Quante centrali idroelettriche ci sono in Italia e quanta energia producono: sono pericolose?

Cosa sappiamo delle centrali idroelettriche: a cosa servono? Come funzionano? Quante ce ne sono in Italia? Sono pericolose? Il ricordo della tragedia del Vajont

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Un terribile incidente attorno alle 14.30 di lunedì 9 aprile nella centrale elettrica di Bargi, provincia di Bologna, ha causato 7 morti e 5 feriti gravi con ustioni. La centrale, una delle più grandi dell’Emilia-Romagna, è gestita da Enel Green Power e si trova sotto il livello dell’acqua sulle sponde del bacino artificiale di Suviana, nel cuore dell’Appennino bolognese.

Una turbina è esplosa all’ottavo piano sotto lo zero, causando prima un incendio e poi l’allagamento del nono, con crollo di un solaio. Diverse coinvolte nell’incidente erano operai e tecnici di ditte esterne impegnati da più di un anno in lavori di manutenzione straordinaria: uno di loro era un ex dipendente Enel impiegato ora come consulente.

Cosa sappiamo di questa centrale idroelettrica e, più in generale, delle centrali idroelettriche. A cosa servono? Come funzionano? Quante ce ne sono in Italia? Sono pericolose?

Cosa sappiamo dell’incidente alla centrale idroelettrica di Suviana

L’incidente alla centrale idroelettrica di Bargi, nel bacino artificiale di Suviana, Bologna, ha provocato 7 vittime e 5 feriti gravi, tutti ricoverati.

Per quanto riguarda i prossimi passi, ha detto il procuratore capo di Bologna, Giuseppe Amato, “in questa fase stiamo cercando di capire cos’è successo, faremo un’iscrizione di natura tecnica del fascicolo nei prossimi giorni per eseguire gli accertamenti urgenti che sono in primo luogo quelli sulle salme, verificheremo se è necessario o no procedere alle autopsie e poi dopo faremo gli approfondimenti”.

La centrale di Suviana è gestita da Enel Green Power. La società è stata fondata nel dicembre 2008 all’interno del Gruppo Enel e gestisce e sviluppa attività di generazione di energia da fonti rinnovabili a livello globale. Opera in tutto il mondo con oltre 1.300 impianti. La capacità rinnovabile installata è di oltre 63 GW attraverso un mix di generazione che include le principali fonti rinnovabili tra cui eolico, solare, idroelettrico e geotermico.

Intanto, Cgil e Uil hanno organizzato giovedì 11 aprile uno sciopero generale di tutti i settori pubblici e privati, per l’intera giornata, in tutta l’Emilia-Romagna. Sciopero che ha incrociato quello generale nazionale già programmato per la stessa giornata di giovedì 11 aprile, di 4 ore in tutti i settori privati e 8 ore in quello dell’edilizia, con manifestazioni e iniziative nelle varie città italiane.

A cosa serve e come funziona una centrale idroelettrica

Una centrale idroelettrica serve a trasformare l’energia idraulica di un corso d’acqua, naturale o artificiale, in energia elettrica rinnovabile, quindi pulita, cioè appunto energia idroelettrica.

In generale, una centrale comprende un’opera di sbarramento – una diga o una traversa – che intercetta il corso d’acqua, creando un invaso, che può essere un serbatoio o un bacino idroelettrico. Grazie poi a canali e gallerie di derivazione, l’acqua viene convogliata verso delle turbine idrauliche, che, ruotando, generano energia meccanica, convertita poi in energia elettrica. L’acqua finisce poi in un canale di scarico, attraverso il quale viene restituita al corso d’acqua.

Grazie alle attuali tecnologie, è possibile trasformare in elettricità il 90% circa dell’energia dell’acqua, cioè una percentuale quasi 3 volte superiore al livello di efficienza delle fonti di energia tradizionali. A rendere l’energia idroelettrica particolarmente interessante è il fatto di essere a basso impatto ambientale e ad alta efficienza: non a caso, tra gli impianti rinnovabili più grandi del mondo, i primi 5 per energia prodotta sono alimentati proprio dalla forza dell’acqua.

Quante centrali idroelettriche ci sono in Italia

In Italia l’energia idroelettrica è tra le fonti rinnovabili più diffuse, soprattutto grazie alla conformazione dello Stivale, dove, grazie alle catene montuose delle Alpi e degli Appennini, le pendenze del terreno fanno sì che ci sia il giusto dislivello sfruttabile per garantire un’alta resa di produzione di energia.

L’idroelettrico è oggi la prima fonte rinnovabile per la generazione elettrica in Italia, pari al 40,7%, e gioca un ruolo di primo piano nell’attuale crisi energetica, rendendo il sistema energetico del Paese più sicuro, più resiliente e più sostenibile. Tuttavia, oltre il 70% degli impianti idroelettrici in Italia ha più di 40 anni e l’86% delle concessioni di grandi derivazioni idroelettriche è già scaduto o scadrà entro il 2029.

