Incontro con Tim Burton a Torino: “Non ho bisogno dell’Intelligenza artificiale: sono io l’Intelligenza artificiale!”

Il regista pluripremiato ospite al Museo del Cinema all'interno della Mole Antonelliana per l'inaugurazione della mostra a lui dedicata

Foto di Miriam Carraretto

Miriam Carraretto

Giornalista politico-economica

Esperienza ventennale come caporedattrice e giornalista, sia carta che web. Specializzata in politica, economia, società, green e scenari internazionali.

Visionario, gotico, onirico, delicato, solitario, malinconico, fantastico. Struggente, emarginato, fiabesco, macabro, sensibile, grottesco, emozionante. Tantissimi gli aggettivi che colorano il cinema di uno dei più grandi registi viventi, che oggi sbarca in Italia, a Torino, nella magica cornice del Museo del Cinema, con una mostra indimenticabile. Stiamo parlando del genio di Tim Burton, che ha appena inaugurato all’interno della Mole Antonelliana una straordinaria esposizione che ripercorre la creatività del giovane e meno giovane Tim, cresciuto ai margini di Burbank, sonnolenta cittadina della California, dove l’immaginazione è stata sempre l’unico antidoto alla noia.

Un antidivo sul “violet carpet”

Classe ’58, Leone d’oro alla carriera nel 2007, Tim Burton fa il suo ingresso al Museo del Cinema (non c’è ad accompagnarlo la compagna Monica Bellucci) come un antidivo timido e curioso, con una risata piacevole e contagiosa che non ti aspetti, uno sguardo capace di stupirsi, ancora, oltre che di incantare. All’anteprima stampa si concede, si emoziona; all’inaugurazione della mostra calca il “violet carpet” allestito fuori dalla Mole, si ferma a firmare autografi e a fare selfie inseguito da centinaia di fan. “Non l’aveva mai fatto prima”, commentano dal suo staff.

Da ragazzino Tim Burton occupava il tempo guardando film di mostri, giocando al cimitero. “Quando ho iniziato a frequentare i musei, sono rimasto colpito da quanto la loro atmosfera fosse simile a quella dei camposanti. Sono entrambi ambienti silenziosi, introspettivi, eppure entusiasmanti. Eccitazione, mistero, scoperta, vita e morte… trovi tutto nello stesso posto” racconta.

Per questo, quando nel 2008 il MoMA di New York gli ha proposto una mostra itinerante, si è sentito “onorato, anche se un po’ a disagio”: “Ci ho messo 2 anni a trovare cose per questa retrospettiva“. Lui, che ha sempre disegnato ovunque – dai tovaglioli di carta nei bar a ciò che capita a tiro – non lo aveva però mai fatto con l’intenzione di mostrare ciò che faceva. “Ma non potevo rifiutare, e sono molto felice di non averlo fatto. Lasciarsi andare è stato difficile e meraviglioso al tempo stesso. Ho viaggiato e condiviso questa strana esperienza con la gente delle diverse località toccate dal tour. È stato assolutamente inebriante”.

"Il mondo di Tim Burton" al Museo del Cinema di Torino @AndreaGuermani
Fonte: Museo del Cinema
“Il mondo di Tim Burton” al Museo del Cinema di Torino @AndreaGuermani

La mostra “Il mondo di Tim Burton” al Museo del Cinema di Torino

Un tour che ora arriva anche in Italia, nella prima capitale del cinema, Torino appunto (fino al 7 aprile 2024), con un viaggio dolceamaro attraverso le creazioni più e meno celebri che hanno dato vita ai meravigliosi personaggi del mondo di Tim, e che in alcuni casi invece sono rimaste soltanto bozzetti di pellicole mai realizzate.

Una carrellata di disegni, dipinti, schizzi, Polaroid giganti, storyboard, costumi, maquette, pupazzi, sculture a grandezza naturale, ma anche annotazioni e documenti, che popolano l’immaginario di Burton. I disegni realizzati nei quaderni, sui block-notes degli alberghi o sui tovaglioli dei ristoranti nascono d’impulso dalla sua immaginazione irrequieta.

