Giulia Bongiorno e la lotta contro il bavaglio alla stampa

La presidente della commissione Giustizia del Senato si è espressa in merito al testo del senatore Alberto Balboni

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Luca Incoronato

Giornalista

Giornalista pubblicista e copywriter, ha accumulato esperienze in TV, redazioni giornalistiche fisiche e online, così come in TV, come autore, giornalista e copywriter. È esperto in materie economiche.

Si è tornati a parlare di bavaglio alla stampa, il che non rappresenta una novità assoluta in Italia, anzi. Di fatto si è passati negli anni dalla minaccia del carcere al rischio concreto di una pena da 50mila euro. Il testo del senatore Alberto Balboni ha generato non poche polemiche ed è ovviamente interessante l’opinione in merito dell’avvocata Giulia Bongiorno, presidente della commissione Giustizia del Senato.

Legge bavaglio

Prima di affrontare questo tema, però, si ha la necessità di scendere nel dettaglio e spiegare cosa abbia generato tutto questo. Non poteva esimersi dall’esprimersi in merito Carlo Bartoli, presidente dell’Ordine dei giornalisti. Ha definito questo progetto politico una “bomba a orologeria piazzata nelle redazioni”.

Un disegno di legge sulla diffamazione che, come detto, porta la firma del governo di Giorgia Meloni, anche se nello specifico di Alberto Balboni. Per Bartoli si mira a intimidire il giornalismo d’inchiesta.

Pronte sanzioni da 10mila a 50mila euro per diffamazione. Cifre alle quali andrebbero aggiunte quelle relative al risarcimento del danno. Somme spropositate, le definisce, che mirano ad avere un effetto dissuasivo: “Di norma oggi la sanzione è mille euro. Rendiamoci conto che un freelance guadagna 50mila euro in 5 anni. Significa piegare i colleghi al silenzio”.

Il pensiero di Giulia Bongiorno

La presidente della commissione Giustizia del Senato, l’avvocata Giulia Bongiorno, ha affidato il proprio pensiero a Repubblica, spiegando nel dettaglio quello che è il suo punto di vista in merito. Parlando di intercettazioni, le ha definite uno strumento investigativo irrinunciabile: “Nessuno può ignorare quanto siano decisive in alcune indagini, sia per reati di mafia che di corruzione. La commissione ha svolto un’indagine approfondita. Ne sono emerse alcune criticità significative. Su queste si cerca di intervenire, senza però stravolgere o depotenziare lo strumento”.

Le viene dunque chiesto dei cosiddetti terzi estranei: “Si parla molto di quanto male faccia la gogna, ma quando si creano norme antigogna, si cita a sproposito il blackout o il bavaglio”. È certa della necessità di una riforma che contemperi sia l’interesse per l’accertamento del reato che la tutela della sfera privata: “Non sarebbe corretta una soluzione appiattita sull’uno o sull’altro. Ora c’è una lacuna normativa vistosa, dovuta al progresso tecnologico incessante”. Dà poi ragione al procuratore Antimafia Melillo, che chiede in realtà mezzi ancora più potenti per il controllo degli smartphone.

Si raggiunge, poi, la domanda più rilevante. Si parla di fatto di stretta sulla libertà di stampa, agendo con una forzatura sulla presunzione d’innocenza. Tutto ciò si traduce in un bavaglio che impedisce alla gente d’essere informata, spaventando i giornali, soprattutto minori.

Un deterrente contro l’informazione e il giornalismo d’inchiesta. Per quanto riguarda il pensiero di Giulia Bongiorno, però, non c’è alcun ostacolo da abbattere. Ricordando il suo periodo come presidente della commissione Giustizia della Camera, anni fa, ha spiegato d’essersi opposta a delle norme che “avrebbero creato un vero blackout informativo”. La sua posizione non è cambiata da allora. Semplicemente ritiene che, allo stato attuale, “non ci sono proposte che presentino rischi di questo genere”.