Inflazione Usa condiziona la Fed: ecco cosa aspettarsi nei prossimi mesi

La crescita dei prezzi superiore alle aspettative non lascia scampo: la banca centrale americana è pronta ad intervenire ancora

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Redazione

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I prezzi al consumo nella più grande economia mondiale sono stati più alti del previsto a settembre, suggerendo che la Federal Reserve manterrà i tassi di interesse elevati per qualche tempo.

In particolare, i prezzi al consumo statunitensi sono risultati leggermente sopra il consensus, sia su base mensile che su base annua, in un contesto di costi più alti per l’affitto e la benzina, mentre l’inflazione sottostante sta rallentando, dando sostegno alle attese dei mercati finanziari che la banca guidata da Jerome Powell non alzerà i tassi di interesse il mese prossimo.

Report inflazione Usa

A settembre, i prezzi al consumo negli Stati Uniti sono aumentati mensilmente più delle attese, così come è stato sopra il consensus il dato annuale, che si è confermato ai massimi degli ultimi 14 mesi. Lo scorso mese, i prezzi sono cresciuti dello 0,4% rispetto ad agosto, secondo quanto comunicato dal dipartimento del Lavoro, contro attese per un rialzo dello 0,3%. Il dato “core”, ovvero quello depurato dalla componente dei prezzi dei beni alimentari ed energetici, è cresciuto dello 0,3%, in linea con le previsioni. Su base annuale, il dato generale ha messo a segno un +3,7%, contro attese per un +3,6%, dopo il +3,7% registrato anche ad agosto. Il dato “core” ha registrato un +4,1%, in linea con le attese, dopo il +4,3% di agosto.

Verbali Fed

Dai verbali sull’ultima riunione della banca centrale americana è emerso che i banchieri credono che la Fed debba “procedere con cautela” sulle prossime decisioni e che si sta lottando con due rischi principali: non inasprire la politica abbastanza da frenare l’elevata inflazione e alzare i tassi a un livello tale da avere un impatto eccessivo sull’attività economica più ampia.

Secondo i funzionari Fed risulterebbe “appropriato” un nuovo rialzo dei tassi d’interesse, quando a settembre l’istituto aveva optato per un secondo stop nella battaglia all’inflazione, mantenendo invariato il costo del denaro al livello più alto dal 2001, sebbene il futuro dell’economia resti “altamente incerto”.

Cosa dicono gli analisti

Sul fronte della politica monetaria, per raggiungere l’obiettivo dello 0,2% su base mensile, che rappresenta il target della Fed, è fondamentale che i prezzi di beni e servizi rallentino in modo sostenuto (0,6% è un livello ancora troppo elevato), afferma Jeffrey Cleveland, Chief Economist di Payden & Rygel. Al momento, quindi, “è presto per dichiarare la vittoria sull’inflazione, anche perché ad oggi il denaro si spende soprattutto per i servizi: questo non significa che nel corso del meeting di novembre la Fed opterà sicuramente per un aumento dei tassi, anche se i dati sul PIL statunitense del terzo trimestre e sui Non Farm Payrolls (NFP) lasciano il dibattito aperto”.

“I progressi fatti sul lato inflazione cominciano ad arrestarsi, ma non bisogna agitarsi troppo – rilancia Callie Cox, US market analyst di eToro, commentando il dato sul mercato del lavoro americano. Gran parte della forza dell’IPC è dovuta ai prezzi dell’energia, e sotto la superficie si vedono ancora alcuni dettagli incoraggianti. L’inflazione dei servizi – spiega – è aumentata su base mensile, ma è difficile che questa tendenza continui ancora a lungo. Inoltre, il ritmo annuale della componente servizi, al netto degli affitti, risulta in rallentamento da nove mesi consecutivi. Dati i progressi su questo fronte, quindi, il rapporto sull’inflazione appena pubblicato potrebbe non essere un catalizzatore per ulteriori rialzi dei tassi. La Federal Reserve – conclude Cox – ha un forte controllo sull’economia e, a questo punto, una recessione potrebbe essere più preoccupante di un’altra impennata dei prezzi. La Fed ha aumentato i tassi in modo aggressivo e non sappiamo ancora quali crepe si stiano formando sotto la superficie”.

L’inflazione complessiva negli Stati Uniti è scesa dallo 0,6% su base mensile di agosto allo 0,4% di settembre. Su base annua, l’inflazione complessiva si è attestata al 3,7% contro il 3,6% previsto, mentre l’inflazione core, metrica fondamentale per le decisioni della banca centrale USA, è rimasta stabile (0,3% su base mensile). Mentre gli indicatori di mercato, sull’onda di alcune dichiarazioni dei policymaker, fino ad oggi prevedevano una pausa nel ciclo di rialzi dei tassi, il dato dell’inflazione di settembre lascia intendere che la decisione potrebbe essere più complessa, afferma cura di Richard Flax, Chief Investment Officer di Moneyfarm.