La prima centrale idroelettrica nel nostro Paese fu costruita addirittura nel 1895 a Paderno d’Adda, provincia di Lecco, in Lombardia. Secondo i dati Terna, al 31 dicembre 2022 le centrali idroelettriche in Italia sono 4.790, così suddivise per regione (tra parentesi riportiamo la quantità di energia prodotta in ogni regione):

  • Piemonte: 47 (potenza totale dei generatori 21.901)
  • Valle d’Aosta: 15 (potenza totale dei generatori 6.236)
  • Lombardia: 26 (potenza totale dei generatori 11.119)
  • Trentino Alto Adige: 15 (potenza totale dei generatori 15.410)
  • Veneto: 4 (potenza totale dei generatori 358)
  • Friuli Venezia Giulia: 8 (potenza totale dei generatori 6.405)
  • Liguria: 4 (potenza totale dei generatori 642)
  • Emilia Romagna: 3 (potenza totale dei generatori 2.089)
  • Toscana: 5 (potenza totale dei generatori 1.382)
  • Lazio: 1 (potenza totale dei generatori 69)
  • Abruzzo: 2 (potenza totale dei generatori 2.107)
  • Molise: 1 (potenza totale dei generatori 151)
  • Campania: 2 (potenza totale dei generatori 686)
  • Basilicata: 1 (potenza totale dei generatori 500)
  • Calabria: 11 (potenza totale dei generatori 4.202)
  • Sicilia: 1 (potenza totale dei generatori 169).

Le centrali idroelettriche sono pericolose?

Secondo i dati contenuti in una scheda informativa pubblicata nel 2023 dal Dipartimento innovazioni tecnologiche e sicurezza degli impianti, prodotti e insediamenti antropici (Dit) dell’Inail, dal titolo “Analisi dei rischi e problematiche gestionali connesse alle apparecchiature delle centrali idroelettriche”, in Italia si contano più di 500 grandi dighe con sbarramenti alti più di 15 metri e/o con un invaso di oltre 1 milione di metri cubi . nel mondo sono oltre 40mila – e circa 10mila piccole dighe.

Dal momento che in passato ci sono stati catastrofici eventi legati agli sbarramenti – pensiamo al terrible disastro del Vajont del 1963 – è necessario, si legge nel documento, che queste strutture “siano dotate di sistemi di sicurezza in grado di intervenire in caso di avaria ed evitando che fenomeni naturali o piccoli guasti possano provocare danni ai lavoratori o all’ambiente circostante”.

Rispetto al passato, fortunatamente oggi è possibile monitorare in modo automatico la stabilità dei versanti, i livelli idrici e altri parametri attivando in caso di emergenza lo svuotamento controllato dell’invaso o altre attività di sicurezza, ma anche l’efficienza degli impianti può essere attentamente monitorata attraverso verifiche in autocontrollo o in occasione di verifiche previste per legge ad opera degli enti preposti, tra cui l’Inail.

Precisa infine l’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro che nelle dighe sono presenti molti impianti ed attrezzature che richiedono la denuncia e la successiva verifica da parte dei tecnici Inail stessi. Quindi in Italia, dal punto di vista legislativo, è garantito almeno sulla carta un alto livello di sicurezza degli impianti idroelettrici.

Il disastro del Vajont

Impossibile per noi italiani non scivolare immediatamente con la memoria alla tragedia del Vajont, seppure molto diversa per la dinamica. La sera del 9 ottobre 1963, nel neo-bacino idroelettrico artificiale del torrente Vajont nella valle che portava lo stesso none, al confine tra Friuli-Venezia Giulia e Veneto, una frana precipitò dal soprastante pendio del Monte Toc nelle acque del bacino alpino realizzato con la diga.

L’acqua contenuta nell’invaso tracimò con un effetto devastante, travolgendo prima i piccoli paesi di Erto e Casso. Il superamento della diga da parte dell’onda generata provocò l’inondazione e la distruzione degli abitati del fondovalle veneto, tra cui Longarone, e la morte di 1.917 persone, tra cui 487 bambini e ragazzi.

Lunghissime indagini portano infine alla scoperta che il disastro avrebbe potuto essere evitato. I progettisti e i dirigenti della SADE, ente all’epoca gestore dell’opera fino alla nazionalizzazione, “occultarono la non idoneità” dei versanti del bacino, che erano a rischio idrogeologico.

Dopo la costruzione della diga si scoprì infatti che i versanti avevano caratteristiche morfologiche, per incoerenza e fragilità, tali da non renderli affatto adatti ad essere utilizzati per contenere un serbatoio idroelettrico. Nel corso degli anni, l’ente gestore e i suoi dirigenti, pur essendo a conoscenza della pericolosità dell’impianto, peraltro ritenuta inferiore a quella che poi si rivelò, coprirono dolosamente i dati, con il beneplacito di vari enti locali e nazionali, dai piccoli comuni interessati fino al Ministero dei lavori pubblici.

Ci furono poi delle concause che in qualche modo prepararono al disastro: oltre alla costituzione geologica del versante nord del Monte Toc, ci furono opere imponenti di disboscamento, un progressivo decadimento delle caratteristiche meccaniche della base delle rocce interessate al movimento, le incisioni provocate dalla costruzione delle strade e dei canali in quell’area, la presenza del lago artificiale, ma anche le piogge abbondanti, che non fecero che peggiorare i problemi di stabilità del versante.