Siria tra due fuochi, mentre si assesta a suon di esecuzioni Israele bombarda a tappeto

Dopo la caduta di Assad, ribelli e sostenitori del nuovo governo hanno stanato e giustiziato i collaboratori del dittatore. Contemporaneamente Israele ha effettuato 480 raid in sole 48 ore. L'obiettivo di Netanyahu è smilitarizzare la Siria

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Maurizio Perriello

Giornalista politico-economico

Giornalista e divulgatore esperto di geopolitica, guerra e tematiche ambientali. Collabora con testate nazionali e realtà accademiche.

Pubblicato: 11 Dicembre 2024 00:27

Dieci raid all’ora: è stato questo il ritmo dei bombardamenti israeliani sulla Siria negli ultimi due giorni. Da quando, cioè, i ribelli hanno rovesciato il regime di Bashar al-Assad, mettendo fine a una dinastia che governava il Paese mediorientale da mezzo secolo.

In piena corsa di riassestamento socio-politico, la Siria del leader dell’Hts al Jolani e del nuovo premier Muhammad Bashir non smette di bruciare anche per fiamme interne. Dopo la fuga del dittatore, si è infatti scatenata la resa dei conti con esecuzioni sommarie ai danni di favoreggiatori ed esponenti del regime.

Israele tempesta la Siria con 480 raid in 48 ore: perché?

Assieme a Turchia e Stati Uniti, Israele è l’attore geopolitico più soddisfatto della caduta del regime di Assad. Per un motivo strategico principale: il governo precedente era una marionetta dell’Iran – oltre che della Russia – e per conto di Teheran proteggeva e garantiva il passaggio di rifornimenti e armi verso Hezbollah e Hamas. Con lo sconvolgimento dell’8 dicembre, la potenza della Repubblica Islamica – grande nemico giurato dello Stato ebraico – si è sensibilmente ridimensionata. E ora Tel Aviv pensa di chiudere i conti contro i suoi avversari nella Striscia di Gaza, in Libano, in Yemen e nella stessa Siria. Il tutto entro l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, come garantito dal premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Un programma in pieno svolgimento, che passa inevitabilmente da un inasprimento del conflitto in Medio Oriente. Ora Israele teme che la Siria si trasformi in un’ennesima minaccia, con alla guida altri islamisti coi quali fronteggiarsi in un prossimo futuro, e gioca d’anticipo. Con una maxi operazione aerea, chiamata “Fionda di Bashan” (territorio citato nella Bibbia e corrispondente a parte dell’attuale Siria, ndr), ha distrutto “l’80% delle capacità militari siriane”, inclusi navi, aerei, missili, siti di produzione e depositi di armi. I dati parlano di almeno 480 raid nel giro di 48 ore, dopo l’autorizzazione da parte di Netanyahu di bombardare ogni strumentazione militare abbandonata dai governativi di Assad, e che sarebbe potuta finire nelle mani dei jihadisti.

L’obiettivo israeliano è simile a quello perseguito in Libano: creare una zona cuscinetto demilitarizzata, oltre la Linea Alpha di confine, ma “senza una presenza israeliana permanente”, ha assicurato il ministro degli Esteri Israel Katz. Un’operazione che al presidente turco Recep Tayyip Erdogan, che ha sostenuto l’avanzata dei ribelli dell’Hts fino a Damasco, appare una vera e propria “aggressione” più che una manovra difensiva, che minaccia ancora una volta la stabilità della Siria. Se il nuovo regime “permetterà all’Iran di tornare a stabilirsi o permetterà il trasferimento di armi a Hezbollah, risponderemo con forza e gli faremo pagare un prezzo pesante”, ha avvertito dal canto suo Netanyahu. “Siamo intenzionati a fare tutto il necessario per garantire la nostra sicurezza”, ha ribadito, spiegando di aver schierato 350 caccia che hanno colpito Damasco, Homs, Tartus, Latakia e Palmira. La Marina israeliana avrebbe inoltre distrutto gran parte della flotta militare che fu di Assad, mentre secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani un numero imprecisato di soldati lealisti sarebbero morti nei raid aerei sulle basi militari in cui si erano rifugiati in attesa di poter fuggire. Secondo Netanyahu, l’operazione Fionda di Bashan “è simile a ciò che fece la Royal Air Force britannica quando bombardò la Marina del regime di Vichy che collaborava con i nazisti, per impedire che finisse proprio nelle mani dei tedeschi”.

