ma anche un pericolo notevole per la diffusione di malattie. Si rischiano anche gravi danni agli ecosistemi per molte specie di animali e piante, per non parlare delle colture.

Sabotaggio o incidente?

Nonostante le accuse reciproche e le discordanti conclusioni di intelligence ed esperti, non è chiara la causa del danneggiamento della diga di Nova Kakhovka. Zelensky ascrive un altro crimine di guerra alla nutrita lista ai danni della Russia di Vladimir Putin, mentre il governo russo accusa l’Ucraina di avere distrutto la diga come reazione al fallimento della controffensiva (ufficializzata giovedì, ma in realtà iniziata già prima, come abbiamo spiegato qui) e per colpire al cuore la Crimea occupata.

I canali filorussi su Telegram, soprattutto Rybar (legato ai servizi e ai vertici militari russi), sono stati i primi a pubblicare il video di un’esplosione che ha danneggiato la diga. Nonostante Mosca sostenga che la struttura sia stata colpita da missili Himars (occidentali) e dall’artiglieria nemica, l’ampiezza del varco (circa 200 metri) escluderebbe il bombardamento tramite vettori di questo tipo. Altrettanto improbabile risulta anche un sabotaggio diretto da parte russa. C’è però una terza ipotesi, la più probabile secondo gli esperti, che però si ha quasi timore di sostenere: il crollo “involontario”. Fino a un certo punto, perché comunque indotto attraverso danneggiamenti non istantanei, ma subiti dalla diga nel corso di settimane. Addirittura anni, se si considera un altro danneggiamento avvenuto nel 2022, questo sì a causa di esplosioni a ridosso dell’invaso provocate dagli ucraini per scardinare l’occupazione russa.

Se si ammette l’assenza di una detonazione mirata, risulta molto probabile che i danni causati dagli scontri precedenti (che hanno raggiunto l’apice tra l’estate e l’autunno 2022), insieme all’impossibilità di riparare la struttura e al forte aumento del livello dell’acqua nel bacino negli ultimi giorni, abbiano portato al crollo definitivo della notte del 5 giugno. È molto importante ricordare che la struttura risultava danneggiata già molto prima dell’esplosione definitiva, e per giunta nel punto in cui transita la maggior parte dell’acqua convogliata. Confrontando le immagini satellitari prodotta da Maxar tra il 28 maggio e il 5 giugno, il Washington Post aveva evidenziato questa verità. Secondo il giornalista Evan Hill, a fine maggio il ponte stradale che “incrocia” la barriera era ancora integro, mentre il 5 giugno risultava crollato. L’1 e il 2 giugno un tratto di strada attraverso la diga è crollato sotto la pressione dell’acqua, che poi ha eroso il resto della paratoia. Entro il 4 giugno la strada è stata completamente spazzata via. Anche a marzo 2023 i satelliti hanno rilevato danni e malfunzionamenti evidenti alla diga, con l’effetto che l’unica operazione riscontrata è stata quella dell’apertura di alcuni cancelli che controllano il flusso.

I militari russi intercettati

L’Ucraina e i suoi alleati occidentali sembrano però non avere dubbi: la diga è stata fatta saltare dai russi. E per provarlo ha reso noto l’audio di un’intercettazione telefonica tra ufficiali russi, in cui si sente forte e chiara un’autentica ammissione di responsabilità. “Non sono stati loro (gli ucraini) a colpire la barriera. C’è il nostro gruppo di sabotaggio. Volevano spaventare la gente con questa diga. Non è andata secondo i piani, ma più di quanto avessero previsto”, dichiara un funzionario militare russo.

Il Guardian ha proposto una traduzione dal russo dell’audio del colloquio tra due militari della Federazione. Ecco di seguito il botta e risposta:

“Il problema principale è che la centrale idroelettrica raffredda il loro reattore nucleare (della centrale di Zaporizhzhia)”.

– “Non c’è problema. Esploderà e sarà tutto finito”.

“Quindi sono stati i nostri. Non sono loro (gli ucraini), sono i nostri”.

– “Davvero, sono stati i nostri? Hanno detto che sono stati i khokhol (termine dispregiativo per gli ucraini) a farlo saltare in aria”.

“Non l’hanno fatta saltare. Il nostro gruppo di sabotatori è lì. Volevano causare paura con questa diga. Non è andata secondo i piani. (il risultato è) più di quanto avessero previsto”.

– “Sì, beh, naturalmente. Sarà come Chernobyl, giusto?”.

“E’ stata costruita negli anni ’50. È andata giù velocemente, è andata giù (la centrale idroelettrica di Kakhovka)”.

Ora: i servizi di intelligence sono dotati di strumenti raffinatissimi per intercettare anche il minimo movimento sul campo di battaglia e sul web. Ma non sempre dicono la verità, mettiamola così. Le prove si fabbricano da zero e a volte fungono addirittura come pretesto per lo scoppio di un conflitto, come accadde il 31 agosto 1939, alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, quando i tedeschi inscenarono un finto attacco inscenato contro la stazione radio tedesca di Gleiwitz per “giustificare” l’invasione della Polonia. Come minimo, il dubbio rimane.

