Storia della quasi rivoluzione italiana: l’attentato a Palmiro Togliatti

Chi ha sparato a Palmiro Togliatti e perché: la storia dell'attentato che ci ha portato sull'orlo della guerra civile

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Nel 1948 l’Italia si è ritrovata dinanzi a un bivio della propria storia moderna. Era precisamente il 14 luglio e Palmiro Togliatti, segretario del Partito Comunista Italiano, usciva da Montecitorio quel giorno alle ore 11.45.

Ad avvicinarlo fu Antonio Pallante, studente travolto dal clima politico a dir poco teso dell’Italia del tempo. A pochi mesi dalle prime elezioni politiche della storia della nostra Repubblica, quegli spari ci spinsero come Paese sull’orlo della rivoluzione.

Chi ha sparato a Togliatti

Miracolosamente Palmiro Togliatti sopravvisse all’attentato, che ebbe conseguenze molto gravi in tutto il Paese. Per giorni la sensazione era quella che un clamoroso evento, da un momento all’altro, in risposta a quanto accaduto, avrebbe potuto scatenare una vera e propria guerra civile.

Non mancarono gli scontri, con scioperi e cortei un po’ ovunque. Le cariche riguardarono anche la polizia, per un totale di più di 800 feriti al termine di questo caos generalizzato, e ben 30 morti.

Chi ha sparato a Palmiro Togliatti nel 1948 era Antonio Pallante, come detto, studente di Giurisprudenza fuoricorso dall’età di 24 anni. Era entrato a far parte del Blocco Democratico Liberal Qualunquista per le elezioni del 1948 (costola del Fronte dell’Uomo Qualunque, ndr). Guardandosi indietro, ormai adulto e formato, Pallante spiegò come al tempo si sentisse animato da un nazionalismo condotto all’estremo.

Partì da Randazzo, in Sicilia, dove acquistò una pistola, per poi recarsi a Roma. Si lasciò la famiglia alle spalle, certo del fatto che avrebbe ucciso Togliatti. Il 13 luglio aveva tentato inutilmente di farsi ricevere dal segretario, per poi decidere di assistere a una seduta a Montecitorio, ottenendo dei permessi speciali. Era sua intenzione vedere bene in volto Togliatti, così da riconoscerlo con esattezza prima di aprire il fuoco.

Fatte le ricerche del caso, scoprì che il segretario era solito utilizzare un’uscita secondaria di Montecitorio e fu proprio lì, affiancato dalla compagna e deputata Nilde Iotti, che venne raggiunto dai colpi d’arma da fuoco.

Quattro proiettili esplosi e dopo i primi tre il segretario crollò a terra. La sua fortuna? Le pallottole erano di pessima qualità. In caso contrario quella che lo colpì alla nuca avrebbe di certo segnato la sua morte.

La (quasi) rivoluzione italiana

Per i conflitti mondiali o le grandi rivoluzione c’è sempre un episodio scatenante. L’attentato a Palmiro Togliatti ci ha spinti su quell’orlo e la nostra storia moderna avrebbe potuto essere ben differente.

Operato d’urgenza al Policlinico di Roma, era in condizioni molto gravi. Si sparse così la voce della sua imminente morte, il che agitò gli animi e portò alle prime manifestazioni spontanee. In tantissimi si radunarono all’esterno dell’ospedale, la CGIL indisse uno sciopero generale, che segnò la scissione dalla CISL. In tutto il Paese si chiedevano le dimissioni del governo e molti militanti comunisti videro la chance di una rivoluzione italiana.

Ci furono cortei armati, riportando in strada molte delle armi derivanti dalla Seconda Guerra Mondiale, terminata appena tre anni prima. Ci furono scontri, feriti, arresti e morti, con la mobilitazione dell’esercito necessaria per aiutare gli agenti di polizia e riportare l’ordine.

Furono le parole di Togliatti, sopravvissuto all’operazione, a calmare gli animi. Invitò tutti a interrompere le manifestazioni, conscio del fatto che la tensione sarebbe aumentata a dismisura, fino al punto di non ritorno. Tornato alla direzione del PCI, criticò chi si rese partecipe del tentativo di insurrezione, certo di volere una legittimazione dei comunisti come forza politica di governo.

Pallante non sparì di certo nel nulla. Venne fermato dai carabinieri e sottoposto a giudizio un anno dopo per tentato omicidio volontario. Scontò appena cinque anni e tre mesi di prigione, con riduzioni di pena e soprattutto l’amnistia ricevuta nel 1953. Non si ebbe mai risposta in merito alle presunte mani che lo guidarono, ma ciò che sappiamo è che l’allora giovane attentatore condusse in seguito una vita normale. Trasferitosi a Catania, è stato parte del Corpo Forestale e in seguito amministratore di condominio. Deceduto nella città sicula nel 2022, alla veneranda età di 99 anni.