I rischi di incidente nelle operazioni di pulitura di macchinari sono ben noti a tutti gli addetti. Tuttavia, non sempre il datore di lavoro rispetta rigorosamente le prescrizioni di legge, andando incontro a responsabilità penale per lesioni gravi colposamente arrecate al suo dipendente.
Ne è un esempio la vicenda di cui si è occupata la Cassazione nella sentenza n. 28018 del 2025, che ricorda i doveri di sicurezza a tutti gli imprenditori che abbiano attrezzature, apparecchiature o dispositivi potenzialmente pericolosi per la salute. Vediamo in sintesi la vicenda concreta e a che cosa le aziende debbono fare molta attenzione, per evitare possibili conseguenze penali.
Indice
Il grave infortunio sul lavoro e la decisione dell’appello
La vicenda che ha portato alla decisione della Cassazione penale riguardava un incidente avvenuto durante l’attività di bonifica e recupero di polvere da sparo e bossoli esausti in prossimità di una macchina di caricamento cartucce.
Il dipendente incaricato subì ustioni gravi a capo, tronco e braccia quando nella parte inferiore del macchinario si ebbe una disconnessione con perdita di isolamento dei cavi di alimentazione. L’evento innescò la polvere da sparo e, subito dopo, un principio di incendio, le cui fiamme cagionarono le citate lesioni all’addetto.
Dal fatto nacque un processo penale e, in appello, il giudice confermò la sentenza con cui il tribunale di primo grado aveva riconosciuto il datore colpevole del reato di lesioni personali colpose gravi.
Alla luce della ricostruzione dei fatti compiutasi nel giudizio di merito, l’imputato, nella sua qualità di datore, era stato ritenuto penalmente responsabile per non aver applicato le norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
La violazione del Testo unico salute e sicurezza sul lavoro
In particolare, al datore era contestata la mancata applicazione dell’art. 85, comma 1, d. lgs. 81/2008 in quanto, come si legge nella sentenza della Suprema Corte che richiama l’iter processuale:
non provvedeva affinché la macchina di caricamento cartucce fosse regolarmente protetta dai pericoli determinati dall’innesco elettrico di atmosfere potenzialmente esplosive per la presenza o lo sviluppo di polveri combustibili infiammabili.
Il Testo unico su salute e sicurezza nei luoghi di lavoro indica infatti che l’azienda deve provvedere:
affinché gli edifici, gli impianti, le strutture, le attrezzature siano protetti dai pericoli determinati dall’innesco elettrico di atmosfere potenzialmente esplosive per la presenza o sviluppo di gas, vapori, nebbie infiammabili o polveri combustibili infiammabili, o in caso di fabbricazione, manipolazione o deposito di materiali esplosivi.
Il comportamento del dipendente doveva essere prevenuto
La corte d’appello specificava che il datore aveva violato l’obbligo di dare al dipendente attrezzature conformi agli standard di sicurezza previsti dalla legge, perché che le protezioni esistenti, tramite fotocellule, erano sollevate da terra di circa un metro:
il che consentiva al lavoratore di accedere alla superficie posta sotto il macchinario eludendo il sistema di sicurezza che, secondo le indagini dell’organo ispettivo, presentava profili di vetustà e inadeguatezza in quanto consentiva l’impiego di strumenti di lavoro, quali scope, per eludere il sistema di spegnimento automatico.
La condotta dell’addetto al recupero della polvere da sparo e dei bossoli era quindi ipotizzabile perché l’uomo, seppur avesse operato in maniera imprudente e con la macchina in funzione, non aveva usato metodi di lavoro del tutto incongrui o diversi rispetto al ciclo produttivo, ma si era avvalso di una attrezzatura di lavoro che era compatibile con l’incarico assegnato.
Le gravi ustioni subite furono il risultato di un sistema di protezione incompleto e, perciò, non in grado di intercettare e prevenire possibili gesti avventati del dipendente.
In sostanza il giudice territoriale concluse per la presenza del rapporto di collegamento tra l’insorgenza dell’infortunio e la mancata protezione delle componenti del macchinario, ribadendo la condanna penale del datore.
Collegamento tra inosservanza delle regole e incidente grave
I giudici di piazza Cavour valutarono con estrema attenzione il ragionamento logico-giuridico della magistratura dell’appello, confermando l’inidoneità delle protezioni della macchina a evitare incidenti anche gravi.
Queste ultime, infatti avrebbero dovuto impedire l’alimentazione elettrica in ipotesi di mancata osservanza della distanza di sicurezza, ma in realtà concorsero all’accensione della polvere accumulatasi sotto al macchinario che l’addetto era intento a rimuovere.
In sostanza, il giudice di secondo grado valutò correttamente tutti gli elementi dichiarativi, documentali e tecnici presentati in aula e giustamente concluse che il sistema di protezione era vecchio, incompleto e tale da non escludere del tutto i rischi di infortunio.
Ecco perché la Cassazione ha scritto che:
se il giudice distrettuale ha dato conto della ricorrenza di un rapporto di derivazione diretta tra l’evento e l’inosservanza della regola cautelare in capo al datore di lavoro, al contempo ha escluso, con corretti argomenti logico-giuridici, l’interruzione del rapporto di causalità in ragione della pur imprudente condotta della persona offesa.
Al contempo, la Suprema Corte negò che il superamento dei test di controllo effettuati della Commissione Esplosivi della locale Prefettura, che ne aveva verificato la funzionalità e la sicurezza, potesse escludere la responsabilità penale del datore, infatti confermata.
Che cosa cambia e cosa deve fare l’azienda per evitare rischi penali
Questa vicenda ci porta a considerare una solida giurisprudenza che inchioda le aziende alle proprie colpe in fatto di sicurezza.
La Suprema Corte ha infatti spiegato che:
- non è esclusa la responsabilità penale per lesioni colpose se il sistema di sicurezza apprestato dal datore presenta delle criticità dimostrabili in giudizio;
- non ha rilievo una eventuale imprudenza del dipendente (Cass. 10265/2017, Cass. 22813/2015);
- le regole di sicurezza mirano a proteggere l’addetto anche dagli infortuni derivanti da sua colpa, per cui il datore deve altresì impedire o prevenire prassi di lavoro scorrette o imprudenti e alla base di possibili rischi per la salute individuale (Cass. 32357/2010, Cass 10123/2020) e di possibili risarcimenti;
- è irrilevante che le visite ispettive non muovano rilievi in merito all’ordine alla sicurezza di una macchina o alla regolarità di impianti, perché la legge antinfortunistica pone direttamente a carico dell’imprenditore l’obbligo di attuare le misure di sicurezza previste e di accertarsi della loro esistenza e applicazione.
I casi si possibili incidenti simili sono certamente innumerevoli. Si pensi ad esempio all’addetto che, pulendo i rulli di una macchina confezionatrice senza protezioni adeguate, rischia di restare incastrato con le mani. Ebbene, il datore deve prevenire questa eventualità con sistemi di blocco automatico.
Oppure si pensi al lavoratore che, durante la manutenzione di un impianto di aspirazione polveri, si avvicina a cavi scoperti: l’azienda è tenuta a garantire l’isolamento elettrico e a vietare l’uso della macchina in tensione.
Concludendo, le aziende dovranno quindi controllare regolarmente che attrezzature (anche a noleggio) e impianti siano efficienti e aggiornati, verificando non solo l’avvenuta formazione del personale, ma che tutti i cavi e le fonti di alimentazione siano protetti per evitare inneschi o cortocircuiti. In mancanza, la responsabilità penale è consequenziale.