La crisi dei missili è una locuzione d’altri tempi, di novecentesca memoria, ma che in queste settimane di intensi raid aerei in terra ucraina e minacce di escalation nucleare è tornata drammaticamente in auge. Difficile restare a guardare senza provare dolore o timore. O, se sei un’organizzazione militare, senza preparare le dovute contromosse (Russia verso “Armageddon nucleare”, Biden fa tremare il mondo).
Da qui la decisione dei ministri della Difesa di 14 Paesi della Nato, ai quali si affianca la Finlandia, di riunirsi a Bruxelles per firmare una lettera d’intenti per lo sviluppo di una “European Sky Shield Initiative”. L’iniziativa, a guida della Germania, vuole dar vita a un sistema europeo di difesa aerea e missilistica attraverso l’acquisizione comune di armamenti e missili da parte delle nazioni europee.
L’accordo sulla difesa aerea: c’è anche l’Italia?
L’iniziativa punta a afforzare la difesa aerea e missilistica integrata della Nato. Le nazioni firmatarie sono, oltre alla Finlandia, Belgio, Bulgaria, Estonia, Germania, Lettonia, Lituania, Norvegia, Paesi Bassi, Slovacchia, Slovenia, Romania, Regno Unito e Ungheria. E l’Italia? Non pervenuta. Le nazioni europee “occidentali” che hanno sottoscritto l’accordo sono soltanto quattro: Belgio, Paesi Bassi, Germania e il “non più Ue” Regno Unito. Tutti gli altri guardano la Russia negli occhi, da vicino. E per questo hanno deciso di potenziare le proprie difese, per assicurarsi che eventuali missili russi vengano distrutti prima ancora che possano raggiungere il suolo.
Il documento d’adesione è tuttavia sempre rinnovabile, fanno sapere da Bruxelles. Quest’alleanza iniziale non è altro che “un gruppo di testa” e in futuro ci si aspetta che “altre nazioni della Nato” vi partecipino, “inclusa l’Italia”, afferma un’alta fonte diplomatica a margine del vertice comunitario. “Si tratta di una piattaforma aperta, che punta a mettere in rete le industrie nazionali e dunque sarà di beneficio a tutti i partecipanti”.
E difatti ai 14 firmatari si associa la gestione dell’operazione da parte degli immancabili Stati Uniti e anche della Francia. Quest’ultima ha scelto però di non firmare l’intesa, seguita dalla Polonia. La prima intende creare un proprio sistema di difesa nazionale, mentre la seconda fa affidamento sull’effetto deterrente del proprio, vasto, arsenale nucleare. Non solo: Parigi ha inoltre sviluppato un sistema di difesa terra-aria a medio raggio (Samp/T, noto come “Mamba”) già completamente integrato nella catena di controllo del comando aereo alleato della Nato.
I movimenti della Nato: l’esercitazione nucleare di routine
La notizia dell’intesa sullo scudo aereo arriva non a caso pochi giorni prima dell’annuncio di un’altra esercitazione che vede coinvolti sempre 14 Paesi (tra cui anche l’Italia, stavolta) e dalla denominazione emblematica: “Steadfast Noon” (“mezzogiorno costante”), in opposizione alla “mezzanotte” che nel linguaggio d’intelligence e militare indica la catastrofe nucleare. L’ambito di deterrenza è ovviamente lo stesso. Il test andrà in scena il 17 ottobre ed è definito “di routine”, poiché si tiene ogni anno e dura generalmente 7 giorni, coinvolgendo jet in grado di trasportare testate nucleari ma senza ovviamente utilizzare concretamente alcun ordigno. Per la precisione saranno 50 gli aerei militari dell’Alleanza che si alzeranno in volo nei cieli d’Europa e passeranno sopra un’area ancora top secret.
Anche quest’operazione avverrà sotto la gestione di Stati Uniti, Regno Unito e Francia. E quindi sotto la gestione degli Stati Uniti. E a chi paventa una probabile escalation con la Russia, il segretario generale Jens Stoltenberg risponde: “Daremmo un messaggio molto sbagliato se cancellassimo all’improvviso un’esercitazione di routine, pianificata da tempo, perché è in corso la guerra in Ucraina”. Il capo della Nato non manca però di additare la retorica nucleare di Putin come “irresponsabile”, col presidente russo definito “consapevole” che una guerra nucleare “non avrebbe vincitore e non deve mai essere combattuta”.
