Il vero valore della Groenlandia, per Trump i giacimenti non contano quasi nulla

Gli Stati Uniti tornano a puntare sulla Groenlandia, ma i motivi economici sono secondari. Dietro le dichiarazioni di Trump c'è il desiderio della sicurezza

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Giorgia Bonamoneta

Giornalista

Nata ad Anzio, dopo la laurea in Editoria e Scrittura e un periodo in Belgio, ha iniziato a scrivere di attualità, geopolitica, lavoro e giovani.

Pubblicato: 8 Gennaio 2025 18:23

Non si parla d’altro che di Groenlandia. Il motivo è semplice: Donald Trump, tra pochi giorni ufficialmente in carica come nuovo presidente degli Stati Uniti, ha dichiarato che non può escludere l’uso della forza militare per riconquistare il canale di Panama e annettere la Groenlandia. Non è la prima volta che Trump si dichiara fortemente interessato al Paese, anche nel 2019 aveva dichiarato che la Groenlandia appartenesse agli Stati Uniti, in particolar modo per motivi di sicurezza nazionale.

Su carta, la Groenlandia potrebbe apparire appetibile per via delle risorse minerarie che possiede, ma la lunga storia di influenza statunitense ci racconta altro. Se può offrire qualcosa agli Stati Uniti, questa è una maggiore sicurezza, oltre a un accesso al Mar Glaciale Artico.

Facciamo un passo indietro e cerchiamo di capire cos’ha la Groenlandia che le potenze mondiali vogliono tanto.

L’influenza degli Stati Uniti: una storia lunga 150 anni

La Groenlandia, a un primo sguardo, è un’enorme landa fredda e quasi disabitata. Il territorio si estende per oltre 2 milioni di chilometri quadrati, configurandola come l’isola più grande al mondo. A oggi, dopo il dominio danese, è autonoma in molti campi, tranne in quello militare e in fatto di politica estera.

In apparenza, la Groenlandia appare come una terra ricca di risorse da accaparrarsi, ma c’è tanto di più da raccontare. Secondo gli esperti della zona Artica, la Groenlandia è uno di quei punti caldi, insieme al Medio Oriente e a Taiwan, che fungono da “termometro di tensione globale”.

Gli Stati Uniti, in particolare, sono sempre stati interessati al territorio, già verso la metà del 1800, nello stesso periodo in cui presero l’Alaska. Poi ancora durante la Seconda Guerra Mondiale, quando la invasero per limitare l’avanzata della Germania nazista ed evitare così che occupassero postazioni pericolose nel nord America geografico. Una situazione che si è ripetuta anche durante la Guerra Fredda e nei più recenti fatti di tensione con la Russia e la Cina. Non è un caso, quindi, se gli USA rimettono la Groenlandia al centro quando aumenta la competizione militare con la Russia ed economica con la Cina.

Cos’ha la Groenlandia che le potenze vogliono?

Una terra ghiacciata, ma strategica, che le potenze mondiali si competono da tempo per vari motivi. Ci sono quelli militari e quelli economici. Il Paese contiene ferro e terre rare, circa il 10% delle riserve mondiali, ma sono stati scoperti giacimenti di idrocarburi, miniere di rame, zinco, diamanti, oro, piombo, uranio sparsi per tutta la superficie insulare.

Per la Cina, soprattutto, è una questione di risorse utili. La Cina ha il monopolio delle terre rare, ma circa il 10% delle riserve mondiali sono proprio in Groenlandia. Per mantenere il ruolo di dominio sulle riserve, la Cina ha tentato di entrare nel Paese attraverso iniziative economiche. I cinesi, infatti, hanno cercare di investire per l’estrazione, ma il giacimento è stato in seguito bloccato sotto forte pressione degli Stati Uniti.

Non sarebbe neanche il primo progetto cinese respinto, se si contano quelli di allargamento degli scali aeroportuali (da cui passano gli interessi militari statunitensi) bloccati sul nascere.