“Quando il Museo del Cinema mi ha contattato per la mostra ho capito che era lo spazio perfetto“. Il verticalismo antonelliano, il movimento elicoidale della Mole, la spirale (tanto cara a Tim, e raffigurata anche nel disegno scelto per il manifesto della mostra) che spinge il visitatore lungo la rampa in cui sono esposte le 550 opere del regista “pop surrealista”, hanno permesso un allestimento scenico unico e capace di creare suggestioni incredibili. “Un luogo non convenzionale, una location bellissima, entusiasmante perché mi sento come se entrassi in un parco dei divertimenti” dice.

Mostra Il mondo di Tim Burton
Fonte: Museo del Cinema
“Il mondo di Tim Burton” al Museo del Cinema di Torino @AndreaGuermani

Il legame con l’Italia

Il legame di Tim con l’Italia viene da lontano: “Ho sempre ammirato i registi italiani come Dario Argento, Mario Bava e Federico Fellini. Ero ossessionato dai film horror e di fantascienza degli anni Sessanta e Settanta e i loro erano tra i migliori: ‘La maschera del demonio’, ‘Toby Dammit’ e ‘Suspiria’ ad esempio”. Il suo cinema è diventato inconfondibile: il “Burtonesque” ha partorito i meravigliosi protagonisti di “Beetlejuice” (1988), “Batman” (1989), “Edward mani di forbice” (1990), “The Nightmare Before Christmas” (1993), “Ed Wood” (1994), “Big Fish” (2003), “La sposa cadavere” (2005), “Alice in Wonderland” (2010), “Dumbo” (2019) fino all’ultima “Wednesday”.

La mostra “Il mondo di Tim Burton”, ideata e co-curata da Jenny He in collaborazione con Tim Burton, è stata adattata dal direttore del Museo del Cinema Domenico De Gaetano. “Fondendo la magia del cinema di Tim Burton con la magia dell’architettura, abbiamo trasformato la Mole nel suo laboratorio creativo, la materializzazione delle sue fantasticherie d’artista, per trasportare il visitatore al centro del suo mondo stravagante, colorato e dark. Un allestimento mai fatto prima: di solito le mostre sono in stanze, nella Mole la mostra ha invaso tutto, si è fusa con la magia dell’architettura e con il racconto della storia del cinema”.

Un grande percorso immersivo, suddiviso in 10 sezioni tematiche che raccontano l’evoluzione del genio: le prime ispirazioni che arrivavano dalla tv, i fumetti, le favole della tradizione rivisitate, i primi bozzetti, fino alla consacrazione come maestro del cinema live-action e di animazione. Il focus è su ciò che sta prima dell’opera cinematografica.

Un’esposizione costata al Museo del Cinema 900mila euro: una cifra importante per un evento culturale italiano, che, spiega De Gaeatano, verrà sostenuta anche aumentando il prezzo del biglietto di ingresso al Museo di 3 euro, visto che non può esistere, in una location come questa, un percorso separato per le mostre temporanee.

Una cifra assolutamente da spendere per visitare la magia dell’allestimento, con la penombra che accompagna il visitatore e che segna le ambientazioni di Burton, “sconvolte” qua e là da esplosioni di colori che accendono la luce. Burton racconta il carnevalesco che c’è nella vita: lingue che si attorcigliano, bulbi oculari che escono dalle orbite, maschere, giullari e clown velenosi, strambi giochi di parole.

Mostra "Il mondo di Tim Burton" al Museo del Cinema di Torino
Fonte: Museo del Cinema
“Il mondo di Tim Burton” al Museo del Cinema di Torino @AndreaGuermani

I suoi meravigliosi reietti e il ruolo della fantasia

I suoi reietti sono personaggi che vivono ai margini della società: malinconici e a volte spietati, eterni outsider come lui. “Mi sento fortunato ad aver avuto praticamente subito successo, perché questo ti dà la possibilità di continuare. Ma, nonostante questo, ho mantenuto le sensazioni di quando ero ragazzo: quella del diverso non ti abbandona mai”.

Anche per questo il suo sguardo alla realtà passa sempre dalla fantasia: “Traggo più realtà dalla fantasia, soprattutto quando ci sono storie di folklore, di immaginario, ma tutto ha radici nella realtà: guardo la vera vita attraverso la fantasia” spiega. “La fantasia è importante nel cinema proprio perché realtà e fantasia sono due elementi che si compenetrano, anche se la cosa importante poi sono le emozioni umane”.

