Abuso dei permessi 104, senza prova certa niente licenziamento

Scopri perché è importante la sentenza 731/2025 del Tribunale di Bologna sui permessi 104: l'abuso parziale non è sufficiente per l'espulsione, servono prove rigorose e sistematiche

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

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Negli anni gli abusi dei permessi legge 104 sono stati frequentissimi. E tuttora la magistratura se ne occupa, cogliendo l’occasione per precisare le regole di funzionamento di benefici che non possono essere usati in modo libero e arbitrario. Recentemente è intervenuto il Tribunale di Bologna, con la sentenza 731/2025 che si ricollega al vasto filone giurisprudenziale sui permessi 104, per spiegare che il loro abuso parziale non giustifica il licenziamento per giusta causa.

In sostanza, per inchiodare il dipendente alle sue responsabilità occorre che la prova della violazione sia precisa, sistematica e schiacciante. Vediamo allora più da vicino che cosa ha chiarito il giudice emiliano, richiamando in breve i fatti di causa e indicando i punti chiave di una decisione che, al di là dello specifico caso concreto, ha una portata generale ed è di orientamento per tutti i dipendenti e datori di lavoro.

La vicenda giudiziaria e il ruolo delle attività di investigazione

Un custode era stato licenziato perché accusato di aver usato in modo illecito 5 giornate di permesso 104, riconosciute per assistere la madre affetta da Alzheimer. In particolare, sulla base di una relazione investigativa, l’azienda aveva appurato che in quelle giornate l’uomo si era dedicato ad attività personali (incontri con altre persone o uscite con il cane), violando così le regole in materia.

Il dipendente si era opposto agli addebiti, sostenendo di aver sempre rispettato il dovere di assistenza, anche attraverso attività indirette nell’interesse della madre.

Come è noto, i permessi 104 si prestano a comportamenti elusivi e contrari alla finalità per cui il legislatore li ha istituiti. Le aziende lo sanno bene e, quando sospettano che un dipendente stia abusando del beneficio, si servono di detective privati per scoprire la verità.

Osservazioni, appostamenti, pedinamenti – pur nel rispetto delle regole della privacy e della legge – documentazioni fotografiche o video delle attività svolte nelle ore “libere” e relazioni a supporto di eventuali procedimenti disciplinari o giudiziari, sono alcuni esempi pratici dell’utilità delle indagini investigative.

Il punto, però, è che, come emerso dai fatti di causa nella controversia in esame, la relazione dei detective sui comportamenti del dipendente aveva dimostrato un abuso solo parziale e non era sufficientemente dettagliata da incastrare il lavoratore presunto furbetto.

Non basta, osserva il giudice, la raccolta di qualche foto del dipendente lontano dalla casa del familiare per dimostrare la totale rottura del rapporto di fiducia con l’azienda.

Permessi Legge 104/1992
👥 Beneficiari Lavoratori dipendenti con disabilità grave o familiari che assistono persone con disabilità grave
📅 Durata 3 giorni di permesso retribuito al mese, frazionabili anche in ore
💶 Retribuzione Coperti dallo stipendio e contributi figurativi, a carico dell’Inps
👨‍👩‍👧‍👦 Gradi di parentela Genitori, figli, coniuge, parte dell’unione civile, convivente di fatto, fratelli/sorelle, parenti e affini fino al 2° grado (in casi particolari anche al 3°)
📄 Richiesta Domanda telematica all’Inps, con certificazione medica che attesti la disabilità grave
⚖️ Normativa Previsti dall’art. 33 della Legge 104/1992, aggiornamenti con Legge di Bilancio e decreti attuativi
🚫 Esclusioni Non spettano ai lavoratori autonomi, parasubordinati e collaboratori domestici

La decisione del tribunale boccia il licenziamento in tronco

Il giudice di primo grado aveva smontato la ricostruzione fatta dall’azienda tramite i detective. In particolare, gli elementi emersi non formavano una sorta di disegno complessivo di grave abuso. Erano frammentari, disorganici e privi di quella sistematicità tale da giustificare la sanzione espulsiva.

Infatti, come si può leggere nel testo della sentenza 731/2025 del tribunale di Bologna:

  • il datore è riuscito a provare l’assenza di attività assistenziale esclusivamente per 2 delle 5 giornate di permesso (ma il giudice ha comunque attenuato la portata della violazione, perché i permessi erano prossimi a un periodo di chiusura aziendale per ferie collettive);
  • in riferimento alle altre tre giornate, le prove sono state valutate imprecise e contraddittorie.

Addirittura in una di queste giornate di pedinamento i detective avevano ammesso di aver perso di vista il dipendente mentre guidava in mezzo alle altre macchine, vanificando la possibile prova che l’uomo non si fosse poi recato a casa della madre per accudirla.

E, in riferimento a un’altra di queste giornate, l’uomo dimostrò di aver svolto assistenza indiretta, essendo andato in un Caf per svolgere pratiche burocratiche nell’interesse della madre gravemente malata.

Non solo. Il giudice emiliano aveva anche chiarito che la riconosciuta convivenza del ricorrente presso la casa della madre poteva giustificare l’assenza di movimenti esterni osservabili dagli investigatori.

In sintesi mancava la sistematicità dell’abuso dei permessi 104. Non c’era alcun vero e proprio piano per ingannare l’azienda e, pertanto, se una sanzione andava inflitta, non poteva essere quella più grave del licenziamento in tronco.

Il tribunale aveva, quindi, dichiarato l’illegittimità del licenziamento e applicato la tutela indennitaria prevista dalla legge. Ecco perché, a titolo di risarcimento, il datore di lavoro aveva dovuto pagare un’indennità corrispondente a 9 mensilità dell’ultima retribuzione, oltre rivalutazione monetaria e interessi legali.

Che cosa cambia

La sentenza 731/2025 del Tribunale di Bologna è interessante perché, inserendosi nel consolidato orientamento giurisprudenziale, afferma che l’uso improprio dei permessi 104, pur giustificando una sanzione disciplinare, non sempre lede irreparabilmente il vincolo fiduciario alla base di ogni rapporto di lavoro.

Se la grave e sistematica violazione non è provata con estremo rigore e al di là di ogni ragionevole dubbio, inchiodando il dipendente alle sue colpe, non può giustificare un licenziamento per giusta causa. Se inflitto, esso sarebbe infatti illegittimo e, quindi, da annullare.

Perciò, se ci sono buchi investigativi, attività di assistenza indiretta, abusi limitati in confronto all’intero periodo di permesso e elementi attenuanti (come il citato periodo feriale), la conseguenza non può essere l’espulsione dal luogo di lavoro, ma una sanzione conservativa come ad es. la sospensione o la multa.

Si tratta di un principio di portata nazionale, che peraltro ribadisce anche che l’assistenza di cui ai permessi 104 (che non vanno concordati con l’azienda) può essere svolta con compiti diversi dall’accudimento diretto del disabile grave.

Comprare medicine, pagare bollette di luce e gas, fare acquisti al supermercato oppure svolgere le pratiche al Caf, sono tutte attività che rientrano nell’utilizzo legale dei permessi 104 e che non possono, quindi, giustificare un licenziamento.

Concludendo, la sentenza di Bologna ricorda che i permessi 104 non sono uno scudo per fare altro, ma nemmeno un terreno su cui il datore può agire con leggerezza.

La sentenza in oggetto non giustifica di certo l’abuso, ma impone ai datori un onere della prova rigoroso e totale. Altrimenti il licenziamento sarà annullabile e il dipendente potrà essere risarcito. Per aziende e lavoratori, la parola d’ordine resta una sola: trasparenza.