Si potrebbe pensare che dopo la caduta del governo socialdemocratico, che aveva permesso l’avvicinamento dei cinesi per l’estrazione negli importanti giacimenti di Kvanefjeld, il nuovo partito Inuit uscito vincitore si sia concentrato sull’interesse nella conservazione ambientale e culturale. Purtroppo non è così: anche se sono stati bloccati i progetti cinesi, quelli statunitensi proseguono senza ostacoli tra investimenti minerari e infrastrutturali, anche di natura militare come l’investimento nella rete 5G e negli aeroporti.

C’è molto interesse anche a livello politico, per esempio lo stesso figlio di Trump è volato a incontrare le autorità locali senza la presenza dei danesi, che in teoria controllano le politiche estere della Groenlandia.

L’indipendenza della Groenlandia è una questione delicata

Facile parlare di autodeterminazione dei popoli quando la Groenlandia fa ancora parte ufficialmente del regno di Danimarca, anche se la volontà è quella di essere indipendenti. Di recente, nel discorso di inizio anno del primo ministro Múte Egede, si è tornato a parlare di indipendenza e di farlo attraverso un referendum.

Terra di risorse, bastione degli Stati Uniti e porta per il Mar Glaciale Artico sono tutti descrittori che ostacolano tale obiettivo e questo perché, anche se la Groenlandia ottenesse l’indipendenza dalla Danimarca, il vuoto sarebbe immediatamente colmato da una delle altre potenze.

A vincere sarebbero facilmente gli Stati Uniti, non solo per la vicinanza geografica; è infatti improbabile che finisca in mani diverse. Lo stesso Donald Trump ha fatto capire chiaramente che cercherà di tenersi il territorio anche con l‘utilizzo della forza.

È vero che il Primo Ministro Egede ha ribadito che l’isola non è in vendita, ma non serve davvero passare il potere agli Stati Uniti per diventare uno stato satellite sul quale posizionare basi militari ed estrattori di risorse naturali.

La Groenlandia ha tutto il diritto di autodeterminarsi, soprattutto perché vuole aprirsi a rapporti con altri Paesi, ora preclusi perché costretta a commerciare soltanto con la Danimarca e a dipendere economicamente da questa con sussidi annuali. Ma i circa 60.000 abitanti hanno anche il diritto di staccarsi dalla storia che li lega al regno e alle politiche coloniali, come l’impianto forzato dei dispositivi contraccettivi nelle donne groenlandesi.

Il bastione nord-orientale degli Stati Uniti

Ma se è così importante per gli Stati Uniti, perché non l’hanno già annessa? In realtà, gli Stati Uniti ci hanno provato eccome, anche tentando l’acquisto per 100 milioni di dollari dalla Danimarca. Nei fatti, il territorio resta semi-autonomo in seguito all’accordo firmato nel 1949 che sancisce una sorta di proprietà fittizia da parte della Danimarca. Gli Stati Uniti continuano a possedere un controllo di tipo militare, con un ampio numero di basi, infiniti radar e piste di atterraggio.

Tra le basi più note possiamo elencare:

  • Camp Tuto, a 35 chilometri dalla base di Thule;
  • Camp Century, nell’estremo Nord-Ovest;
  • Camp Fistclench, nella medesima regione.

Ed è questo il vero motivo che spinge Trump a usare la sua ormai ben nota politica estera molto aggressiva, la stessa citata dal leader dell’opposizione danese Pierre Poilievre, che avrebbe portato Justin Trudeau ad annunciare le dimissioni come primo ministro.

Donald Trump vuole accelerare, da un punto di vista economico e far crescere il Paese mantenendo la promessa del suo ormai storico slogan “Make America Great Again”. Per farlo, deve disabilitare tutte quelle barriere ambientali e i politica estera costruite dalle amministrazioni precedenti. Il nuovo presidente è un isolazionista che farebbe di tutto pur di proteggere la sicurezza degli Stati Uniti e la sua economia. Il futuro degli Stati Uniti è quindi molto più militarizzato e parte della sicurezza passa anche attraverso la Groenlandia, terra strategica che permette di avvistare attacchi militari e missilistici.

In un mondo sempre meno pacifico, la conquista, anche con l’uso della forza, della Groenlandia non è un progetto così difficile da immaginare. Gli attori si stanno già muovendo.