Gianfranco Fini rischia 8 anni di carcere: la richiesta nel processo sulla casa di Montecarlo

La casa di Montecarlo è ancora al centro dell'iter giudiziario contro Fini: ecco cosa rischia l'ex presidente della Camera, ma l'ex moglie lo può scagionare

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Luca Bucceri

Giornalista economico-sportivo

Giornalista pubblicista esperto di sport e politica, scrive di cronaca, economia ed attualità. Collabora con diverse testate giornalistiche e redazioni editoriali.

Pubblicato: 19 Marzo 2024 17:49

La Procura di Roma ha chiesto otto anni di reclusione per Gianfranco Fini, ex ministro degli Esteri, sul tanto discusso caso legato all’operazione di compravendita, che risale al 2008, di un appartamento a Montecarlo. L’ex presidente della Camera, infatti, è accusato di riciclaggio sull’operazione che era stata messa in piedi dal cognato Giancarlo Tulliani, fratello dell’ex moglie Elisabetta. E proprio la donna, con recenti dichiarazioni, potrebbe scagionare l’ex politico per il quale, però, la Procura vuole usare il pugno duro.

La richiesta di condanna per Fini

I pm Barbara Sargenti e Maria Teresa Gerace hanno avanzato la richiesta di otto anni di reclusione per Gianfranco Fini e sollecitato a una pena a nove anni per la compagna dell’ex segretario di An Elisabetta Tulliani, a 10 anni per il fratello Giancarlo Tulliani e cinque per il padre Sergio. Una situazione che sarebbe tutta interna alla famiglia Tulliani che però, secondo i pm, era conosciuta anche da Fini.

L’ex presidente della Camera, infatti, pare non fosse stato tenuto all’oscuro di un’operazione che prevedeva di ripulire dei soldi sporchi con l’acquisto di una casa nel Principato. Immobile extralusso di cui era proprietario An, il partito di cui Fini era al vertice al tempo.

Il caso dell’appartamento di Montecarlo

La storia che interessa l’eventuale condanna è quella legata al tanto discusso appartamento di Montecarlo a boulevard Princesse Charlotte 14, lasciato in eredità ad Alleanza nazionale dalla contessa Annamaria Colleoni nel suo testamento, con l’obiettivo di finanziare “la buona battaglia” politica della destra, e acquistato poi a poco più di 300.000 euro da Giancarlo Tulliani. Lo stesso immobile poi è stato rivenduto a 1 milione e 250 mila euro a un ignaro acquirente, operazione che ha fatto accendere su di sé le luci dei riflettori con una vicenda giudiziaria tormentata.

Oggetto di archiviazione da parte dell’allora procuratore capo di Roma Giovanni Ferrara in quanto apparente truffa e poi ripescata dal successore, Giuseppe Pignatone, quale fattispecie di riciclaggio, secondo l’accusa, l’acquisto fu finanziato dall’imprenditore delle slot machine Francesco Corallo, evasore a detta delle pm di 85 milioni di euro di tasse. Per l’accusa parte di quei milioni furono bonificati a Giancarlo Tulliani, cognato di Fini, affinché li trasferisse e ne disponesse contro le pretese del fisco, a Elisabetta Tulliani, compagna del leader politico, e a suo padre Sergio Tulliani.

Non un’operazione benefica, bensì strategica perché Corallo andava in cerca di provvedimenti che lo avvantaggiassero sotto il profilo imprenditoriale. La famiglia di Fini, secondo l’accusa, avrebbe potuto assicurargli un assist legislativo.

Le parole che scagionano l’ex politico

Un iter giudiziario che va avanti dal 2008 e che, dopo anni di battaglie, archiviazioni e ritorni in auge, potrebbe presto avere la parola fine. Quella della Procura è una richiesta che però dovrà tenere conto anche delle parole di Elisabetta Tulliani, ex di Fini, che sostanzialmente ha “scaricato” il fratello Giancarlo per difendere l’ex presidente della Camera.

“Ho nascosto a Gianfranco Fini la volontà di mio fratello di comprare la casa di Montecarlo. Non ho mai detto a Fini la provenienza di quel denaro, che ero convinta fosse di mio fratello – ha affermato visibilmente commossa la donna -. Il comportamento spregiudicato di mio fratello rappresenta una delle più grandi delusioni della mia vita. Spero di avere dato con questa dichiarazione un elemento per arrivare alla verità”.

Parole che di fatto scagionano l’ex politico. Anche se, come detto, la magistratura non crede a pieno che Fini fosse stato tenuto all’oscuro dell’operazione e della provenienza di quei soldi.