“Soros dietro ai gruppi pro Hamas”: cosa sappiamo del presunto scoop

Le rivelazioni del New York Post sul magnate ungherese di origine ebraica naturalizzato statunitense, oggi 93enne, in merito alla guerra di Israele

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Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Su una guerra già sporca e da sempre raccontata con ingannevole parzialità, ecco che piomba anche l’ombra di George Soros. Secondo le rivelazioni del prestigioso New York Post, il magnate ungherese di origine ebraica naturalizzato statunitense, oggi 93enne, sopravvissuto all’Olocausto eppure con una lunghissima storia di opposizione a Israele, avrebbe versato più di 15 milioni di dollari, dal 2016 a oggi, ai gruppi che si celano dietro le proteste filo-palestinesi di questo mese, in cui i manifestanti hanno apertamente applaudito agli attacchi terroristici dei militanti di Hamas contro Israele.

Chi è George Soros

A giugno, Soros ha annunciato che avrebbe ceduto il controllo del suo impero al figlio 38enne Alexander. Giusto per dare qualche numero, oggi Soros risulta avere un patrimonio netto di 6,7 miliardi di dollari: ha donato più di 32 miliardi di dollari alla sua Open Society Foundations, di cui 15 miliardi, cioè ben il 64% del totale, sono già stati distribuiti. Forbes l’ha definito il “donatore più generoso”: tra il 1979 e il 2011, ha elargito più di 11 miliardi di dollari a favore di varie cause filantropiche.

Un personaggio iper discusso, è stato definito in tanti modi: “burattinaio”, “spauracchio dei nazionalisti europei”, “re dei complottisti”. Si può senz’altro affermare che Soros abbia influenzato la caduta del comunismo nell’Europa orientale tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, ma è passato alla storia come “l’uomo che ha distrutto la Banca d’Inghilterra”, visto che, durante la crisi monetaria britannica del Mercoledì Nero del 1992, vendette allo scoperto 10 miliardi di dollari in sterline, operazione che gli fruttò ben 1 miliardo di dollari.

Non a caso, lui, che aveva studiato sia Filosofia che Economia, è il padre della teoria generale della riflessività per i mercati dei capitali, utile, tra le altre cose, per fornire informazioni sulle bolle speculative: la teoria si fonda sull’idea che in economia i fattori soggettivi e le aspettative influiscano fortemente, tanto da produrre uno scarto rispetto alla realtà oggettiva. Secondo l’estrema destra nazionalista di ogni angolo del mondo, ci sarebbe proprio Soros dietro innumerevoli presunti complotti globali.

Chi starebbe finanziando Soros, e con quanti soldi

Oggi, un esame dei registri della Open Society Foundations, scrive il New York Post, mostrerebbe che la rete di sovvenzioni di Soros avrebbe donato 13,7 milioni di dollari solo attraverso il Tides Center, facoltoso gruppo di difesa di sinistra che sponsorizza diverse organizzazioni no-profit, responsabili di aver giustificato in questi giorni gli attacchi di Hamas.

Tra i beneficiari di Tides c’è l’americano Adalah Justice Project, che il giorno del massacro degli israeliani da parte di Hamas al rave party del 7 ottobre ha pubblicato su Instagram una foto di un bulldozer che abbatteva parte della recinzione di confine israeliana, con tanto di didascalia: “I colonizzatori israeliani credevano di poter intrappolare per un tempo indefinito 2 milioni di persone”. Sempre secondo i dati raccolti dal New York Post, nel 2020 la Open Society di Soros avrebbe anche donato 30mila dollari al Desis Rising Up and Moving, sostenitore della protesta di Bryant Park dove sono state arrestate 139 persone.

Nel 2018 Open Society Foundations avrebbe donato poi 60mila dollari all’Arab American Association di New York, gruppo co-fondato dall’attivista Linda Sarsour che ha organizzato un’altra protesta contro Israele il 21 ottobre, dove i manifestanti hanno chiesto lo sradicamento degli israeliani. Altri 1,5 milioni di dollari sarebbero finiti nelle tasche di Adalah-Legal Center for Arab Minority Rights, organizzazione no-profit che in teoria si occupa di diritti umani, 650mila in quelle di Jewish Voice for Peace e 400mila di If Not Now, tutti gruppi di difesa palestinese (qui i Paesi che forniscono armi a Israele e ad Hamas).

Come ha evidenziato il vicepresidente di Media Research Center Dan Schneider, che ha chiesto assieme ad altri a Soros di interrompere i finanziamenti ai gruppi che hanno recentemente espresso una retorica pro-Hamas, “George Soros e suo figlio Alex hanno una lunga storia di sostegno alle organizzazioni più radicali in tutto il pianeta, e questo include organizzazioni pro-Hamas che supportano i comportamenti più atroci. Abbiamo chiesto a George Soros di ritirare questi finanziamenti, ma lui sembra molto determinato a continuare a sostenere le organizzazioni antisemite che vogliono sconvolgere la civiltà occidentale” (qui quali Paesi sostengono Hamas e quali Israele, e la posizione dell’Italia).

Polemica per il governo Meloni che si è astenuto sulla votazione Onu

Per ora da Soros e famiglia non è arrivata nessuna replica. Intanto, in Italia è bufera per la decisione del governo Meloni di astenersi dal voto della risoluzione presentata dagli Stati arabi all’Assemblea generale dell’Onu, che chiedeva la tregua a Gaza. L’Italia è tra i 45 Paesi che si sono astenuti, mentre i “no” sono stati 14. Stati Uniti e Israele hanno votato contro. La risoluzione è stata approvata a stragrande maggioranza con 120 voti a favore.

Alla base della scelta del governo Meloni, l’assenza di ogni riferimento di condanna alla strage del 7 ottobre commessa dai miliziani di Hamas, ha spiegato l’ambasciatore italiano Maurizio Massari nel suo intervento a conclusione della votazione. “Manca la condanna chiara degli attacchi di Hamas a Israele, e manca il riconoscimento del diritto a difendersi di ogni Stato sotto attacco” ha chiarito Massari. “Inoltre, non c’era alcuna richiesta incondizionata al rilascio degli ostaggi israeliani, sequestrati il 7 ottobre”.

Mentre alcuni analisti definiscono 3 scenari possibili e altri evocano lo spettro della Terza Guerra Mondiale, “l’Italia è e sarà con fermezza solidale verso Israele – ha spiegato all’Assemblea l’ambasciatore Massari -, per noi la sicurezza di Israele non è negoziabile. Questo è ciò che il governo italiano, dal primo ministro al ministro degli Esteri, ha sempre sostenuto”. Massari ha invitato poi a “non cadere nella trappola dei terroristi” che “vogliono trasformare il Medio Oriente in uno scontro di civiltà, religioso e culturale. Noi non lo permetteremo”.

Il governo di Roma ha ribadito l’appello a mettere in campo “ogni sforzo diplomatico” per garantire il “sicuro passaggio di aiuti al popolo palestinese”, ed evitare che il “conflitto si allarghi”. “Il popolo palestinese – ha concluso Massari, richiamando il principio di due popoli e due Stati – ha diritto a essere uno Stato autonomo, libero, così come Israele, al quale il pieno diritto all’esistenza deve essere riconosciuto in modo inequivocabile e senza ambiguità”.