Uno dei suoi primi reietti, poi diventato il suo alter ego, è Vincent, protagonista di un lavoro d’esordio, il corto animato in stop-motion del 1982. Altri reietti prendono spazio nel libro illustrato di poesie “Morte malinconica del Bambino Ostrica e altre storie” del 1997, e in creazioni come “Baloon Boy” (2009), installazione per il MoMA di New York esposta anche a Torino.

"Il mondo di Tim Burton" al Museo del Cinema di Torino @AndreaGuermani
“Il mondo di Tim Burton” al Museo del Cinema di Torino @AndreaGuermani

Disegni, ma non solo

I disegni degli esordi ricordano fumettisti e illustratori classici come Edward Gorey, Charles Addams, Don Martin e Dr. Seuss. Queste opere rivelano le influenze cinematografiche: i film giapponesi di mostri, il cinema espressionista, gli horror degli Universal Studios, i maestri dell’animazione stop-motion George Méliès e Ray Harryhausen, e il maestro della suspense Vincent Price, cui Burton si ispirò proprio per il suo primo corto di animazione.

Tra il 1992 e il 1999 produce poi diverse serie di stampe di grandi dimensioni utilizzando una rara macchina fotografica istantanea Polaroid 20×24, “che purtroppo non esiste più” dice. Una serie di fotografie di pupazzi anche provenienti dal set di “Nightmare Before Christmas”; un’altra serie è stata realizzata nelle location desertiche di “Mars Attacks!” (1996). La serie “Blue Girl”, con immagini di parti del corpo smembrate, si ispira invece al tema del grottesco comico e presenta il motivo dello “stitching”, i celebri corpi cuciti di Burton.

Ma la passione è sempre per il disegno. “Ho iniziato a disegnare da bambino. Poi cresci e pensi di non saperlo più fare, invece io ho continuato, e a un certo punto ho deciso che non mi importava se per gli altri non ero capace. Lo facevo perché era come una terapia, per tirare fuori le mie idee, un modo per esplorare il mio subconscio. Ancora oggi disegno sempre” svela. E poi invita il publico a osare: “Non preoccupatevi. Se vi piace, fatelo!”.

"Il mondo di Tim Burton" al Museo del Cinema di Torino @AndreaGuermani
Fonte: Museo del Cinema
“Il mondo di Tim Burton” al Museo del Cinema di Torino @AndreaGuermani

Tim Burton e l’essere diversi

Rispondendo alle domande dei giornalisti, Burton ricorda i “10 anni che ci ho messo a girare ‘Nightmare Before Christmas'”, pensa al capolavoro di “Big Fish”, che “non avrei potuto fare se non fossero successe delle cose, come la morte poco prima di mio padre”.

Riflette sulle “tantissime idee che ho ancora per fare film, ma magari non sono adatte in un determinato tempo ma lo diventano dopo”, sulle cose che da ragazzino lo terrorizzavano, “come alzarmi e andare a scuola”. Lui, che guarda i suoi personaggi come se non li avesse creati, si commuove quando sullo schermo viene proiettata la scena di Johnny Depp/Edward mani di forbice che non riesce ad abbracciare Winona Rider/Kim Boggs.

Ammette di non leggere le recensioni dei suoi film e si imbarazza quando gli chiediamo se c’è qualche regista che considera come suo potenziale erede: “Non lo so. Il mio viaggio è stato molto complesso, adoro questo, ma ho seguito una via tortuosa, ho sempre pensato a me stesso e basta”. Scherza dicendo che, se qualcuno girasse un film su di lui, ad interpretarlo vorrebbe il suo cane.

Si dice contento di aver contribuito con i suoi personaggi al dibattito sulla diversità. “Io da bambino mi sentivo come Edward mani di forbice, ero io: ero diverso da quello che normalmente era accettato, ero solitario, mi sentivo un po’ l’ultimo della specie, come lo sono tutti i ragazzi che si sentono altro; quel personaggio è diventato un simbolo, una favola condita di sentimenti più moderni. La differenza è che allora non se ne parlava, oggi sì, anche se forse quello che vedo è che c’è un eccesso di politically correct: non so se si parli davvero di diversità, ma c’è sicuramente una ribellione. Io sono sempre stato politically incorrect, come tutta l’arte”. “Persino Batman, anche se non l’ho creato io, lo sento vicinissimo. In ogni film mi identifico con qualche personaggio, ed è questo che mi fa appassionare così tanto a ciò che faccio”.

