Le alternative al gas e il ritorno del carbone: 6 centrali pronte a ripartire

Tra i principali obiettivi del governo per fare fronte alla crisi energetica c'è la massimizzazione della produzione di energia con combustibili diversi dal gas

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Massimizzazione della produzione di energia elettrica con combustibili diversi dal gas. Questo è uno degli obiettivi prioritari del governo, per superare la crisi energetica innescata dalla guerra in Ucraina e dal taglio delle fornitura da parte della Russia, da cui il nostro Paese dipende per il 40% circa.

Oltre a cercare altre strade per avere gas in via alternativa rispetto alla Russia bisogna invertire la marcia.

Quali sono le alternative al gas

Mentre ci si chiede dove si prenderà il gas per l’inverno, la domanda lecità che ci si pone è quali sono le alternative ad esso. Ebbene, prima di tutto la produzione di energia elettrica da termoelettrico, che però al momento sta consumando più gas naturale rispetto agli stessi periodi degli anni precedenti, a causa dei consumi elettrici molto elevati e della scarsa produzione degli impianti idroelettrici.

Questo è dimostrato dai dati forniti da SNAM e Terna, che mostrano come dall’inizio del 2022 i consumi settimanali di gas del settore termoelettrico siano stati costantemente più alti rispetto alle medie degli ultimi anni.

Per ridurre il consumo di gas rispetto al tendenziale, spiega il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani nel suo Piano nazionale di contenimento dei consumi di gas naturale, un contributo di diversificazione ulteriore rispetto all’apporto delle energie rinnovabili, può essere ottenuto dalla massimizzazione della produzione di energia elettrica – già oggi sostenuta dagli alti prezzi dell’energia elettrica sul mercato – da impianti che usano combustibili diversi dal gas: e cioè carbone, olio combustibile e bioliquidi.

Il MiTE lo scorso 27 giugno aveva chiesto già a Terna di indicare ai produttori interessati l’esigenza di approvvigionare per tempo il combustibile necessario per la marcia massimizzata, in considerazione delle possibili difficoltà di mercato dovute alle sanzioni europee verso la Russia.

Per il settore dei bioliquidi, si è aperto in parallelo un confronto con i produttori interessati da rischi di fermata degli impianti per verificare le misure necessarie alla modifica temporanea dell’alimentazione.

Lo scorso 1° settembre, poi, Cingolani ha chiesto a Terna di dare avvio al Piano di massimizzazione della produzione di energia elettrica da combustibili diversi dal gas naturale in attuazione del decreto- legge del 25 febbraio 2022.

Le centrali a carbone

Per quanto riguarda il carbone, con un incremento del 20-25%, si attende una produzione più che doppia rispetto al 2021. La misura era già stata prevista nel decreto del 25 febbraio scorso.

Secondo il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima (Pniec), le centrali a carbone nel nostro Paese, nell’ottica della lunga marcia verso la decarbonizzazione in atto, avrebbero dovuto essere dismesse o convertite entro la fine del 2025. Ora, invece, diventano un’arma imprescindibile contro Putin e la sua minaccia all’Occidente.

Sei le centrali a carbone che dovrebbero riaprire a pieno ritmo:

  • Fusina (Venezia) (Enel)
  • Brindisi (Enel): la grande centrale termoelettrica Federico II è purtroppo classificata fra le più inquinanti d’Europa. Enel nel suo piano industriale aveva fissato per il 2025 la dismissione degli impianti, ma ovviamente il piano ora va in stand-by
  • Torrevaldaliga (Civitavecchia/Roma) (Enel): da sola produce in un anno oltre 8 milioni di tonnellate di CO2, pari al 78% dell’anidride carbonica emessa con la produzione energetica di tutto il Lazio
  • Portovesme (Sud Sardegna) (Enel)
  • Fiume Santo (Golfo dell’Asinara/Sassari) (Ep Produzione)
  • Monfalcone (Gorizia) (A2a)

Una la centrale a olio che riparte, di A2a, a San Filippo Del Mela (Messina).

Un’idea che non piace affatto agli ambientalisti. Legambiente aveva stimato che ogni kWh prodotto dalle centrali a carbone italiane emetteva 857,3 grammi di anidride carbonica, più del doppio rispetto ai 379,7 di quelle a gas naturale, e a fronte delle emissioni zero delle centrali solari, eoliche, idroelettriche, geotermiche a biomasse.

Ma quanto si risparmia? Secondo le stime elaborate, la massimizzazione della produzione a carbone e olio delle centrali esistenti regolarmente in servizio contribuirebbe per il periodo che va dal 1° agosto scorso al 31 marzo 2023 a una riduzione di circa 1,8 miliardi di Smc.

I bioliquidi

Per quanto riguarda i bioliquidi, è stata condotta un’analisi sugli impianti esistenti superiori a 1 MW, pari a circa 60 per una potenza complessiva di 770 MW, e su quelli inferiori a 1 MW, pari a circa 400 per una potenza di 230 MW.

In questo caso, l’obiettivo è di evitare la riduzione delle ore di funzionamento degli impianti a causa degli elevati costi della materia prima, autorizzando transitoriamente l’esercizio a gasolio.

Nell’ipotesi – si legge nel Piano – di massimizzazione del potenziale a partire dal mese di ottobre 2022, si eviterebbe il ricorso al consumo di gas per circa 290 milioni m3 di gas, mentre, iniziando dal mese di novembre 2022, sarebbe di poco superiore a 200 milioni m3 di gas, assumendo un rendimento di produzione termoelettrica del 56,4%, come nella analisi ENEA sui potenziali risparmi nel settore residenziale.

Tirando le somme, quindi, da questa misura il governo stima un contributo complessivo di risparmio di gas in Italia, il cui costo è arrivato alle stelle nel periodo di riferimento, di 2,1 miliardi di m3 di gas naturale.