Stipendi bassi, a rischio povertà i lavoratori con contratto a tempo determinato

In Europa il 14,7% dei lavoratori guadagna meno di due terzi del salario mediano. In Italia il tasso è più basso, ma la precarietà aumenta il rischio di povertà

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Mirko Ledda

Editor e fact checker

Scrive sul web da 15 anni, come ghost writer e debunker di fake news. Si occupa di pop economy, tecnologia e mondo digitale, alimentazione e salute.

Pubblicato: 3 Marzo 2025 07:00

Secondo gli ultimi dati pubblicati da Eurostat, nel 2022 il 14,7% dei lavoratori europei percepiva uno stipendio basso, ossia pari o inferiore ai due terzi del salario orario lordo mediano del proprio Paese. Il dato segna un miglioramento rispetto al 16,2% registrato nel 2018, ma il lavoro povero resta una realtà per milioni di persone.

Sorprende il dato italiano: il nostro Paese è infatti tra quelli dove si registrano percentuali più basse. I numeri, tuttavia, potrebbero essere falsati da alcuni fattori strutturali della Penisola. Emerge comunque che i dipendenti con contratto a tempo determinato sono più a rischio indigenza.

Chi guadagna di meno in Europa: l’identikit

Il nuovo studio statistico evidenzia l’identikit del lavoratore o, per meglio dire, della lavoratrice in condizioni di povertà. Emerge infatti una differenza significativa che riguarda il genere. Le percentuali sono in calo rispetto alle precedenti rilevazioni, ma lo scenario non è roseo. Ha uno stipendio basso:

  • il 17,1% delle donne europee;
  • il 12,6% degli uomini europei.

Sono i più giovani, un quarto di questa demografica, a percepire le paghe meno alte:

  • il 25,2% degli under 30;
  • il 12,1% dei lavoratori tra i 30 e i 49 anni;
  • il 13,4% degli over 50.

I salari bassi sono inoltre legati al livello di istruzione e arrivano ogni mese nelle tasche de:

  • il 27,5% di chi non un titolo di studio, la licenza elementare o la licenza media (Isced da 0 a 2);
  • il 17,5% di chi ha un diploma di scuola superiore o una formazione professionale post-diploma (Isced 3 e 4);
  • il 4,8% di chi ha un titolo universitario o un dottorato di ricerca (Isced da 5 a 8).

A pesare maggiormente, come già detto, è però il tipo di contratto, dato che ha uno stipendio basso:

  • il 27,2% dei lavoratori con un contratto a termine;
  • il 12,6% dei lavoratori con un contratto a tempo indeterminato.

Italia tra i Paesi con meno lavoratori a bassa retribuzione

Nel confronto europeo, l’Italia si colloca tra i Paesi con la minore incidenza di lavoratori a bassa retribuzione. Con un tasso dell’8,8%, è al di sotto della media Ue del 14,7%.

I Paesi con percentuali più elevate di lavoratori con stipendi bassi sono:

  1. Bulgaria (26,8%);
  2. Romania (23,9%);
  3. Lettonia (23,3%);
  4. Grecia (21,7%);
  5. Estonia (21,2%);
  6. Cipro (20%).

L’Italia si colloca tra i Paesi più virtuosi e con una minore incidenza di lavoro povero:

  1. Portogallo (1,8%);
  2. Svezia (4,1%);
  3. Finlandia (6,5%);
  4. Italia (8,8%);
  5. Slovenia (9,4%);
  6. Danimarca/Francia (9,7%).

Il dato italiano è falsato da problemi strutturali?

La bassa percentuale italiana è dovuta a fattori strutturali come la presenza dei contratti collettivi e una minore incidenza del part-time involontario. Sappiamo dall’Istat che lavoro precario e tempo determinato sono in aumento in Italia e calano le retribuzioni.

Bisogna inoltre considerare che il dato potrebbe essere falsato dall’alta presenza di lavoro autonomo e finte partite Iva, che in alcuni casi può compensare il fenomeno del lavoro povero ma può nascondere forme di precarietà non rilevate dalle statistiche.

Contratti a tempo determinato e rischio povertà

La tipologia di contratto è insomma uno dei principali indicatori del rischio di bassa retribuzione, dato che, come già detto, il 27,2% dei lavoratori europei con un contratto a tempo determinato ha uno stipendio basso.

In Italia, secondo i più recenti dati Istat, i lavoratori dipendenti sono 18,1 milioni e ben 3,2 milioni (il 17,8%) hanno un contratto a termine.

Il tempo determinato è particolarmente diffuso:

  • tra gli under 30;
  • nei settori a bassa qualificazione;
  • nel Sud Italia, dove il precariato è un problema particolarmente avvertito.

Chi lavora con un contratto a termine guadagna meno rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, sia in termini di stipendio mensile che orario.

Ciò si traduce in una maggiore esposizione al rischio di instabilità economica e difficoltà nel costruire un futuro lavorativo sicuro, in linea con il resto d’Europa.

La soluzione, con la volontà delle parti sociali e delle istituzioni, potrebbe essere ridurre il divario salariale tra precari e a tempo indeterminato e favorire una maggiore stabilità occupazionale, con norme stringenti sul mercato del lavoro.