La sua purezza artistica è evidente anche nel modo che ha di rappresentare la famiglia. “La maggior parte delle famiglie è completamente fottuta” sorride. Una volta si sarebbe detto strane, ora disfunzionali.”Tutte le famiglie strampalate vengono da me“, com’è stato con “La famiglia Addams”. “Mi sono letteralmente innamorato del personaggio di Wednesday, protagonista dell’omonima serie in 8 puntate, la seconda più vista di tutti i tempi in lingua inglese su Netflix (la prima è “Stranger Things”, stagione 4). “Quel personaggio mi ha parlato, ho capito che era stato scritto per me, dentro di me c’è ancora quella parte adolescente e disturbata”.

Jenna Ortega è stata meravigliosa, abbiamo fatto il provino durante la pandemia, via Zoom, sembrava una chat di appuntamenti, ma ho capito subito che sarebbe stata lei, ha bucato lo schermo. Non basta recitare la parte di una teenager imbronciata e triste, devi averla dentro. Jenna non ha interpretato Mercoledì, lei è Mercoledì”.

E a proposito della seconda stagione di “Mercoledì”, che tutti attendiamo con ansia, ci conferma che “l’abbiamo pianificata, ci sarà”, ma “ci siamo dovuti bloccare per gli scioperi a Hollywood“. Ci anticipa che “tutti i personaggi avranno più spazio, soprattutto Jenna Ortega/Mercoledì e Catherine Zeta-Jones/Morticia”.

"Il mondo di Tim Burton" al Museo del Cinema di Torino @AndreaGuermani
Fonte: Museo del Cinema
“Il mondo di Tim Burton” al Museo del Cinema di Torino @AndreaGuermani

In lavorazione “Beetlejuice 2”

In lavorazione c’è anche “Beetlejuice 2”, “ma anche qui dobbiamo risolvere prima la questione degli scioperi, ci siamo fermati”. “Facendolo 35 anni dopo il primo, non posso neanche chiamarlo proprio sequel. Da allora non l’avevo mai più visto, ma volevo rivisitare i personaggi, capire come si sono evoluti, esplorare che fine hanno fatto”.

E mentre è in preparazione anche una docu-serie in 4 parti su di lui diretta da Tara Wood, rivela che “odio guardare me stesso, per questo a casa mia copro tutti gli specchi. In questo documentario non ho nessuno coinvolgimento, che facciano loro…”.

"Il mondo di Tim Burton" al Museo del Cinema di Torino @AndreaGuermani
Fonte: Museo del Cinema
“Il mondo di Tim Burton” al Museo del Cinema di Torino @AndreaGuermani

Tim Burton e l’Intelligenza artificiale

Infine, affrontando il tema del digitale e dell’Intelligenza artificiale, sembra meno preoccupato di Martin Scorsese. “Lui ha ragione, lotta per il cinema, ma nonostante siano sparite tante cose, le persone hanno ancora interesse. L’industria del cinema è cambiata, prima del Covid si pensava che non ci sarebbero stati più film ma solo tv, invece le persone amano ancora il cinema e andare al cinema. La previsione che la tv avrebbe sostituito l’esperienza cinematografica non si è avverata, questo mi fa andare avanti”.

Si dice “felice di aver fatto tutto, di aver usato tutte le tecniche possibili“. In “Sleepy Hollow” “ho usato pochissimo il digitale, perché i tempi erano così: gli attori davvero facevano cose, stavano veramente a cavallo, usavamo fumo vero”.

“Ho utilizzato ogni tipo di tecnologia: computer, digitale, 3D ecc., ognuna ha cose positive. Il passaggio dalla pellicola al digitale non è tutto negativo: adoro la pellicola, ma si utilizzano tutti gli strumenti disponibili. Ci sono anche aspetti buoni del digitale, che comunque restituisce in parte le sensazioni della pellicola, dà comunque energia, rimangono alcune sensazioni. Anche se sicuramente preferisco avere set fisici, fare cose dal vivo, creare effetti speciali reali, utilizzare pupazzi, il trucco, tecniche più antiche, questo mi permette di indirizzare anche meglio gli attori e focalizzarmi su di loro. Tutto può essere utilizzato per il bene o per il male, idem l’Intelligenza artificiale”. Personalmente, conclude ridendo, non ho bisogno dell’Intelligenza artificiale: sono io l’Intelligenza artificiale!”.