Assegno di mantenimento anche per i figli adulti: la svolta della Cassazione

Il contributo assistenziale spetta ai figli adulti non indipendenti economicamente, ma sempre che ricorrano alcune condizioni ben precise. L'ordinanza n. 30170 della Cassazione

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

Pubblicato: 30 Novembre 2024 10:00

In linea generale, l’assegno di mantenimento è un importo forfettizzato, versato mensilmente dal genitore non affidatario che adempie all’obbligo di mantenere la prole, coprendo così le spese ordinarie come ad es. gli acquisti per la scuola, i vestiti ecc. Come è noto, questo dovere permane infatti non soltanto durante il matrimonio, ma anche nell’ipotesi della separazione e del successivo divorzio.

Sul tema non sorprende che ci sia una amplissima giurisprudenza, ossia una mole di sentenze e ordinanze dei giudici che – nel corso del tempo – hanno affrontato una varietà di questioni legate alla rottura del legame matrimoniale e agli obblighi di mantenimento dei figli.

Recentemente è intervenuto un nuovo provvedimento che contribuisce a dissipare alcuni dubbi in merito alla permanenza del diritto al mantenimento a favore del figlio maggiorenne: in caso di trasferimento di quest’ultimo per motivi di studio o lavoro – e quindi di spostamento dalla casa in cui vive la madre convivente – spetta ancora l’assegno oppure no? La risposta fornita dalla Cassazione è interessante per una serie di motivi e, perciò, vedremo di seguito l’ordinanza n. 30179 della Suprema Corte e il caso concreto che ne è alla base.

La vicenda in breve

Il contributo al mantenimento a favore dei figli è tipicamente fissato in tribunale – durante il procedimento di separazione dei genitori sposati – ma il versamento della somma non è previsto a tempo indeterminato, essendo invece vincolato ad alcune condizioni. Per legge, infatti, il mantenimento dei figli è obbligatorio fino a quando questi ultimi non conseguano l’autosufficienza economica. La norma di riferimento è l’art. 337 septies del Codice Civile, secondo cui il giudice può disporre – in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente – il pagamento di un assegno periodico.

Nel caso concreto che qui interessa, un genitore aveva chiesto in tribunale la revoca dell’assegno di mantenimento per le figlie maggiorenni, che si erano spostate a Milano per studiare e lavorare. Il padre infatti affermava che, vivendo le figlie “fuori sede”, avevano perso il diritto al mantenimento.

Nei fatti di causa era in particolare emerso che le ragazze avevano terminato di studiare all’università ed avevano continuato a stare nella città lombarda, per proseguire la formazione post-laurea e fare alcune esperienze di lavoro non a tempo indeterminato.

In primo grado, il tribunale respinse la richiesta dell’uomo di essere esonerato dal versare all’ex coniuge l’assegno – pari a 5mila euro e fissato nel corso del giudizio di divorzio – per il mantenimento delle figlie, ma con l’impugnazione in appello ci fu un ribaltamento della situazione e la decisione di stoppare il versamento della somma. Ne seguì il ricorso in Cassazione da parte della madre, finalizzato alla riattivazione del contributo mensile.

La decisione della Cassazione

Il percorso giudiziario si è concluso con la vittoria della ricorrente. Con l’ordinanza n. 30179 la Corte ha infatti confermato il diritto della madre a ricevere l’assegno di mantenimento per conto delle figlie e – contestualmente – l’obbligo del padre di versarlo. In sostanza questo giudice ha spiegato che:

  • la convivenza stabile o prevalente con il genitore affidatario non rappresenta un requisito fondamentale per avere l’assegno;
  • il contributo mensile continua a spettare anche a chi non vive più insieme al genitore, a patto che non ci sia l’autosufficienza o indipendenza economica (senza colpa) e che l’abitazione dell’affidatario – ex convivente – resti un punto di riferimento costante.

In altre parole, il figlio o la figlia maggiorenne – e fuori sede – continuerà ad aver diritto all’assegno di mantenimento, se non riuscirà ad avere redditi proporzionati all’entità delle spese quotidiane e se farà ritorno alla casa genitoriale in modo periodico – non dimorando più nell’immobile e non essendoci più la coabitazione abituale o prevalente.

Ritornando al caso concreto posto all’attenzione della Corte, le figlie – pur vivendo altrove – sono state confermate beneficiarie dell’assegno di mantenimento, nonostante la lontananza dall’abitazione del genitore che, materialmente, provvede alle necessità del figlio o della figlia – anticipando le spese necessarie per vivere da un’altra parte.

Che cosa cambia

Questa decisione è importante perché contribuisce a fare chiarezza in mezzo ai vari casi pratici legati all’assegno di mantenimento – tra questi ad es. quello della moglie che lavora part time o quello della brevità del matrimonio o ancora quello delle unioni civili.

Per le figlie dell’uomo coinvolto nel processo, la Cassazione ha cambiato la situazione in modo favorevole, con una svolta che ha stabilito una volta per tutte che il contributo alle spese spetta anche alla prole maggiorenne, che va via dalla casa familiare per motivi di studio o lavoro. Sempre a patto che vi faccia ritorno periodicamente.

Ai fini dell’attribuzione della somma, non ha importanza infatti la quantità di tempo trascorso nell’abitazione materna, bensì il fatto che la madre continui a rappresentare la figura di riferimento per le figlie, garantendo il loro sostentamento quotidiano e soddisfacendo materialmente le loro necessità. Ecco perché la Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione dell’appello.

Il figlio maggiorenne ha perciò diritto a beneficiare dell’assegno di mantenimento, anche se per molto tempo si allontana dalla casa genitoriale, perché questo non significa necessariamente essere autosufficienti e avere un’indipendenza economica. Sarà perciò il giudice – di volta in volta – a valutare le circostanze concrete, stabilendo la conferma del diritto o la revoca.

Concludendo, importanti precedenti di legittimità (Cass. 5088/2018 e Cass. 12952/2016) ribadiscono che la valutazione, in merito alla sussistenza del diritto della prole al contributo assistenziale, dovrà compiersi considerando una serie di elementi come l’età, la precisa condizione economica, l’impegno nella ricerca dell’occupazione, il conseguimento effettivo di un livello di competenza professionale e tecnica e la complessiva condotta tenuta, a partire dal compimento dei 18 anni.