Confcommercio, da Sangalli l’allarme: “In 11 anni chiuso fino a 1 negozio su 4”

L'Italia è a rischio desertificazione commerciale: 1 su 4 negozi chiusi in 11 anni in città e periferia. Allarme da Confcommercio

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio, ha lanciato l’allarme rispetto al rischio della desertificazione commerciale. Si tratta della riduzione del numero di negozi nelle città e nelle periferie, a favore di una crescita del grande commercio. Per Sangalli si tratta di una ferita per l’idea di cittadinanza e proprio per questo, per il rilancio del terziario che si è visto ridotto dell’oltre 25% il numero di negozi in alcuni territori, propone un taglio strutturale del cuneo fiscale e la tassazione UE per le piattaforme digitali.

Sempre meno negozi: in 11 anni chiuso 1 su 4

Confcommercio ha organizzato la 38ª Assemblea generale a Roma e per l’occasione ha preso parola il presidente Carlo Sangalli. Questo ha voluto ricordare come il terziario si trovi ormai in una condizione di crisi. Eppure questo rappresenta un mercato fondamentale per il nostro Paese perché ogni giorno crea occupazione, coltiva conoscenza e abilita l’innovazione secondo Sangalli. Dal 1995 al 2023 sono stati 3 milioni e mezzo i nuovi posti di lavoro creati dal terziario e, per questo, ribadisce la sua centralità per creare nuove occupazione e una crescita diffusa.

Quello che ci tiene a sottolineare Confcommercio è il ruolo economico e sociale del commercio e di servizi di prossimità, che si scontrano però “con il preoccupante fenomeno delle chiusure delle attività nelle città, dai centri storici alle periferie”. Un dato che illustra tale fenomeno è quello della riduzione del numero di negozi, che negli ultimi 11 anni ha superato il 25% in alcuni territori. In altri termini: in 11 anni hanno chiuso 1 negozio su 4.

Secondo Sangalli il rischio di desertificazione commerciale è più che concreto, è “una ferita per l’idea di cittadinanza” e la soluzione va trovata giocando nello “stesso mercato e con le stesse regole amministrative o fiscali che siano”.

Global minimum tax: cos’è e perché serve ai negozi

Il mercato è quello delle grandi multinazionali, della vendita online, ma soprattutto delle regole fiscali a favore di queste. Secondo il presidente di Confcommercio va livellato il campo di gioco: stesso mercato, stesse regole. Per farlo bisogna adottare, dice, politiche pubbliche che riconoscano appieno la funzione economica, sociale e di innovazioni di servizi di prossimità, nel contesto di un’agenda urbana italiana orientata allo sviluppo sostenibile.

La sostenibilità non è solo un ideale green, ma è anche sostenibilità umana e per finanziarla Carlo Sangalli ripropone l’impegno a una Global minimum tax che prevede una giusta tassazione alle grandi multinazionali e alle grandi piattaforme digitali globali. “Lo ripetiamo ancora una volta – ha detto – non è equo e non è giusto che un imprenditore, piccolo, medio o grande che sia, debba pagare le tasse tutte e subito, mentre questo non vale per le grandi piattaforme digitali”.

Secondo Sangalli occorre inoltre proseguire nella riduzione del cuneo fiscale sul costo del lavoro, partendo dalla conferma dei tagli fin qui operati e i connessi interventi sul fronte Irpef.

I dati dell’imprenditoria giovanile: 160mila in meno

Infine l’Assemblea annuale della confederazione ha voluto sottolineare un’altra battuta d’arresto, ovvero l’imprenditoria giovanile. Questa ha registrato negli ultimi 10 anni una riduzione di circa 160.000 imprese.

Il dato è influenzato dalla difficoltà del ricambio generazionale dovuto a un generale invecchiamento della popolazione, ma anche da una generale assenza di supporto alle nuove realtà. Una riflessione che può essere fatta, simile ma con le dovute differenze, per la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Sangalli ha infatti osservato che, per quanto siano stati compiuti progressi importanti, la distanza che separa l’Italia dalla media europea è ancora di 12 punti percentuali, con picchi di 25 punti nel Mezzogiorno. In numeri significa oltre 2 milioni e mezzo di donne occupate in più.