Quanti minuti ci vogliono per contagiare una persona: il nuovo studio

Il virus non rimane nell'aria a lungo, un nuovo studio rivela quanto tempo ci mettono le particelle infette a contagiare una persona

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Redazione

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Secondo un recente studio pubblicato lunedì 10 gennaio 2022 in pre-stampa (ma ancora soggetto a esame), le particelle di virus presenti nell’aria potrebbero perdere la loro capacità di infettare le cellule umane col passare del tempo. Dagli esperimenti in laboratorio, i ricercatori hanno osservato che le particelle si asciugano nell’ambiente esterno al corpo, anche quando si tratta di aerosol che vengono rilasciati da un soggetto positivo, per esempio durante una conversazione e/o dopo uno starnuto.

Gli ambienti dove il virus resta più a lungo: il nuovo studio sugli spazi chiusi

Lo studio in questione, a cui hanno lavorato i ricercatori dell’Università di Bristol, è stato reso noto da MedRxiv – sito internet che distribuisce pubblicazioni inedite di studi sanitari, medicina e ricerca clinica gestito da Cold Spring Harbor Laboratory, un istituto di ricerca e istruzione. L’intera ricerca, tuttavia, si è svolta prima che la variante Omicron si diffondesse ampiamente (qui la mappa aggiornata dei contagi e delle regioni più colpite in Italia). Quindi, il periodo di infettività rilevato non è ancora stato confermato per la nuova mutazione del virus.

Ad ogni modo, come spiegato dal professor Jonathan Reid, autore principale dello studio, i risultati suggeriscono che il rischio di essere infettati dalle particelle sospese nell’aria dipende più che altro da quante di queste ce ne sono in circolazione. Specie in un ambiente chiuso, non è tanto importante il tempo di esposizione, quanto la “freschezza” dell’aria. L’umidità, per esempio, può essere un fattore di rischio determinate, più importante della temperatura, nel preservare la capacità dei virus di sopravvivere nell’aria.

In particolare, lo studio ha rilevato che entro circa 5 secondi dal rilascio nell’aria delle particelle infette, in un ambiente con il 40% di umidità (con condizioni cioè simili a quelle di un ufficio o di un bar), metà del virus presente nell’aria non è riuscito a infettare le cellule umane. Al contrario, con un’umidità più elevata, impostata ad livello simile a quello di una doccia o di un bagno turco, il virus è rimasto stabile molto più a lungo.

Quanti minuti ci vogliono per contagiare una persona?

Un dato interessante emerso dallo studio di Bristol, infine, è quello relativo al tempo di esposizione al virus.

Nello specifico, la ricerca parrebbe dimostrare come la capacità del virus di infettare diminuisce nel tempo in un ambiente poco umido. Infatti, in laboratorio, dopo dieci minuti le particelle infette sono risultate “inattive”, mentre dopo 20 minuti – nello stesso ambiente – la percentuale di particelle di virus inattive è salita al 90%.

La metà delle particelle presenti nell’aria è stata invece in grado di infettare entro i primi minuti. Tuttavia, nel tempo le stesse sono decadute, perdendo la maggior parte della loro capacità di infettare entro 20 minuti, soprattutto negli ambienti con livelli di umidità bassi.

Adesso, l’obiettivo degli scienziati è quello di riprodurre questi risultati in contesti di vita reale, dove ci sono altri fattori in gioco, come la ventilazione, le dimensioni della stanza e la quantità di virus che una persona infetta riesce a diffondere intorno a sé. È possibile, ad esempio, che anche solo il 10% della carica virale originale che riesce a sopravvivere sia sufficiente per causare un’infezione in un soggetto che si trova dall’altra parte della stanza, il che significherebbe che il virus è pericoloso anche dopo aver atteso per un po’ di tempo.

Infine, come già accennato sopra, lo stesso modello non tiene conto della contagiosità della variante Omicron e dei suoi tempi di incubazione (qui l’approfondimento). Le variabili, quindi, sono ancora troppe per poter considerare la teoria sempre valida, in ogni condizione e luogo.