Pensioni, stop all’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni

In pensione a 67 anni nel 2019 e poi salendo fino a 70 anni: sindacati e politici uniti per fermare un meccanismo "inaccettabile e irragionevole"

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Emanuela Galbusera

Giornalista di attualità economica

Giornalista pubblicista, ha maturato una solida esperienza nella produzione di news e approfondimenti relativi al mondo dell’economia e del lavoro e all’attualità, con un occhio vigile su innovazione e sostenibilità.

Pubblicato: 12 Gennaio 2018 11:30

No all’adeguamento dell’età di pensionamento alle aspettative di vita che porterà l’uscita dal lavoro a 67 anni (66 e 11 mesi per la precisione) già a partire dal 1° gennaio 2019. L’appello arriva dai presidenti delle commissioni lavoro di Camera e Senato, Cesare Damiano e Maurizio Sacconi, ed è rivolto a Governo e Parlamento.

L’aumento dell’età pensionabile

In base agli scenari demografici Istat a gennaio 2019, per effetto della Fornero, l’età per la pensione di vecchiaia salirebbe da 66 anni e 7 mesi a 67 anni. Poi si andrebbe a 67 anni e 3 mesi nel 2021, 68 anni e 1 mese nel 2031, 68 anni e 11 mesi nel 2041, 69 anni e 9 mesi nel 2051 portando un impatto “inconcepibile oltre che irragionevole”, dicono Damiano e Sacconi.

Per scongiurare l’aumento automatico dell’età pensionabile, occorre dunque lavorare a “un rinvio strutturale dell’adeguamento dell’età di pensione all’aspettativa di vita” con norme ad hoc da emanare tempestivamente, sia per evitare il gradino del 2019, che per distribuire “nel corso del tempo l’aumento dell’età previsto“. Una soluzione potrebbe essere quella di allungare l’adeguamento (ad esempio a cinque anni contro gli attuali tre; due dal 2021) o evitare lo scatto nel 2019.

La situazione in Europa

Ad ogni modo, basta che si fermi, rincara Sacconi, un meccanismo “inaccettabile e irragionevole” e che si riconducano le regole “ad una dimensione umana perchè una logica tecnocratica ci ha portato troppo oltre”.
In Europa, hanno fatto notare Sacconi e Damiano, non ci sono casi comparabili a quello italiano: in Austria l’età per la pensione è di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne; in Belgio e in Danimarca è 65 anni per tutti; nel Regno Unito 65 anni (ma a partire da novembre 2018); in Germania si arriverà a 67 anni solo nel 2029.

Il salto penalizza le donne più degli uomini

Secondo Damiano, è necessario “affrontare tempestivamente in termini unitari questo argomento molto caldo, che riguarda la vita dei cittadini”, anche perché “è estremamente contraddittorio” che si sia fatta una battaglia per la flessibilità con l’introduzione dell’Ape e insieme ci sia un innalzamento automatico dell’età della pensione: “È un andamento a zig zag inconcepibile”. In passato si è parlato di “scale, scalini e scaloni – ha detto Sacconi – ma qui c’è solo un salto, che penalizza le donne più degli uomini, dal momento che sono condannate alla pensione di vecchiaia”.

Senza contare che a peggiorare il quadro dei futuri pensionati, c’è anche il meccanismo legato ai coefficienti di trasformazione, i valori che concorrono al calcolo dell’assegno maturato con criteri contributivi, usati per “riequilibrare” spiega Sacconi, gli aumenti fuori misura, ma che paradossalmente, finiscono per penalizzare chi lavora più a lungo. Risultato, non solo si andrebbe in pensione sempre più tardi ma con assegni più bassi.