L’analisi economica di Marco Fanno si è estesa per un lungo periodo, compreso tra il 1900 (anno in cui pubblicò il suo primo saggio “Protezionismo industriale ed agricolo” a Torino, Bocca) e il 1964 (anno in cui pubblicò “Costantino Bresciani-Turroni in memoriam” su Weltwirtschaftliches Archiv, 92 pp. 233-237). Durante la sua carriera, si è concentrato principalmente su diverse tematiche economiche, tra cui la teoria della moneta e delle banche, lo sviluppo economico, con particolare attenzione a popolazione, risparmio e progresso tecnico, oltre alle fluttuazioni economiche, il commercio internazionale e i trasferimenti anormali di capitali.
Teoria monetaria
All’inizio del XX secolo, la teoria neoclassica della moneta e del credito era ampiamente condivisa dalla maggior parte degli economisti. Secondo questa teoria, la moneta-merce utilizzata come mezzo di scambio non avrebbe avuto un impatto significativo sul funzionamento del sistema economico capitalistico ed era considerata “neutrale”. La quantità di moneta in circolazione veniva vista come un dato esterno, e il sistema bancario era semplicemente un intermediario tra domanda e offerta di risparmio. Il credito era considerato una funzione delle riserve bancarie, e il tasso di interesse si adattava per equilibrare questa domanda e offerta di credito: questi erano i concetti chiave della teoria quantitativa della moneta, proposta da Irving Fisher.
Tuttavia, Marco Fanno non condivideva appieno la teoria quantitativa di Fisher. Si avvicinò invece alla teoria monetaria di Knut Wicksell, un economista svedese. Secondo Wicksell, il circuito monetario non era neutrale e aveva un ruolo intrinseco come grandezza endogena, determinata dal livello della domanda complessiva dell’economia. Marco Fanno sottolineava l’importanza del legame tra il tasso d’interesse naturale e il tasso d’interesse monetario nella determinazione della domanda di finanziamenti.
Un’altra differenza tra Fanno e Wicksell riguardava l’offerta di moneta. Marco Fanno riteneva che il sistema bancario non potesse godere di un potenziale di credito illimitato, a differenza della visione di Wicksell.
Nonostante la sua originale impostazione sulla teoria monetaria, Marco Fanno era ancora inserito nel filone degli economisti neoclassici. Inoltre, la sua idea riguardante la necessità di una sola banca di emissione aveva affinità con il pensiero di Ludwig von Mises e Friedrich von Hayek, economisti che espose le loro analisi proprio in quegli anni.
Sviluppo e ciclo della moneta
La teoria della moneta di Marco Fanno va oltre la semplice spiegazione dei movimenti dei prezzi e si concentra anche sullo sviluppo economico. La sua analisi si incentra sul rapporto tra moneta e accumulazione, esaminando come il credito finanzia gli imprenditori e come il reddito sia ripartito tra salari e profitti in modo da generare il risparmio necessario per finanziare gli investimenti.
Fanno ritiene che la crescita economica effettiva dipenda principalmente dall’investimento globale delle imprese, che considera un elemento “originale” insieme all’incremento demografico, la propensione al risparmio e le innovazioni tecnologiche. In questo senso, il ruolo dell’innovazione nello sviluppo economico è fondamentale, e questo aspetto lo avvicina a idee espresse da economisti come Keynes e Schumpeter.
Ci sono diversi punti di contatto con Keynes e Schumpeter nella teoria di Fanno. Ad esempio, la sua teoria delle fluttuazioni economiche, il rapporto tra risparmi e investimenti e l’importanza attribuita all’innovazione come motore dello sviluppo economico sono temi condivisi da questi grandi economisti.
Movimenti internazionali di capitali
Le analisi di Marco Fanno riguardo ai movimenti internazionali di capitali, come esposte nel suo lavoro del 1935 “I trasferimenti anormali dei capitali e le crisi”, hanno dimostrato una notevole rilevanza e attualità nel corso del tempo. Le sue riflessioni continuano ad avere applicazioni sia nel contesto delle politiche di stabilizzazione e sviluppo dei paesi emergenti sia nei problemi sollevati dalla liberalizzazione dei movimenti di capitali all’interno della Comunità Europea dopo il Trattato di Roma del 1957.
Secondo Fanno, i trasferimenti di capitali possono essere classificati come “normali” e “anormali”. I trasferimenti normali sono quelli che dipendono dai tassi di interesse netti esistenti nei diversi paesi e sono parte dei flussi finanziari regolari. Tuttavia, i trasferimenti anormali sono quelli che derivano da circostanze straordinarie, come pagamenti di debiti di guerra, introduzione o aumento di tasse sul capitale, instabilità politica o mancanza di fiducia nel sistema bancario o nella moneta nazionale. Questi movimenti di capitali anormali non sono influenzati dalla quantità di risparmio volontario disponibile ma costituiscono un’uscita repentina e significativa di risparmi già accumulati o investiti, creando uno “stock” di capitale che lascia rapidamente il paese.
Il ruolo delle aspettative sui tassi di cambio è fondamentale nel determinare il valore della moneta colpita da un trasferimento anormale di capitali. Se gli operatori ritengono che il cambio non subirà ulteriori svalutazioni, la moneta si stabilizzerà. Tuttavia, se perdura la sfiducia, la fuga di capitali continuerà a danneggiare l’economia nazionale.