Perché la diga è importante per l’Ucraina

La diga distrutta è importante sia per i russi, perché porta acqua dolce nella Crimea occupata e priva di sorgenti proprie, sia per gli ucraini, visto che le acque del Dnepr servono a raffreddare i reattori nucleari della centrale di Zaporizhzhia. Su quest’ultimo punto l’Aiea (Agenzia internazionale per l’energia atomica) rassicura che l’impianto continua a ricevere acqua dal bacino idrico anche dopo il danneggiamento dell’infrastruttura, spiegando che le operazioni di pompaggio dovrebbero “poter continuare anche se il livello scendesse sotto l’attuale soglia di 12,7 metri”, precedentemente considerata critica. Il “nuovo” limite idrico fissato dagli esperti è di “11 metri o anche meno”.

L’Aiea passa tuttavia in rassegna le eventuali fonti di approvvigionamento alternative. Qualora la diga non potrà più essere utilizzata, l’impianto potrà attingere da “un grande bacino situato nelle vicinanze, oltre a riserve più piccole e pozzi in loco che possono fornire acqua di raffreddamento per diversi mesi. È fondamentale che questo bacino rimanga intatto. Non si dovrebbe fare nulla per minare la sua integrità”, osserva il presidente dell’Aiea Rafael Grossi. La situazione, aggiunge, rimane “molto precaria e potenzialmente pericolosa”.

Per comprendere meglio l’importanza del bacino idrico per la sicurezza energetica e nucleare ucraina: è necessario raffreddare costantemente il combustibile nei noccioli del reattore e quello posto nelle vasche di stoccaggio, per evitare un incidente di fusione e rilasci radioattivi nell’ambiente. Il personale dell’impianto ha già introdotto misure per limitare il consumo di acqua, utilizzandola solo per “attività essenziali legate alla sicurezza nucleare”. La centrale idroelettrica e la diga di Khakovka sono, insomma, infrastrutture critiche per il Paese invaso.

Perché la diga è importante per la Russia

La perduta integrità della diga di Kakhovka, lo abbiamo accennato, è molto importante anche per gli occupanti russi. La Crimea, annessa unilateralmente alla Federazione e priva di sorgenti proprie, dipende in maniera decisiva dall’acqua dolce raccolta nel bacino situato 400 chilometri più a nord. Il lunghissimo canale che trasporta le risorse idriche è stato costruito dall’Unione Sovietica negli Anni Cinquanta.

Il presunto attacco alla diga ha inoltre portato scompiglio e aumentato le tensioni tra le fila russe, come testimoniato da alcuni scambi interni alla catena di comando. Alcuni analisti vicini al Cremlino hanno evidenziato come “uno dei problemi più acuti degli eserciti post-sovietici sia la mancanza di iniziativa. Diversi combattenti russi che occupavano posizioni avanzate nella zona alluvionale, dopo la distruzione della centrale idroelettrica di Kakhovskaya, sono scomparsi”. Si “rimprovera” a questi gruppi militari “l’attesa di ordini dall’alto che sapevano benissimo non sarebbero arrivati”. “I comandanti minori aspettavano il comando invece di decidere di salvare il personale. La meschinità e la mancanza di iniziativa portano alla morte”, si legge su Telegram.

C’è anche, non ultima, la questione militare. Non è facile stabilire quale schieramento risulta avvantaggiato dalla grande inondazione. Se si considerano tuttavia la posizione di entrambi e le modalità di scontro nella zona, potremmo anche concludere che lo “tsunami” fluviale ostacola i movimenti di chi avanza (gli ucraini) e aiuta chi sta fermo trincerato a difendersi (i russi). L’annuncio ufficiale della controffensiva da parte di Kiev risponde in parte anche all’esigenza di non “darla vinta” agli avversari, dimostrando che non sarà un atto di sabotaggio civile, per quanto drammatico si sia rivelato, a fiaccare la resistenza del Paese. Di fatto, però, nella piana alluvionale di Kherson non si può combattere come prima una guerra di movimento e logoramento. E questo forse fa il gioco dei russi, che si è ben trincerato più a est e più a sud (ne avevamo parlato anche qui).

La distruzione della conduttura di ammoniaca Togliatti-Odessa

Oltre alla diga di Khakovka, nella notte del 5 giugno anche un’altra infrastruttura critica è stata vittima di un grave danneggiamento: il gasdotto Togliatti-Odessa che trasporta ammoniaca dalla Russia “profonda” al grande porto ucraino sul Mar Nero. Per chi se lo stesse chiedendo: sì, esiste una città russa che intitolata alla grande guida del Partito Comunista Italiano fino agli Anni Sessanta. Così come è intitolata all’ex ministro del Regno d’Italia la società di fertilizzanti russa Togliattiazot. La conduttura è un’opera colossale: costruita dai sovietici negli Anni Settanta, corre per 2.400 chilometri dal cuore della Federazione fino alle coste ucraine, trasportando ogni anno 2,5 milioni di tonnellate di ammoniaca utilizzata per la produzione di fertilizzanti agricoli. Facile capire, dunque, come la fornitura di ammoniaca sia uno dei cardini dell’iniziativa del Mar Nero e del delicatissimo “accordo del grano”.

