Orario di lavoro part time, quando l’azienda deve pagare i danni al lavoratore: la sentenza

Con l'ordinanza n. 11333 la Cassazione dà ragione ad un dipendente part time che lamentava la mancanza della stabile collocazione della prestazione

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Il part time è un contratto di lavoro che può riservare alcuni vantaggi a chi se ne avvale. Da un lato all’azienda il dipendente assunto costerà di meno sul piano dello stipendio erogato e dei contributi previdenziali versati, mentre dall’altro il lavoratore a tempo parziale potrà avere spazio durante la giornata, utile a differenti attività come ad es. l’accudimento di un familiare disabile o la preparazione di esami universitari. Al contempo il part time permette di svolgere un secondo lavoro, potendo dunque incrementare il proprio reddito mensile grazie a due fonti di guadagno diverse.

Flessibile, versatile e adattabile ad un’ampia varietà di situazioni: il contratto part time deve però essere dettagliato e accurato proprio sull’aspetto che lo contraddistingue, vale a dire l’orario di lavoro. Potrà sembrare del tutto scontato e banale, ma così non è: recentemente è intervenuta la Corte di Cassazione con un’ordinanza, la n. 11333 che ha infatti condannato un’azienda al risarcimento danni nei confronti di un dipendente assunto con la formula del part time, proprio perché non erano state rispettate le regole di legge sull’orario di lavoro.

Vediamo più da vicino il perché di questo provvedimento e, dunque, quali sono i motivi per cui questo giudice ha dato ragione al lavoratore. Le conclusioni della Corte sono infatti applicabili alla generalità dei contratti di lavoro a tempo parziale. I dettagli.

Contratto part time, orario e regole generali nel d. lgs. n. 81 del 2015

Come spiega il sito web ufficiale del Ministero del Lavoro, il contratto part time:

  • non rappresenta una tipologia contrattuale a sé stante, ma una forma di occupazione ‘elastica’ con uno specifico regime dell’orario di lavoro, più basso rispetto a quello ordinario a tempo pieno (40 ore settimanali o quello comunque definito dal Ccnl di settore);
  • ha una disciplina ad hoc nel d. lgs. n. 81 del 2015 (artt. da 4 a 12), attuativo del noto Jobs Act di riforma del lavoro.

Per comprendere il contesto di riferimento in cui si inserisce l’ordinanza della Cassazione n. 11333, di cui tra poco diremo, è opportuno considerare in particolare l’art. 5 del citato decreto di riordino dei contratti di lavoro.

Il testo infatti – disciplinando forma e contenuto del contratto part time – include queste parole:

  1. Il contratto di lavoro a tempo parziale è stipulato in forma scritta ai fini della prova.
  2. Nel contratto di lavoro a tempo parziale è contenuta puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con riferimento al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.
  3. Quando l’organizzazione del lavoro è articolata in turni, l’indicazione di cui al comma 2 può avvenire anche mediante rinvio a turni programmati di lavoro articolati su fasce orarie prestabilite.

Inoltre la riduzione dell’orario, tipica del lavoro part time, può essere variabile (verticale, orizzontale o mista), e secondo quanto previsto dall’art. 6 del d. lgs. n. 81 del 2015, l’articolazione dell’orario può essere modificata con l’inserimento nel contratto delle clausole elastiche:

Nel rispetto di quanto previsto dai contratti collettivi, le parti del contratto di lavoro a tempo parziale possono pattuire, per iscritto, clausole elastiche relative alla variazione della collocazione temporale della prestazione lavorativa ovvero relative alla variazione in aumento della sua durata.

Inoltre nel part time è consentito lo svolgimento di prestazioni di lavoro straordinario, così come definito dall’art. 1  del decreto legislativo n. 66 del 2003.

Contratto part time, orario di lavoro predeterminato e diritti del lavoratore: la vicenda

Come abbiamo appena visto, per il legislatore l’informazione sull’orario di lavoro non può essere mancante – o parzialmente mancante – ma deve anzi essere fornita al lavoratore in maniera puntuale ed esaustiva. Non solo. Il lavoratore part time deve avere un orario predeterminato.

Invece spesso nei luoghi di lavoro – e soprattutto nei settori in cui serve organizzare il rapporto di lavoro su turni – la prassi è quella per cui il datore di lavoro rende nota la durata della prestazione di lavoro non al momento della firma del contratto, ma durante lo svolgimento del rapporto di lavoro. Anzi è cosa nota che in alcune aree – come ad es. la GDO o la ristorazione – gli orari di lavoro siano comunicati ai dipendenti part time non all’inizio dell’anno o con cadenza semestrale, ma soltanto qualche giorno prima dell’effettuazione del turno.

