Abbiamo un problema con il miele in Italia, perché il caldo anomalo, le alluvioni, i nubifragi e gli eventi atmosferici sempre più violenti hanno dimezzato la produzione nazionale rispetto all’anno scorso, con crolli più consistenti per alcune varietà come l’acacia, la sulla e gli agrumi.
A denunciarlo è la Coldiretti, secondo cui il raccolto del 2023 rischia di essere fra i più poveri del decennio, poiché schiacciato dagli eventi estremi frutto della progressiva tropicalizzazione del clima.
Cosa sta succedendo al miele italiano
La crisi della produzione di miele è legata e conseguente ai problemi legati al cambiamento climatico. Il 2023 si classifica fino ad ora in Italia al secondo posto tra gli anni più caldi dal 1800 e, secondo l’analisi della Coldiretti sui dati Isac Cnr, l’anomalia climatica è stata accompagnata da una media di quasi 10 eventi estremi al giorno per il maltempo lungo la Penisola.
Grandinate, trombe d’aria, bombe d’acqua, ondate di calore e tempeste di vento hanno provocato vittime e danni che, sulla base dei dati dell’European Severe Weather Database (Eswd), hanno avuto conseguenze negative anche su persone, colture e ambiente, fino a coinvolgere la produzione di miele.
Le perdite di produzione negli alveari infatti sono distribuite “a macchia di leopardo da Nord a Sud, dal Veneto alla Puglia, dalla Lombardia alla Calabria, dalla Toscana all’Abruzzo e hanno riguardato in particolare le raccolte di primavera”, che oltretutto rappresentano la parte più importante e consistente del miele nazionale, si legge nella nota stampa Coldiretti.
“A partire dalla seconda metà di giugno, si è osservata una ripresa delle produzioni con buoni risultati su alcune fioriture. Tuttavia, in diverse zone del Sud e delle Isole – si legge poi nel report – il caldo estremo di luglio ha condizionato i raccolti estivi e causato il collasso di diversi alveari con le temperature superiori ai 40 gradi hanno creato problemi alla termoregolazione degli alveari e causato talvolta la morte di intere famiglie”.
Quali le conseguenze
In Italia, secondo i dati a disposizione di Coldiretti, si consuma circa mezzo chilo di miele a testa all’anno. Si tratta di un dato che sì, è al di sotto della media europea, ma che comunque mette a rischio un intero settore. Parliamo infatti di un comparto che in Italia può contare su entrate importanti legate all’esportazione. Questo perché, grazie alla sua qualità, la biodiversità del miele italiano è molto apprezzata all’estero. Stiamo parlando di un patrimonio che vanta più di 60 varietà (da quelli Dop come il Miele della Lunigiana, il Miele delle Dolomiti Bellunesi e il miele Varesino, fino a quelli speciali in barrique o aromatizzati, dal tiglio agli agrumi, dall’eucalipto all’acacia) e che nei primi sette mesi del 2023 ha già raggiunto i 13,6 milioni di chili, molto più della metà di tutto il miele prodotto lo scorso anno in Italia.
Se la produzione cala, inevitabilmente anche la distribuzione ne risente. Quindi: “Per evitare di portare in tavola prodotti provenienti dall’estero, spesso di bassa qualità, occorre – consiglia la Coldiretti – verificare con attenzione l’origine in etichetta oppure di rivolgersi direttamente ai produttori nelle aziende agricole, negli agriturismi o nei mercati di Campagna Amica”.
Come riconoscere il miele di qualità
Il miele prodotto sul territorio nazionale, dove non sono ammesse coltivazioni Ogm (a differenza di quanto avviene ad esempio in Cina) è riconoscibile attraverso l’etichettatura di origine obbligatoria. La parola Italia deve essere presente per legge sulle confezioni di miele raccolto interamente sul territorio nazionale (Es. Miele italiano) mentre nel caso in cui il miele provenga da più Paesi dell’Unione Europea, l’etichetta deve riportare l’indicazione “miscela di mieli originari della Ue” indicando il nome dei Paesi (ad esempio, se viene da Italia e Ungheria sul barattolo dovrà esserci scritto Italia, Ungheria).
Se invece proviene da Paesi extracomunitari deve esserci la scritta “miscela di mieli non originari della Ue” con il nome dei Paesi, mentre se si tratta di un mix va scritto “miscela di mieli originari e non originari della Ue”, anche qui con l’indicazione dei nomi dei Paesi.
Perché le api sono così importanti per l’ambiente
La maggior parte delle colture coltivate a livello globale richiedono l’impollinazione per produrre cibo e le api mellifere sono gli impollinatori più importanti. Un problema questo che si allarga inevitabilmente ad altri settori, poiché il cambiamento climatico minaccia le api mellifere distruggendo i loro habitat, nonché le varie fonti di cibo. Il motivo è semplice: senza le api, l’approvvigionamento alimentare è destinato ancora di più a diminuire e a diventare sempre più costoso. Si rischia infatti di interrompere un ciclo naturale e biologico che mette seriamente a rischio l’intera catena alimentare.
Proteggere le api vuol dire salvaguardare la biodiversità da cui tutti dipendiamo per la nostra sopravvivenza. L’apicoltura non solo rappresenta una fonte di reddito per molte attività rurali, ma contribuisce direttamente alla sicurezza alimentare. Secondo gli esperti di api della FAO (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura), un terzo della produzione alimentare mondiale dipende dalle api.
Quando gli animali e gli insetti raccolgono il polline dei fiori e lo diffondono, consentono alle piante, comprese molte colture alimentari, di riprodursi. Uccelli, roditori, scimmie e persino le persone impollinano, ma gli impollinatori più comuni sono gli insetti e, tra questi, le api. Insomma, Sebbene esistano altri metodi di impollinazione, anche mediante altri animali, le api possono impollinare su scala molto più ampia ed efficiente.
Senza le api non passerebbe molto tempo prima che il nostro ecosistema collassasse. Contribuendo alla riproduzione dei nostri alberi e dei fiori selvatici, le api sostengono altri insetti, che a loro volta sostengono uccelli, pipistrelli, mammiferi (diventando il loro cibo) e molte delle colture utilizzate per l’alimentazione degli animali. Insomma, senza di loro, sarebbe più difficile produrre molta carne, uova e latticini poiché qualcosa si incepperebbe nella catena alimentare.
Purtroppo, però, le api e altri impollinatori sono sempre più minacciati dalle attività umane.
Negli ultimi decenni le popolazioni di api sono diminuite a livello globale a causa della perdita di habitat, delle pratiche agricole intensive, dei cambiamenti climatici e dell’uso eccessivo di prodotti chimici per l’agricoltura come i pesticidi. Ciò a sua volta rappresenta una minaccia per una varietà di piante fondamentali per il benessere e i mezzi di sussistenza umani.