In Siria rispuntano le bandiere dell’Isis

Ben lungi dal voler stabilizzare la Siria, le potenze straniere hanno tutto da guadagnare dal caos interno. Divide et impera, si sarebbe detto qualche millennio fa. Come mostrano diversi video (verificati) da fonti sul terreno, a Latakia, lasciata in fretta e furia dalle forze russe, sono già rispuntate le bandiere nere dell’Isis. Miliziani sui carri armati hanno sfilato nella città, porto siriano non lontano dalla principale base aerea russa di Khmeimim, sventolando bandiere nere jihadiste con su scritto in bianco la professione di fede islamica.

Il gruppo jihadista dello Stato Islamico si è spinto anche oltre. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, l’organizzazione terroristica ha giustiziato decine di soldati in fuga nel deserto centrale della provincia di Homs. Le esecuzioni sono avvenute mentre i combattenti dell’Isis erano in fuga durante la caduta del governo di Assad.

La Siria preda di esecuzioni sommarie

Altri video pubblicati sui social hanno mostrato l’altra faccia, interna, del caos siriano. I ribelli e i loro sostenitori hanno effettuato esecuzioni sommarie di esponenti dell’ex regime, uccidendone a decine in strada e in luoghi pubblici. Non è chiaro quanto il nuovo governo di Damasco – che tenta di accreditarsi come tollerante e affidabile – riesca a controllare il Paese e le varie milizie che hanno contribuito alla caduta di Assad. La nuova leadership ha organizzato anche una prima riunione con diversi ambasciatori, compreso – unico occidentale – l’italiano Stefano Ravagnan. Un incontro giudicato “positivo” dai nuovi signori di Damasco, e conclusosi con “la promessa” da parte dei diplomatici di “un coordinamento di alto livello”. Intanto però nelle strade la situazione resta apparentemente fuori controllo. La guerra civile, insomma, prosegue più violenta che mai.

La furia scatenata contro gli aguzzini al soldo del deposto rais ha visto decine di persone prelevate con la forza dalle loro case e da nascondigli improvvisati. Molti di loro sono stati trascinati in piazza, a Latakia, porto nord-occidentale siriano per decenni descritto come la roccaforte dei clan alauiti associati al potere degli Assad. Membri di quelle che fino a pochi giorni fa erano considerate le “temibili” mukhabarat, i servizi di controllo e repressione del regime, sono stati giustiziati con colpi di pistola alla tempia o raffiche di mitra su tutto il corpo. Una sorte ancora più cruenta è invece toccata ad altri esponenti degli apparati di sicurezza della deposta dittatura: i loro cadaveri trascinati a lungo per le strade di Idlib, quartier generale dei jihadisti ora al potere a Damasco, mentre la folla inferocita inveiva sui corpi con calci e sputi.

Nell’euforia della “liberazione” della nazione, almeno 40 cadaveri accatastati con evidenti segni di tortura e con tracce di sangue sono stati rinvenuti a Damasco nell’ospedale militare di Harasta. “Ho aperto la porta dell’obitorio con le mie mani ed è stato uno spettacolo orribile: una quarantina di corpi erano ammucchiati, con segni di terribili torture”, ha raccontato uno dei primi miliziani di Hts giunto in quello che era un mattatoio umano in piena regola. Incubo a occhi aperti che non fa presagire la tanto celebrata stabilizzazione della Siria, figurarsi del Medio Oriente.