Il lavoro domestico è talvolta indispensabile per le famiglie. Mancanza di tempo, supporto ai bambini e anziani, esigenza di svolgere urgenti faccende domestiche sono solo alcune delle ragioni che spingono ad assumere una badante, una colf o una baby sitter. I numeri indicati dall’istituto di previdenza dimostrano quanto oggi la categoria professionale sia ampia e popolata: infatti i lavoratori domestici contribuenti all’Inps alla fine dello scorso anno erano pari a circa 834mila (pur con un lieve calo rispetto all’anno anteriore).
Tuttavia il lavoro domestico ha anche un punto debole non facilmente superabile. Ci riferiamo al lavoro nero, detto anche sommerso o irregolare, che – per chi svolge attività all’interno di mura domestiche – è più facilmente attuabile e nascondibile agli occhi di istituzioni come l’Agenzia delle Entrate o l’Inps.
Come fare quindi a contrastare il fenomeno del lavoro irregolare in campo domestico? Quali strumenti utilizzare per vedersi riconosciuti i diritti di cui al Ccnl di categoria e il versamento dei contributi? Ecco cosa sapere a riguardo, le istruzioni per tutelarsi e i suggerimenti offerti da Assindatcolf per mettere un freno al problema.
Indice
Lavoro domestico in nero, le richieste del sindacato per combattere il fenomeno
Nel nostro paese il numero complessivo dei lavoratori domestici è di 1,86 milioni, ma quelli regolari sono poco meno di 900 mila. Così indica il quinto rapporto annuale sul lavoro domestico redatto dall’Osservatorio Domina. In termini pratici ciò significa che ben il 51,8% dei rapporti di lavoro di colf e badanti sono in nero.
Non solo. Assindatcolf, sindacato dei datori di lavoro domestico, sottolinea che i dati sul settore domestico presentati da Inps sono preoccupanti perché la persistente diminuzione del lavoro regolare, che lo scorso anno è sceso di altre 68mila unità, sarebbe in realtà la spia dell’incremento del ‘nero’.
Secondo il presidente del sindacato, per reagire al dilagante fenomeno del lavoro sommerso in ambito domestico e dell’assistenza domestica – in un paese che tende sempre più all’invecchiamento – sono necessarie misure universali e strutturali, da attuare mettendole in cima all’agenda politica.
Non bastano, insomma, misure legate all’Isee o provvedimenti ‘settoriali’, rivolti ad una platea over 80 con Isee sotto una certa soglia. Per Assindatcolf è troppo poco per aiutare davvero tutte le famiglie che, per le più disparate ragioni, hanno bisogno di un lavoratore domestico.
L’esempio emblematico delle detrazioni per gli addetti all’assistenza di persone non autosufficienti
Sul sito web dell’Inps si trova indicato che, per gli addetti all’assistenza di persone non autosufficienti, il datore di lavoro può detrarre dall’imposta lorda il 19% delle spese effettuate, per un ammontare totale di 2.100 euro all’anno. Ma attenzione perché si può usufruire della detrazione soltanto se il reddito complessivo è al di sotto dei 40mila euro. Conseguentemente, secondo il sindacato, il rischio concreto è che – in mancanza di agevolazioni più ampie – le famiglie sopra soglia ricorrano più facilmente al lavoro nero.
Anzi, qualora non vengano adottate nuove ed efficaci misure, il rischio palesato da Assindatcolf è quello di avere ulteriori nuovi casi di evasione fiscale, per apparire ‘poveri’ – e quindi beneficiari di agevolazioni, strumenti fiscali e misure ad hoc – con incremento del lavoro irregolare, a tutto danno di colf, badanti e baby sitter.
Perché colf, badanti e baby sitter talvolta preferiscono il nero
Il lavoro domestico irregolare è facilitato dal fatto che la possibilità di controlli e verifiche è piuttosto remota, considerato che gli ispettori del lavoro o dell’Inps – per le norme sulla privacy – non possono entrare nelle abitazioni, come invece è possibile negli uffici.
In sostanza, se non c’è segnalazione o denuncia da parte dello stesso lavoratore o lavoratrice, o se non ci sono contestazioni (ad es. per mancato pagamento del compenso), il rapporto in nero teoricamente potrebbe proseguire senza brutte sorprese.
Anzi non sono poche le colf, badanti e baby sitter che, addirittura, preferiscono lavorare in nero, senza essere contrattualizzate secondo quanto previsto dal Ccnl colf e badanti, e quindi senza essere protette da tutele come le ferie retribuite, i permessi o la malattia.
Accettano la condizione per la paura di perdere il lavoro o il timore – infondato – di subire controlli e sanzioni dopo un periodo di ‘sommerso’, o ancora ci sono lavoratori domestici che non vogliono un impiego regolarmente contrattualizzato, perché altrimenti vedrebbero ridimensionato o annullato l’assegno di mantenimento post separazione. E ovviamente non manca chi preferisce il lavoro irregolare per pagare meno tasse, oppure per avere un guadagno ‘cash’ più alto da subito.
Cosa fare contro il lavoro nero: i 2 rimedi
Tramite il lavoro nero, il datore di lavoro domestico spera di risparmiare, non pagando i contributi e una serie di benefici come tredicesima, ferie, malattia e TFR. Inoltre, potrebbe non applicare le regole sul salario mensile previsto dal Ccnl di categoria. Al contempo c’è chi ricorre al lavoro nero per non perdere il diritto ad alcuni benefici fiscali.
In questi casi, la soluzione per il lavoratore o la lavoratrice è una sola: segnalare il problema all’Ispettorato del lavoro, per un possibile composizione bonaria della questione, oppure rivolgersi alla magistratura. In particolare entro cinque anni dalla cessazione del lavoro, la collaboratrice domestica può domandare e ottenere:
- gli stipendi del cui versamento non c’è traccia o prova (è il caso del pagamento in contanti per coprire il ‘nero’);
- le differenze retributive rispetto a quanto disposto nel Ccnl di categoria;
- le ferie non retribuite;
- i contributi previdenziali non versati;
- il TFR.
Da notare altresì che l’Ispettorato del lavoro, in ipotesi di insuccesso, potrà infliggere pesanti sanzioni amministrative al datore di lavoro domestico. Alternativamente, l’interessato o l’interessata potrà comunque giocarsi la carta del giudizio in tribunale contro il datore, servendosi del supporto di un legale di fiducia.
Concludendo, al fine di recuperare tutte le somme previste per legge, il collaboratore o la collaboratrice è obbligata a dimostrare di aver lavorato in nero, solitamente tramite dichiarazioni testimoniali di un qualche familiare che afferma di aver portato la persona sul luogo di lavoro e di averla riaccompagnata a casa, alla fine dell’orario di impiego.