Il provvedimento in oggetto giunge al termine di un iter giudiziario assai articolato, che aveva visto protagonista un lavoratore assunto con contratto part time verticale. L’uomo aveva domandato in sede giudiziaria un risarcimento danni all’azienda datrice di lavoro per non aver quest’ultima dettagliato, nel testo del contratto di lavoro, la stabile collocazione della prestazione.

Proprio in ragione della specifica flessibilità di questo contratto, il dato sull’orario di lavoro va sempre dettagliato. Ma nel caso concreto portato all’attenzione della Corte, così non è stato. Il lavoratore in particolare lamentava l’assenza nel contratto di informazioni esaustive e tempestive, in merito ai turni praticati e in riferimento ai giorni, alle settimane, ai mesi e all’anno – con asserita violazione delle disposizioni di legge.

In sostanza, il dipendente si è rivolto al giudice per far accertare:

  • l’illegittima mancata indicazione della stabile collocazione della prestazione nel contratto part time verticale;
  • il consequenziale diritto al risarcimento danni.

La decisione della Cassazione

Il datore di lavoro ha fatto ricorso in Cassazione contro il provvedimento del giudice del secondo grado che, riformando la sentenza di tribunale, aveva riconosciuto le ragioni del lavoratore subordinato assunto con contratto part time. Il giudice della Corte d’Appello aveva in particolare stabilito un risarcimento danni in via equitativa, pari al 5% della retribuzione percepita nei periodi lavorati.

Con l’ordinanza n. 11333 della Cassazione, di fatto, è stata nuovamente accolta la linea del lavoratore. Confermato infatti il risarcimento danni al dipendente, se le ore di lavoro non sono state incluse e menzionate in modo chiaro e tempestivo nel contratto di lavoro.

Per la Corte infatti:

  • l’orario part time in turni comporta per legge la programmazione di questi ultimi per fasce prestabilite;
  • la legge vigente non permette di indicare soltanto successivamente, e in via periodica, i turni di lavoro.

Ecco perché, nel testo dell’ordinanza n. 11333, la Suprema Corte ribadisce che non vi è alcuna previsione di legge, di Ccnl o di contratto individuale che disponga un potere unilaterale dell’azienda di indicare i turni in via successiva – o in via annuale – al proprio lavoratore subordinato part time.

La tempestiva comunicazione dell’orario predeterminato è necessaria perché, se da un lato permette all’azienda di avvalersi di una prestazione di lavoro in forma ridotta – e sfruttarne i relativi vantaggi – dall’altro consente
al lavoratore subordinato di sapere con certezza, fin dalla firma del contratto, l’orario della prestazione dovuta, anche al fine di organizzare il tempo rimanente in altre eventuali occupazioni o impegni personali – garantendosi eventuali altri redditi. E ciò risponde pienamente agli obiettivi del legislatore e agli articoli 36 e 38 della Costituzione.

Il ruolo del magistrato nell’individuazione dell’orario di lavoro

A questo punto la domanda potrebbe sorgere spontanea: che succede se nel contratto di lavoro a tempo parziale non vi è la specifica indicazione dei turni di lavoro? Ebbene, in base all’art. 10, comma 2 del d.lgs. 81/2015, sarà il giudice a stabilire – di volta in volta – le modalità temporali di compimento della prestazione di lavoro part time, considerando elementi quali le necessità specifiche datoriali e del lavoratore, le eventuali responsabilità familiari del di quest’ultimo e la sua intenzione di integrare il reddito con lo svolgimento di altra o altre attività di lavoro.

Non a caso la Corte ha accolto, con rinvio, il ricorso incidentale del dipendente, il quale richiedeva l’intervento del magistrato per fissare le suddette modalità temporali, in assenza di disposizione specifica datoriale. Ecco spiegato il richiamo all’art. 10 comma 2 del citato d. lgs. n. 81 (che dispone altresì il diritto al risarcimento danni):

Qualora l’omissione riguardi la […] collocazione temporale dell’orario, il giudice determina le modalità temporali di svolgimento della prestazione lavorativa a tempo parziale.

Conclusioni

Il lavoratore part-time, anche con turni del programma aziendale, deve avere un orario di lavoro predeterminato. In sostanza alla data della firma del contratto, egli deve conoscere non soltanto i turni di lavoro, ma anche come questi sono articolati nel tempo. In altre parole per la Cassazione è contrario alle disposizioni di legge e ai dettami costituzionali, che il datore di lavoro comunichi l’orario di lavoro meramente ex post, con cadenza mensile o annuale.  In questo caso infatti si integrerebbe una violazione contrattuale.

Pertanto l’ordinanza n. 11333 sottolinea che nei contratti part-time organizzati in turni (part time verticale) va sempre esposto nitidamente e tempestivamente – e per ciascun turno – la durata della prestazione e la collocazione temporale dell’orario di lavoro rispetto al giorno, alla settimana, al mese e all’anno.

Al lavoratore la Cassazione ha riconosciuto il diritto al risarcimento danni.