Covid diventa malattia professionale: ecco per quali categorie

Istituzioni, lavoratori e datori di lavoro hanno raggiunto un accordo per i settori in cui si concentrano le attività con un rischio accertato di infezione

Terminata ufficialmente la fase di emergenza, la pandemia Covid sembra non volerne sapere di allentare la morsa sul mondo (quando finirà davvero la pandemia: gli scenari). In Italia la percentuale di ricoveri e l’incidenza dei casi si è abbassata notevolmente, ma il livello dei contagi continua a preoccupare non pochi Paesi.

Ecco perché i governi degli Stati europei, i lavoratori e i datori di lavoro che partecipano al Comitato consultivo Ue per la sicurezza e la salute sul lavoro (Ccss) sono giunti a un accordo che riguarda l’inquadramento del Covid-19 a livello lavorativo.

Covid e impiego, cosa cambia sul posto di lavoro

Il Covid-19 sarà ufficialmente riconosciuto come malattia professionale. Il Ccss ha chiesto a tutti i Paesi membri di aggiornare il proprio elenco nazionale delle patologie legate alle attività lavorative.

Una volta che l’infezione da coronavirus sarà riconosciuta come malattia professionale in uno Stato membro, i lavoratori dei settori interessati che si sono contagiati sul posto di lavoro potranno godere di diritti specifici ai sensi delle norme nazionali, come ad esempio il diritto all’indennizzo.

Le categorie interessate

Il riconoscimento del Covid come malattia professionale riguarda i settori dell’assistenza sanitaria e domiciliare, dei servizi sociali e nei comparti in cui si concentrano le attività con un rischio accertato di infezione (intanto arriva il test che distingue il Covid dall’influenza: ecco dove si compra).

Secondo l’Enpam, l’Ente di previdenza dei medici e dei dentisti, l’accordo rappresenta “un’importante presa di posizione soprattutto nei confronti di medici e odontoiatri, perché conferma quanto da noi sostenuto fin dall’inizio della pandemia, quando i primi nostri colleghi sono caduti nel vano sforzo di contrastare il Covid-19″.

Come si muoverà lo Stato: l’idea dell’Enpam

Resta ora da stabilire come lo Stato intenderà adeguarsi alle norme europee. Come ha ricordato il presidente dell’Enpam Alberto Oliveti, esiste già uno strumento che potrebbe essere efficacemente utilizzato. “Si tratta del fondo di Stato per i morti sul lavoro, istituito con la legge finanziaria 2007, che purtroppo registra una dotazione insufficiente per coprire tutti gli aventi diritto. Un aumento di questi fondi, alla luce della decisione dell’Unione europea, sarebbe un gesto significativo da parte dello Stato”.

I prossimi passi

Entro la fine dell’anno è attesa una nuova raccomandazione da parte della Commissione europea, con la quale sarà aggiornata l’attuale disposizione sulle malattie professionali. Gli Stati membri saranno poi chiamati ad adattare le loro legislazioni nazionali (qui abbiamo spiegato come il Covid produca effetti anche dopo anni).

In Italia il problema era già stato affrontato in piena pandemia. Al fine di sanare in ambito lavorativo la mancanza di una copertura assicurativa per i decessi da Covid-19, l’Inail ha infatti riconosciuto un risarcimento ai medici dipendenti assimilando retroattivamente il Covid a infortunio sul lavoro. Una mossa che però ha visto esclusi liberi professionisti e parasubordinati non iscritti all’Istituto, e dunque anche i familiari superstiti dei medici di famiglia.

La decisione dell’Unione europea “apre ora la strada a un riconoscimento della malattia professionale a tutti i camici bianchi e dovrebbe spingere lo Stato, come da noi auspicato, a riconoscere retroattivamente a tutti i medici caduti per Covid-19 quel risarcimento che finora ha riguardato solo una parte di loro”, ha commentato ancora Oliveti.