Superata Quota 100 bisognerà trovare una soluzione in grado di accompagnare i lavoratori – precoci e non – alla pensione. Tra le proposte di riforma al vaglio del Governo, adesso si fa strada quella che riconosce una possibile uscita dal lavoro a 62 anni, una volta raggiunto il limite minimo di anni contributivi.
Pensioni, cosa prevede la riforma: i punti cardine
La nuova riforma pensionistica, che impedirebbe di tornare alla Riforma Fornero dopo Quota 100, è stata avanzata dai segretari generali di Cgil, Cisl e Uil Maurizio Landini, Luigi Sbarra e Pierpaolo Bombardieri al convegno “Cambiare le pensioni adesso”. Si tratta di un intervento ad ampio raggio che, di fatto, interverrebbe su più aspetti e che prevede:
- la possibilità di andare in pensione a 62 anni, su scelta del lavoratore, una volta raggiunti 41 anni di contributi;
- l’introduzione di una pensione di garanzia per giovani, lavoratori discontinui e/o con basse retribuzioni;
- maggiore tutela delle donne, tra le categorie più discriminate dell’inasprimento dei requisiti pensionistici degli ultimi anni;
- più attenzione per i lavori di cura, usuranti e gravosi;
- sostegno del reddito dei pensionati;
- rilancio della previdenza complementare.
Sono questi i punti cardine su cui i sindacati si ritroveranno a discutere insieme al ministro del Lavoro, Andrea Orlando, il quale si è detto pronto al confronto.
Pensione a 62 anni: come funziona e chi può
Sull’ipotesi di introdurre una nuova misura che consentirebbe di andare in pensione a 62 anni, al convegno è stato spiegato che questa rimarrebbe di fatto una scelta discrezionale. L’obiettivo, difatti, è quello di rendere più flessibile l’uscita dal lavoro, “permettendo alle lavoratrici e ai lavoratori di poter scegliere quando andare in pensione, senza penalizzazioni per chi ha contributi prima del 1996, a partire dai 62 anni di età o con 41 anni di contributi a prescindere dall’età”.
Per questo motivo, è stato spiegato, andrebbero “sensibilmente ridotti i vincoli che nel sistema contributivo condizionano il diritto alla pensione al raggiungimento di determinati importi minimi del trattamento, penalizzando in questo modo i redditi più bassi”. Da qui l’idea di “modificare l’attuale meccanismo automatico di adeguamento delle condizioni pensionistiche alla speranza di vita, doppiamente penalizzante perché agisce sia sui requisiti anagrafici e contributivi di accesso alla pensione sia sul calcolo dei coefficienti di trasformazione”.