E noi, come ci proteggiamo?
Se da un lato il nostro Paese ha scelto di non aderire allo scudo aereo promosso dal Patto Atlantico, dall’altro non lascia certo scoperti i propri cieli (qui spieghiamo invece cosa prevede il piano di evacuazione in caso di attacco nucleare). L’Italia fa già parte di un sistema integrato di difesa, il già citato “Mamba”, e ha sviluppato altri programmi antimissili in partnership con la stessa Francia e il Regno Unito. Non solo: Roma ha aderito anche al progetto Twister, acronimo per Timely warning and Interception with space-based theater surveillance, che è finanziato dal fondo europeo per la difesa (l’ultimo appalto ammonta a circa 100 milioni di euro).
Dietro Twister ci sono anche Germania, Spagna, Olanda e Finlandia. L’obiettivo del progetto è quello di costruire “un intercettore endo-atmosferico europeo per affrontare minacce aeree emergenti e complesse (missili cruise ipersonici, veicoli di volo ipersonici, missili balistici di manovra)”. A riferirlo è Mbda, gruppo europeo che si sta occupando dello sviluppo del progetto e che è partecipato al 25% dall’italiana Leonardo. Lo scudo dovrebbe essere pronto nel 2030 e dovrebbe integrarsi a quello Nato.
Il braccio armato della Nato in Europa
Se qualcuno non se ne fosse accorto, l’iniziativa dell’Alleanza rivela una volta in più l’inconsistenza geopolitica dell’Unione europea, che rappresenta un soggetto molto più geografico e molto meno (geo)politico. L’Europa non è una nazione, le nazioni nascono e si consolidano soltanto dopo le guerre, diceva qualcuno. Il ricorrente desiderio di dar vita a una difesa comune europea, realizzando il fumoso sogno della costituzione degli Stati Uniti d’Europa, non si è mai concretizzato. C’è voluta la Nato, braccio armato degli Stati Uniti sulla nostra sponda dell’Atlantico, per andarci vicini. A ulteriore testimonianza della predominanza americana nelle decisioni strategiche dei Paesi del Vecchio Continente.
Lo scudo aereo annunciato in questi giorni non è però altro che il potenziamento di un sistema di difesa esistente e denominato Difesa aerea e missilistica integrata (Iadm), in particolare per quanto riguarda i Paesi europei. In quest’ottica si inserisce l’acquisto di sistemi di difesa aerea Arrow 3 israeliani, Patriot statunitensi e Iris-t tedeschi.
L’Europa si arma: cosa succede ora?
Oltre a inviare sistemi anti-missile sofisticati a Kiev, che in verità li richiede da marzo 2022, l’Europa atlantista si dota di armamenti di difesa finora poco diffusi in molte nazioni del Continente. Segno di una tendenza al riarmo già assaggiata con la storica decisione della Germania (per non parlare di quella complementare del Giappone) di la spesa militare sopra il 2% del Pil e finora evitata. Dalla fine della Guerra Fredda, la cui vittoria “è stata reclamata dagli Stati Uniti” secondo Putin, l’Europa si è mostrata riluttante a investire troppe risorse nelle capacità militari e creare uno scudo europeo, proprio al fine di non “provocare” o “irritare” la Russia (qui spieghiamo chi sono i “riservisti” di Putin e quanto guadagnano).
La cosiddetta politica di “appeasement” europea è continuata fino a oggi, nonostante già tra il 2008 e il 2009, la Russia abbia cominciato a violare gli accordi del Trattato del 1987 sulle forze nucleari a medio raggio (Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty Inf), che aveva posto fine alla cosiddetta questione degli Euromissili. All’epoca il Cremlino violò il trattato equipaggiando due battaglioni, di stanza in zone limitrofe all’Unione europea, con dispositivi mobili per il lancio di testate atomiche a medio raggio. All’epoca non c’era però una guerra in Ucraina, nella quale l’Europa si è schierata più o meno compatta a sostegno di Kiev.