Tutti i rapporti di lavoro si basano sull’elemento della fiducia tra le parti. Il lavoratore deve trovarsi a suo agio in azienda e il datore deve poter contare sulla preparazione e abilità della persona assunta. Ecco perché, non di rado, le parti si accordano per lo svolgimento di un periodo di prova, ossia un arco di tempo in cui esse valutano la reciproca convenienza a proseguire insieme.
Utilizzato sia nei contratti a tempo indeterminato che a tempo determinato, come pure nell’apprendistato, nel caso della somministrazione d’opera o nell’ampia varietà dei lavori stagionali (camerieri, receptionist, cuochi, baristi, commessi ecc.), il periodo di prova genera vari dubbi in merito al suo funzionamento. Per esempio, è necessaria la forma scritta e un contratto firmato dalle parti, affinché il periodo di prova sia valido?
Lo scopriremo nel corso di questo articolo, facendo luce su alcuni aspetti chiave in materia. Ecco cosa sapere.
Indice
Il periodo di prova va formalizzato per iscritto in una specifica clausola contrattuale
Come accennato, il periodo di prova mira a verificare se ci sono le condizioni per un rapporto di lavoro proficuo e duraturo. In sintesi, esso è una clausola che può essere apposta al contratto di lavoro per subordinare l’assunzione definitiva all’esito positivo del test sul campo.
Ecco perché non esiste periodo di prova senza un contratto firmato da ambo le parti. Ragioni di chiarezza, trasparenza e tutela dei diritti delle parti sono alla base di quanto previsto dall’art. 2096 del Codice Civile – dal titolo ‘Assunzione in prova’ – secondo cui:
L’assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto. L’imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l’esperimento che forma oggetto del patto di prova.
In sostanza le parti debbono mettere nero su bianco il patto di prova, in modo da chiarire le mansioni e tutte le modalità con cui si svolgerà il periodo di test sul campo. D’altronde è ben intuibile che la formalizzazione scritta, con firma di ambo le parti, tiene lontani eventuali abusi e irregolarità da parte del datore di lavoro e tutela ambo le parti in ipotesi di controversie.
A maggior ragione, il periodo di prova va formalizzato per iscritto in quanto secondo il sopra citato articolo:
Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d’indennità.
Anzi, se insorgono contrasti su come è stato gestito il periodo di prova o se il lavoratore pensa di essere trattato ingiustamente o con discriminazione, la presenza di un documento scritto rappresenterà un appiglio concreto per risolvere queste problematiche. Ma ovviamente di riferimento saranno anche le disposizioni del Ccnl applicato.
Inoltre, non basta un semplice e informale accordo privato tra le parti, perché il periodo di prova va formalizzato con una clausola ad hoc in un contratto scritto al fine di assicurare chiarezza, conformità legale e protezione. Un mero accordo privato non darebbe le stesse garanzie e potrebbe condurre facilmente a incomprensioni e dispute legali.
Entro quando stabilire il patto di prova
La specifica sottoscrizione del patto di prova deve aversi:
- contestualmente alla stipula del contratto di assunzione;
- prima dell’esecuzione del rapporto di lavoro.
Si tratta di requisiti intesi rigidamente dalla giurisprudenza della Suprema Corte. Per esempio è stato considerato nullo – e come non apposto e privo di effetto – un patto di prova firmato alcune ore dopo l’inizio della prima giornata di lavoro (Cass. 24 gennaio 1994, n. 681). Analoghe conclusioni sono giunte anche quando il patto di prova è stato previsto all’interno delle condizioni di un bando di concorso (Cass. sez. lav., 14 febbraio 1987, n. 1670).
Conseguenze in caso di assenza della forma scritta
Lo abbiamo appena detto, la legge non ammette patti e periodi di prova non messi nero su bianco con clausola contrattuale. Non basta una stretta di mano, un accordo privato ed informale tra le parti e, tanto meno, la concorde volontà di non scrivere niente: come ribadito da costante giurisprudenza, in mancanza della forma scritta il patto di prova va considerato come nullo e l’assunzione del dipendente diviene immediatamente definitiva.
Non solo. Abbiamo detto sopra che il periodo di prova deve essere formalizzato per iscritto al fine di chiarire le mansioni da svolgere durante il test sul campo. Ebbene, anche in mancanza del dettaglio delle mansioni, il patto di prova è da ritenersi nullo e anche a sostegno di ciò vi sono varie sentenze, tra cui – a titolo meramente esemplificativo – ricordiamo qui la n. 5811 del 1995 e la n. 13498 del 2003, emesse dalla Cassazione.
Sintetizzando, è quindi giusto affermare che, in materia di periodo di prova, la forma scritta è obbligatoria non soltanto ai fini della prova documentale – ad arginare divergenze tra le parti – ma anche ai fini della validità stessa del patto.
Lavoro senza contratto scritto, si può?
Sopra abbiamo chiarito che quando le parti concordano il periodo di prova, quest’ultimo deve risultare in forma scritta nel contratto, tramite una clausola e patto ad hoc. Ma in linea generale – qualora le parti non prevedano il periodo di prova e così come dispone l’art. 1325 del Codice Civile – un contratto di lavoro potrà avere qualsiasi forma, compresa quella tacita o comportamentale (principio della libertà di forma). In parole semplici, le parti potranno accordarsi a voce e in modo che emerga una chiara volontà di iniziare e proseguire il rapporto.
Non di rado infatti, al posto del tradizionale contratto, il datore di lavoro invia al lavoratore una lettera di assunzione sottoscritta dalla sola azienda, che comunque ha l’identico valore del contratto.
Concludendo, in assenza di periodo di prova un rapporto di lavoro può essere avviato senza forma scritta, senza che da ciò si possa dedurre, arbitrariamente, che si tratti di attività in nero (e su cui sono recentemente partiti controlli ad hoc). Tuttavia il datore dovrà comunque svolgere le pratiche relative all’assunzione presso i competenti enti, in modo da far ‘emergere’ il rapporto stesso agli occhi del Fisco e delle Entrate e non rischiare sanzioni potenzialmente molto pesanti.