Shell valuta un’acquisizione senza precedenti: l’acquisto della rivale britannica Bp. Secondo quanto riportato da Bloomberg, il colosso anglo-olandese avrebbe incaricato i propri consulenti di condurre analisi preliminari in vista di una potenziale offerta, che tuttavia dipenderebbe da un ulteriore calo del titolo Bp e del prezzo del petrolio, condizioni che renderebbero l’operazione più vantaggiosa.
Il dossier è ancora in fase embrionale, ma segnala un potenziale cambio di rotta nella strategia del gruppo, che solo pochi giorni fa, per voce dell’amministratore delegato Wael Sawan, aveva ribadito la preferenza per il riacquisto di azioni proprie rispetto a operazioni di M&A di grandi dimensioni.
Quanto valgono Shell e Bp
Per diversi anni, Bp e Shell hanno avuto dimensioni pressoché pari, ma negli ultimi anni la seconda è cresciuta fino a quasi il doppio della prima, con un valore di mercato di circa 149 miliardi di sterline. Shell ha riportato questa settimana solidi risultati del primo trimestre, superando le aspettative di profitto, e ha avviato un programma di buyback azionario da 3,5 miliardi di dollari. Bp ha invece un valore di circa 56 miliardi.
Un’eventuale acquisizione darebbe vita a un gigante in grado di competere direttamente con colossi come ExxonMobil e Chevron. Tuttavia, non mancano le insidie: un’operazione di queste dimensioni attirerebbe l’attenzione delle autorità Antitrust e richiederebbe un’integrazione profonda tra due strutture complesse e articolate.
Il delicato momento del settore oil
Il contesto di mercato rende lo scenario ancora più fluido: le azioni Bp sono sotto pressione e il prezzo del petrolio è sceso ai livelli più bassi degli ultimi tre anni. A complicare il quadro è intervenuta l’Opec+, guidata dall’Arabia Saudita, che ha annunciato due aumenti consecutivi della produzione per maggio e giugno come misura punitiva verso i Paesi membri, tra cui Iraq e Kazakhstan, che hanno ecceduto le quote concordate.
Una decisione sorprendente in un momento di domanda debole e crescenti tensioni geopolitiche, che ha già avuto un impatto rilevante sui mercati: il prezzo del Wti è crollato da 71 a 58 dollari al barile in meno di un mese, registrando un calo del 18%. Nell’ultima settimana, il calo è stato del 7%, vanificando ogni residua ipotesi di rimbalzo.
Questo contesto di debolezza presenta tuttavia un doppio volto per le big del settore: se da una parte mette sotto pressione i margini operativi e mina la fiducia degli investitori, dall’altra apre la strada a possibili operazioni di consolidamento a costi contenuti.
I problemi di Bp
Nel frattempo, Bp prova a risalire la china. Il nuovo amministratore delegato, Murray Auchincloss, ha messo in campo un piano di dismissioni da 20 miliardi di dollari entro il 2027, accompagnato da tagli alla spesa e programmi di buyback azionari per rassicurare investitori sempre più impazienti. Tra questi spicca Elliott Investment Management, il fondo attivista che ha superato il 5% del capitale e sta spingendo per un cambio di passo nella strategia e una gestione più efficiente.
Il crollo del prezzo del greggio, dunque, si intreccia con una partita di potere e di visione strategica destinata a ridefinire gli equilibri dell’intero settore energetico europeo. Il comparto si muove su una faglia instabile, in cui ogni mossa può produrre onde d’urto a livello globale.