Il conflitto tra Israele e Hamas potrebbe aver raggiunto il punto di svolta con la decisione di Israele di inviare una delegazione per riprendere i negoziati per il cessate il fuoco, in risposta alle pressioni internazionali. Il governo ha accettato di partecipare a una nuova serie di colloqui mediati da Stati Uniti, Egitto e Qatar che si terranno il 15 agosto, con lo scopo di risolvere le questioni ancora aperte, inclusa la liberazione degli ostaggi e la fornitura di aiuti umanitari alla Striscia di Gaza.
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Le pressioni internazionali per la situazione a Gaza
La decisione di Israele di tornare al tavolo delle trattative segue mesi di intensi combattimenti che hanno causato migliaia di vittime. Secondo il ministero della Salute di Gaza, il conflitto ha già provocato oltre 39.000 morti tra i palestinesi e più di 91.000 feriti. Sono 1,9 milioni gli sfollati, circa 10mila i dispersi sotto le macerie.
La comunità internazionale ha iniziato a intensificare gli sforzi diplomatici per fermare l’escalation e avviare un processo di pace duraturo. Non sono state risparmiate critiche a Gerusalemme per la gestione delle tensioni e per la risposta militare agli attacchi terroristici compiuti da Hamas tra il 7 e il 9 ottobre 2023, che hanno riacceso le ostilità.
I negoziati per la pace mediati da Usa, Egitto e Qatar
Usa, Egitto e Qatar hanno invitato nuovamente Israele al tavolo diplomatico. Il premier Benjamin Netanyahu, attraverso un comunicato del suo ufficio, ha annunciato che invierà una delegazione a Doha o al Cairo il 15 agosto. E si è mostrato dunque aperto ai negoziati, forse per evitare il peggio e l’intervento di altri Paesi nella zona.
La ripresa delle comunicazioni tra le due fazioni potrebbe essere il primo passo per la liberazione degli ostaggi israeliani e l’istituzione di nuovi corridoi umanitari per Gaza, ma è ancora da vedere quali e quante concessioni le parti saranno disposte a fare. Il tempo comunque stringe: la comunità internazionale è preoccupata per un’ulteriore escalation su larga scala in tutto il Medio Oriente.
Le minacce dei missili provenienti dall’Iran e dal Libano
Al momento i vertici palestinesi non hanno rilasciato dichiarazioni ufficiali sulla propria adesione ai negoziati, anche se nelle scorse ore Yahya Sinwar, leader di Hamas, ha lanciato degli appelli a Gerusalemme e Teheran. Il numero uno dell’organizzazione islamica ha esortato i governi dell’Iran e di Israele a perseguire la via del cessate il fuoco.
Sullo sfondo rimane invece il movimento sciita del Libano, Hezbollah, che sarebbe intenzionato a vendicare l’uccisione del comandante Fuad Shukr dopo l’offensiva israeliana con un attacco indipendente. Se i missili non arriveranno da Teheran, insomma, potrebbero provenire da Beirut.
La proposta per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas
Il tempo stringe, dunque, e bisogna trovare una quadra prima dell’intervento di altri Paesi. L’accordo potrebbe essere stipulato sulla falsariga del piano che Joe Biden aveva proposto a maggio, con il sostegno dell’Onu. Prevede una fase di sei settimane di cessate il fuoco completo con il ritiro delle truppe israeliane dalle aree popolate di Gaza e lo scambio di alcuni ostaggi israeliani con alcuni prigionieri palestinesi.
Nel periodo di tregua le due parti dovrebbero discutere della fine definitiva delle ostilità, il rilascio di tutte le persone catturate e il ritiro completo dell’esercito di Gerusalemme dalla Striscia. Nella terza fase, infine, si darebbe il via al piano di ricostruzione dei territori palestinesi e la restituzione dei corpi degli ostaggi uccisi.
La proposta quattro mesi fa non era piaciuta a Benjamin Netanyahu, che aveva dichiarato di voler continuare a lanciare bombe su Gaza fino allo sterminio totale di Hamas, anche a costo di compiere il massacro di civili palestinesi che si è poi concretizzato. Oggi però pesano le minacce di Iran e Libano, che potrebbero cambiare le sorti del Medio Oriente, magari con l’ingerenza di potenze occulte.
La vita prosegue a Tel Aviv prima della possibile escalation
Intanto i corrispondenti da Tel Aviv descrivono una situazione da quiete prima della tempesta, in cui la vita scorre normalmente, nonostante la connessione a internet intermittente. Eventi nelle piazze, bar e ristoranti pieni nelle zone della movida: gli israeliani sono abituati alle minacce belliche. Eppure questa volta la situazione potrebbe essere seria. Un’offensiva iraniana o libanese potrebbe radere al suolo la città, bucando il sistema di difesa della Cupola di Ferro.
Tra chi sceglie la quotidianità non c’è l’illusione che la guerra finisca presto e che i negoziati annunciati possano magicamente far sparire i conflitti che da decenni caratterizzano quell’area del mondo. I bunker sono attrezzati e pronti ad accogliere chi riuscirà a sopravvivere a un attacco missilistico su larga scala. La cui minaccia, comunque, non ferma le giornate dei civili.