L’industria italiana è crollata negli ultimi 15 anni: solo il Nord-Est resiste

La Cgia di Mestre certifica il crollo dell'industria italiana nel periodo 2007-2022. In Europa solo la Spagna ha registrato risultati peggiori

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Mauro Di Gregorio

Giornalista politico-economico

Laurea in Scienze della Comunicazione all’Università di Palermo. Giornalista professionista dal 2006. Si interessa principalmente di cronaca, politica ed economia.

Pubblicato: 14 Gennaio 2024 17:40

Una ricerca della Cgia di Mestre certifica il declino dell’industria italiana. Negli ultimi 15 anni si sono registrati cali generalizzati, ad eccezione di un’unica isola felice: il Nordest, che invece è cresciuto del +5,9%.

La crisi dell’industria italiana negli ultimi 15 anni

Nel periodo 2007-2022 in Europa c’è solo una nazione che ha sperimentato una situazione peggiore dell’Italia: la Spagna, in cui il valore aggiunto reale dell’attività manifatturiera è sceso del -8,9%. Il Belpaese invece ha registrato un -8,4%. Ha fatto meglio la Francia, con il suo -4,4%. La Germania si conferma invece la locomotiva d’Europa con il suo +16,4%.

Questa la situazione per quanto riguarda i settori considerati (fra parentesi la variazione in milioni di euro dal 2007 al 2022):

  • Estrattivo +125% (+6.259)
  • Manifattura -8% (-22.344)
  • Acqua, reti fognarie, trattam. rifiuti e risanamento -11,3% (-2.126)
  • Energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata -22,1% (-6.947)

L’ultimo quindicennio è stato il più difficile per le economie occidentali a partire dal secondo dopoguerra. A distanza di pochi anni si sono rincorse diverse crisi mondiali: la crisi dei mutui e del sistema bancario del 2008-2009, la crisi dei debiti sovrani del 2012-2013, la pandemia da Covid-19 nel 2020-2021 (i cui strascichi continuano a farsi sentire) e la guerra fra Russia e Ucraina. Nel 2023 si è poi aggiunta anche la guerra fra Israele e Hamas a complicare il quadro, guerra che ha già innescato una crisi nel commercio marittimo che fa temere un rialzo generalizzato dei prezzi.

L’andamento dell’industria nelle Regioni italiane

Tra il 2007 e il 2022 il valore aggiunto reale dell’industria del Sud è crollato del -27%, quello del Centro del -14,2% e quello del Nordovest del -8,4%. Solo il Nordest ha registrato un risultato positivo, come anticipato: +5,9%.

Per quanto riguarda le regioni, la Basilicata è quella che ha registrato la crescita del valore aggiunto dell’industria più importante: +35,1%. Secondo l’Ufficio studi della Cgia di Mestre il risultato si deve soprattutto al settore estrattivo grazie alla presenza di Eni, Total e Shell nella Val d’Agri e nella Valle del Sauro. Al secondo posto si piazza il Trentino-Alto Adige (+15,9%), spinto dal settore agroalimentare, dall’energia, delle acciaierie e delle imprese meccaniche. Chiude il podio l’Emilia Romagna (+10,1%). L’ultima regione a registrare valori positivi è il Veneto in quarta posizione (+3,1%). Per il resto il declino è generalizzato.
Questa la classifica delle regioni italiane relativamente all’industria (fra parentesi la variazione in milioni di euro dal 2007 al 2022):

  • Basilicata +35,1% (+969);
  • Trentino-Alto Adige +15,9% (+950);
  • Emilia-Romagna +10,1% (+3.746);
  • Veneto +3,1% (+1.227);
  • Friuli-Venezia Giulia -6,6% (-587);
  • Lombardia -7,7% (-6.484);
  • Toscana  -8,1% (-2.025);
  • Piemonte  -9,5% (-3.017);
  • Marche  -9,7% (-1.043);
  • Liguria  -10,5% (-798);
  • Puglia  -19,3% (-2.183);
  • Lazio  -19,8% (-3.912);
  • Abruzzo -20,9% (-1.497);
  • Campania  -25% (-4.003);
  • Umbria -28,3% (-1.596);
  • Molise  -29,2% (-345);
  • Calabria  -33,5% (-1.157);
  • Valle d’Aosta  -33,7% (-296);
  • Sicilia 11.202 -43,3% (-4.853);
  • Sardegna -52,4% (-2.654).

La manifattura nelle province

La Cgia di Mestre ha monitorato tutte e 107 le province italiane. I dati hanno evidenziato come tra il 2007 e il 2021 la crescita del valore aggiunto industriale nominale più elevata è stata a Trieste (+102,2%). Seguono Bolzano (+55,1%), Parma (54,7 per cento), Forlì-Cesena (+45%) e Genova (+39,5%).

Le province in cui si sono registrate le maggiori perdite sono Sassari (-25,9%), Oristano (-34,7%), Cagliari (-36,1%), Caltanissetta (-39%) e Nuoro (-50,7%).

Quello di Milano è il territorio a più alta vocazione manifatturiera con 28,2 miliardi di euro di valore aggiunto nominale nel 2021; seguono Torino (15,6 miliardi), Brescia (13,5 miliardi), Roma (12,1 miliardi) e Bergamo (11,9 miliardi).