Da un lato della storia c’è una vita trascorsa a impersonare un territorio fiero e determinato, un’area delimitata e ben definita, con l’ambizione di rappresentarla e portare le sue istanze dentro il Palazzo, contrapponendo le peculiarità locali alle logiche ormai logore di una visione centralista ed unitaria dello Stato. Il tutto racchiuso alla perfezione dello slogan divenuto celebre e che recitava “Roma ladrona, la Lega non perdona“.
Dall’altro lato c’è (o c’era) un popolo, quello padano con la camicia verde, che fin da subito – ossia dal lontano gennaio del 1991, anno della fondazione di quello che secondo i suoi ideologi bisognava chiamare “movimento” – lo ha individuato come proprio leader, erede dell’eroe medievale Alberto da Giussano che in pieno XII secolo avrebbe difeso il Nord Italia fermando l’avanzata dell’imperatore Federico Barbarossa, sbarrandogli la strada sul sacro suolo di Pontida.
La diatriba tra Bossi e Salvini, due anime della Lega che non si sono mai piaciute
Tutto questo oggi pare non esistere più. L’orgoglio settentrionale con cui Umberto Bossi, per oltre trent’anni di storia, ha saputo riunire i militanti attorno alla propria figura di leader, i dirigenti e gli elettori della Lega oggi pare quanto mai annacquato dall’azione di un segretario, Matteo Salvini, che dal 2013 ad oggi ha fatto di tutto per differenziarsi dal suo predecessore. Tre anni fa ha persino eliminato la parola Nord dal simbolo del partito, nel tentativo di legittimarlo a livello nazionale e di renderlo appetibile per i cittadini di tutta la Penisola.
Una tattica, quella dell’attuale capo del Carroccio, che per un po’ ha fruttato consensi e complimenti, assicurando al partito quei voti che andava cercando proprio all’infuori della Padania e portandolo, nell’estate del 2019, a diventare la prima forza del Paese, raccogliendo il 34% dei consensi alle elezioni europee. Ora però la vittoria schiacciante di Giorgia Meloni alle urne e la contemporanea debacle leghista proprio in quelle roccaforti padane rischiano di mettere in seria crisi la leadership di Salvini, facendo riemergere le voci di chi si è sempre opposto al processo di nazionalizzazione della Lega.
La debacle della Lega alle elezioni politiche: la proposta di Salvini su Bossi in Parlamento
A fare le spese in prima persona dello sconvolgimento elettorale di domenica 25 settembre è stato proprio Umberto Bossi, che ha mancato la rielezione in Parlamento a distanza di 35 anni dal suo primo ingresso in Senato. Eppure, nonostante gli attriti, il segretario aveva scelto per lui un posto ritenuto molto sicuro: lo aveva candidato come capolista in un collegio storico, quello della sua Varese, dove nel 1984 lo stesso Senatùr aveva fondato la Lega autonomista lombarda. Eppure non c’è stato nulla da fare, almeno ad una prima analisi del voto: per le logiche perverse e a tratti incomprensibili dell’attuale legge elettorale, il seggio a Palazzo Madama per Bossi non è scattato. Questo fino al tardo pomeriggio di mercoledì 28 settembre, quando si è saputo di un ripescaggio sul filo di lana per il fondatore.
A prescindere da ciò, il primo a finire al centro della polemica è dunque Matteo Salvini, che nelle stesse ore in cui annuncia un calendario serratissimo di congressi a livello provinciale e regionale, tenta di salvare il salvabile e propone per Umberto Bossi lo scranno di senatore a vita: “Porterò avanti personalmente, di sicuro con l’appoggio non solo della Lega ma di tantissimi cittadini italiani, questa proposta”. Un tentativo di smorzare, almeno in parte, le critiche piovono sulla sua testa da tutte le direzioni: l’esempio più eclatante è quello di un altro ex segretario, Roberto Maroni, che mai ha saputo trovare un feeling con gli attuali vertici e che ora ne chiede la sostituzione.
Colpo di scena al Senato, Bossi eletto per un soffio: cosa sta succedendo al fondatore della Lega
Ma la nomina di Umberto Bossi a senatore a vita appare oggi assai complicata per diverse ragioni. Ad iniziare da quanto prevede la nostra Costituzione, che tratta la materia all’articolo 59. Secondo quanto scritto nel testo, i senatori a vita vengono nominati dal Capo dello Stato, possono essere al massimo in numero di cinque e devono essere individuati tra quelle personalità che si sono distinte per “aver illustrato la Patria per altissimi meriti nel capo sociale, scientifico, artistico e letterario”.
Attualmente i senatori a vita presenti in Parlamento sono Liliana Segre (testimone della Shoah nel campo di concentramento di Auschwitz), Mario Monti (economista), Renzo Piano (architetto), Elena Cattaneo (biologa e accademica) e Carlo Rubbia (vincitore del Premio Nobel per la fisica nel 1984), oltre a Giorgio Napolitano, che in quanto ex Presidente della Repubblica lo è diventato in automatico. Il primo ostacolo quindi è di natura numerica, ma è la storia stessa di Umberto Bossi che ad oggi non gioca a suo vantaggio.
Perché Salvini propone Bossi come nuovo senatore a vita: la scelta del leader leghista
Infatti sono rimaste nella memoria collettiva le sue battaglie condotte dentro e fuori dall’Aula contro le più alte istituzioni nazionali, gesti che hanno reso il profilo del Senatùr quantomeno discutibile per una nomina di questo calibro. È del 2007 la condanna definitiva per vilipendio contro la bandiera italiana, quel tricolore nazionale che Bossi dichiarò a più riprese di utilizzare per altri scopi molto meno nobili. Mentre è più recente la grazie concessagli da Sergio Mattarella dopo la condanna a vilipendio contro il Capo dello Stato, accordata a Bossi per aver offeso Giorgio Napolitano nel 2011.
Infine, c’è da registrare anche una posizione quantomeno critica dello stesso Matteo Salvini nei confronti della carica di senatore a vita. Nel 2019 – durante il passaggio parlamentare che portò dal primo governo di Giuseppe Conte alla nascita dell’esecutivo giallorosso – il leader leghista, adirato per non aver ottenuto il voto anticipato dopo l’estate del Papeete, parlò dei senatori a vita come di una “figura sorpassata dalla storia della nostra Repubblica. Io li eliminerei, sono la casta della casta della casta“. Ma adesso, desideroso di placare le acque attorno a sé e mandare un segnale alla base che ribolle, potrebbe aver cambiato idea. Ma basterà la rielezione di Bossi pare placare gli animi nel partito?