Covid e varianti, il caso dell’uomo positivo per un anno e mezzo

In un paziente 10 mutazioni poi rilevate in Alfa, Gamma e Omicron, sotto lente ricercatori Gb anche infezioni occulte.

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Redazione

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Pubblicato: 22 Aprile 2022 16:00

Più di 500 giorni con il covid. Ha convissuto con il coronavirus Sars-CoV-2 per 505 giorni, poco meno di un anno e mezzo, e non è riuscito a sconfiggerlo. Il paziente è morto e il suo caso è stato descritto da un gruppo dei ricercatori del Regno Unito come l’infezione Covid più lunga finora nota, superando anche il record precedente, quello di una donna di 48 anni immunocompromessa con diabete di tipo 2 e un linfoma a grandi cellule B alle spalle, che è rimasta positiva per 335 giorni. Al di là della durata da ‘Guinness dei primati’, questi casi pongono un problema: quello di capire come cambia il virus mentre alberga in persone col sistema immunitario ‘disattivato’.

Gli ‘eterni positivi’

Gli scienziati del King’s College London e del Guy’s and St Thomas’ Nhs Foundation Trust hanno studiato 9 pazienti Covid a Londra e forniscono evidenze del fatto che nuove varianti del virus possono insorgere negli ‘eterni positivi’, immunocompromessi che non riescono a debellare il nemico.

Sars-CoV-2 era mutato in 5 dei casi analizzati e in un paziente conteneva “10 mutazioni che sarebbero sorte separatamente in varianti di preoccupazione come Alfa, Gamma e Omicron”, riferiscono gli esperti nella nota. Gli autori dello studio presentano i risultati della loro analisi in occasione del Congresso europeo di microbiologia clinica e malattie infettive (Eccmid 2022), in programma a Lisbona dal 23 al 26 aprile, e hanno illustrato anche i dettagli di una delle prime infezioni occulte da Covid: casi, cioè, in cui si pensava che il paziente avesse eliminato il virus, con test negativo a conferma, ma successivamente si scopre che aveva l’infezione in corso.

“Volevamo indagare su quali mutazioni si verificano e se le varianti si evolvono in queste persone con infezione persistente”, spiega Luke Blagdon Snell, del Guy’s and St Thomas’ Nhs Foundation Trust, primo autore dello studio. Durante la pandemia, come si è visto, sono emersi molteplici nuovi mutanti di Sars-CoV-2. “Alcune di queste varianti – osserva l’esperto – si trasmettono più facilmente, causano malattie più gravi o rendono i vaccini meno efficaci. Una teoria è che si evolvano in persone il cui sistema immunitario è indebolito da malattie o trattamenti medici come la chemioterapia, che possono avere un’infezione prolungata da Sars-CoV-2”.

I 9 pazienti immunocompromessi protagonisti dello studio sono risultati positivi al virus per almeno 8 settimane. Le infezioni sono persistite in media per 73 giorni, ma 2 di loro sono rimasti positivi per più di un anno. I casi sono stati studiati tra marzo 2020 e dicembre 2021. Nel dettaglio si trattava di persone che avevano il sistema immunitario indebolito a causa di trapianti d’organo, infezioni da Hiv, cancro o terapie mediche per altre malattie. Il campionamento regolare e l’analisi genetica del virus hanno mostrato che 5 pazienti hanno sviluppato almeno una mutazione osservata nelle varianti di preoccupazione. Alcuni hanno sviluppato mutazioni multiple associate a varianti come Alfa, Delta e Omicron. Tra loro, il caso del paziente il cui virus conteneva 10 mutazioni poi separatamente rilevate nelle varianti Alfa, Gamma e Omicron.

“Questo fornisce la prova che le mutazioni riscontrate nelle varianti di preoccupazione insorgono nei pazienti immunocompromessi – rimarcano Snell e colleghi – Un’evidenza che supporta l’idea che nuove varianti virali possano svilupparsi” proprio in persone con queste caratteristiche. “E’ importante notare, tuttavia, che nessuno dei pazienti coinvolti nel nostro lavoro ha sviluppato nuove varianti che sono diventate successivamente varianti di preoccupazione diffuse”, precisano gli autori. Inoltre, “mentre questo studio mostra che negli immunocompromessi potrebbero sorgere varianti, rimane ignoto se le varianti di preoccupazione” che di volta in volta sono diventate dominanti, “come Alfa, Delta e Omicron, siano sorte in questo modo”.

“I pazienti immunocompromessi con infezione persistente hanno scarsi risultati e sono urgentemente necessarie nuove strategie di trattamento per eliminare la loro infezione. Questo potrebbe anche impedire l’emergere di varianti”, osserva la coautrice dello studio, Gaia Nebbia. Quanto ai pazienti presi in considerazione nella ricerca presentata a Lisbona, 5 su 9 sono sopravvissuti. Due dei survivor hanno eliminato il virus senza trattamenti, altri 2 ci sono riusciti dopo terapie anticorpali e antivirali. Uno invece ha ancora l’infezione in corso, all’ultimo follow-up a inizio 2022 era positivo da più di un anno (412 giorni), ed è stato trattato con anticorpi monoclonali per cercare di eliminare l’infezione. Se al prossimo appuntamento di follow up risulterà nuovamente positivo, supererà il record dei 505 giorni di contagio dell’altro paziente descritto nello studio.

Le infezioni occulte

C’è poi il caso delle infezioni occulte: i ricercatori hanno descritto un paziente “sintomatico, risultato positivo al Covid prima di riprendersi dalla malattia, e poi più volte negativo prima di sviluppare nuovamente i sintomi diversi mesi dopo”, raccontano. A quel punto il paziente si è trovato davanti ancora una volta un tampone positivo a Sars-CoV-2 e “il sequenziamento del genoma virale ha mostrato che l’infezione era causata dalla variante Alfa, ormai sparita dal Regno Unito”. Questo suggerisce che “il virus era presente nell’organismo sin dall’infezione iniziale, ma è rimasto inosservato”, ragionano gli autori. Casi simili sono stati descritti con altri virus, come Ebola o il virus dell’epatite B. Si tratta di una fattispecie “diversa dal long Covid – puntualizzano gli esperti – in cui invece si pensa che i sintomi persistano anche se il virus è stato eliminato dall’organismo”.

In collaborazione con Adnkronos