Madeleine Albright e il concetto di diplomazia umanitaria

Ex segretario di Stato, è stata al tempo la donna più alta in grado della storia degli Stati Uniti d'America: ecco la sua visione sulla diplomazia internazionale, portata avanti con coraggio

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Madeleine Albright è stata la prima donna segretario di Stato degli USA. Un incarico ricoperto durante il secondo mandato di Bill Clinton alla Casa Bianca, il che la rese la donna più alta in grado nell’intera storia del governo americano. Esule dalla Cecoslovacchia, non ebbe mai la chance di correre per il ruolo di Presidente. Nata infatti fuori dai confini e figlia di genitori non americani. Non per questo, però, non riuscì a servire il proprio Paese in maniera eccellente, lasciando un segno indelebile nella storia della diplomazia internazionale.

Diplomazia umanitaria

Importante il peso avuto da Madeleine Albright nel corso politico americano post Guerra Fredda. In ambito internazionale ha sostenuto fortemente l’allargamento della Nato ai Paesi dell’ex Patto di Varsavia. Se in precedenza gli USA erano soliti agire in risposta a determinate pressioni provenienti dall’Unione Sovietica, al suo tempo il discorso era ben differente.

Si parla di una forma di diplomazia rivoluzionaria perché, con lei come segretario di Stato, il Paese tentò azioni sospinte da altre motivazioni. Basti pensare al sostegno dell’intervento armato in Kosovo per ragioni umanitarie. Era il 1999 e l’anno dopo si recò in Corea del Sud per incontrare l’allora leader Kim Jong-il, padre dell’attuale Kim Jong-un.

Tre differenti presidenti americani l’hanno descritta alla stessa maniera in seguito alla sua morte. Per Joe Biden è stata una “forza per la libertà”, in grado di abbattere numerose barriere in sostegno dei diritti umani e della democrazia. Bill Clinton l’ha invece descritta come la voce appassionata per la libertà e la democrazia. Niente affatto distante da questa visione Barack Obama: “È per persone come Madeleine che la storia dell’America è storia di speranza”. Proprio il 44esimo presidente la insignì con la più alta onorificenza civile statunitense, la Medaglia della Libertà, sottolineando come abbia contribuito a portare la pace nei Balcani, spianando la strada a progressi raggiunti negli angoli più instabili del mondo, per usare le sue parole.

Impegno civile e politico

Fino alla fine ha dato seguito al proprio impegno civile e politico. Madeleine Albright ha infatti preso una dura posizione contro Donald Trump. Non ha mai avuto timore di dire ciò che pensava, così sottolineò la “strana ammirazione per i dittatori come Putin” del presidente USA.

Proprio in merito al leader russo, si era espressa attraverso un editoriale sul New York Times, definendo la guerra in Ucraina un clamoroso passo falso: “Lascerà la Russia isolata diplomaticamente, economicamente in difficoltà e strategicamente vulnerabile di fronte a un’alleanza occidentale”.

Non ha mai dimenticato l’Est Europa e i suoi fragili equilibri, sognando di realizzare quel “multilateralismo vigoroso e robusto” di cui era solita parlare. Sapeva benissimo quanto fosse importante un impegno concreto e costante nel tempo per democratizzare le società post comuniste.

L’umanità dei suoi modi e della sua diplomazia erano evidenti nel suo modo di porsi nei rapporti umani, come evidenziano tutte le testimonianze sul suo conto. Convinta di non poter semplicemente spingere l’Est Europa verso l’adesione a una Free Market Economy, senza procedere verso una maturazione dei sistemi politici e delle istituzioni. Non si affidava a degli slogan ed era sempre pronta a lottare in prima linea.