Il flusso di ammoniaca era stato sospeso fin dal primo giorno di guerra, il 24 febbraio 2022, ufficialmente per garantire la sicurezza delle popolazioni che vivono nelle vicinanze del lungo gasdotto. La fornitura è stata poi però ristabilita, come condizione principale del patto sull’esportazione di cereali siglato da Russia e Ucraina, e rinnovato fino al 17 luglio, con la mediazione della Turchia. L’esplosione blocca di nuovo tutto. Il Cremlino fa sapere che per riparare la conduttura potrebbero volerci tre mesi, ma a condizione che Kiev consenta l’accesso di tecnici russi nella regione ucraina di Kharkiv, dove sarebbe avvenuto il sabotaggio. Uno scenario ben poco plausibile, come si può capire.

Chi è stato a sabotare la conduttura?

A differenza del crollo della diga, nel caso dell’infrastruttura Togliatti-Odessa le due parti usano spesso la parola “incidente”. Da una parte i russi, pur puntando il dito contro gli ucraini, non escludono che “le circostanze si siano verificate senza alcun intento dannoso”. Per Mosca tuttavia non c’è dubbio che l’accaduto avvantaggi gli avversari. Secondo il Cremlino, dopo aver accusato la Russia di bloccare l’esportazione di grano dai porti ucraini indicati nel testo dell’accordo, gli ucraini hanno tagliato l’approvvigionamento di ammoniaca russa per impedirne l’export. Risultato: numerose navi sono rimaste ferme nel porto di Odessa, “affamando” i Paesi che dai cereali russo-ucraini dipendono fortemente e “facendo passare ancora una volta i russi per i colpevoli” della situazione. Mosca punta il dito anche contro le Nazioni Unite, i cui “interessi commerciali” coincidono con quelli di Kiev, così come l’esigenza di “dimostrare che l’esportazione è tecnicamente impossibile per volontà della Russia”.

Incrociando qualche informazione, viene fuori che l’oleodotto dell’ammoniaca, attraverso il quale viene esportato poco più del 10% della produzione annua russa, è utilizzato da Togliattiazot e Minudobreniya – quest’ultima di proprietà di Arkady Rotenberg, l’oligarca russo comproprietario del gruppo Stroygazmontazh, la più grande società di costruzioni di gasdotti e linee elettriche in Russia. I profitti delle forniture vanno però alla società ucraina Agro Gas Trading la cui gestione, con l’avvento al potere di Zelensky, ha ricevuto il monopolio delle entrate dal terminal di Odessa. Russi e ucraini, insomma, continuano a fare affari nonostante la guerra. Nulla di strano.

L’importanza del gasdotto e dell’ammoniaca

Il Cremlino non è rimasto a guardare e ha iniziato la costruzione di un nuovo terminal per il trasporto di ammoniaca a Taman, la penisola che dal territorio russo di Krasnodar conduca in Crimea attraverso il ponte di Kerch (colpito e abbattuto in più di un’occasione). Entro dicembre 2023 il terminal distrutto di Odessa non sarà più cruciale per le forniture. Forniture che risultano vitali per il mondo intero, visto che la Russia esporta quasi il 10% dell’ammoniaca mondiale, seconda solo alla Cina. La sezione finale del gasdotto che parte da Togliatti è l’Odessa Port Plant (OPZ), che dispone di impianti per la trasformazione dell’ammoniaca in fertilizzante azotato carbammide (urea). Ad aprile, questo impianto è stato messo fuori servizio.

Il nuovo gasdotto raddoppierà la capacità russa di approvvigionamento, garantendo 5 milioni di tonnellate di ammoniaca fino al 2025. Finché questa nuova struttura non sarà pronta, l’ammoniaca sarà trasportata su ferrovia in vagoni cisterna da Togliatti fino agli snodi principali che poi vedranno i carichi smistati per Turchia, India e Brasile. Attualmente il mercato mondiale sta vivendo una carenza di energia e cibo. Con un costo di produzione medio di 295 dollari per tonnellata, il prezzo di vendita dell’ammoniaca è ora schizzato fino a 500 dollari.

L’ammoniaca anidra, che è un gas incolore, è ampiamente utilizzata nella produzione di fertilizzanti e prodotti chimici e viene trasportata ad alta pressione e a basse temperature per mantenere lo stato liquido. Essa rappresenta un materiale di primaria importanza per i fertilizzanti e l’agricoltura e uno stop delle esportazioni potrebbe portare a un ulteriore incremento dei prezzi, oltre che a una minore offerta sui mercati. E il prezzo del grano già ne risente pesantemente.