Stop all’assegno divorzile con un’offerta di lavoro rifiutata, c’è la conferma

La Cassazione stabilisce che chi rifiuta un contratto stabile perde l’assegno divorzile. Ecco i criteri e le condizioni secondo la legge

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

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Ci sono situazioni ben precise in cui chi ha divorziato può perdere l’assegno previsto dalla legge e disposto dal giudice a carico dell’ex coniuge. Una di queste non va affatto sottovalutata ed è stata recentemente al centro di una disputa giudiziaria finita all’attenzione della Cassazione, la quale ha confermato lo stop al contributo periodico per chi rifiuta un’offerta di lavoro.

Vediamo dunque cosa ha stabilito la decisione della Suprema Corte, la sentenza n. 25523/2025, che ha una chiara portata generale. Spiega infatti il perché della perdita del diritto e l’effettiva funzione dell’assegno divorzile.

La perdita del diritto all’assegno stabilita in tribunale

La lite trae origine da una pronuncia di divorzio risalente a un paio di decenni fa, con la quale il giudice incaricato aveva stabilito un ingente importo annuo dell’assegno in favore dell’ex moglie, in concomitanza con la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Alcuni anni dopo, l’ex marito aveva chiesto la revisione delle condizioni del divorzio mediante apposito procedimento giudiziario, fondando la richiesta su due elementi principali:

  • la presunta convivenza stabile della donna con un nuovo compagno;
  • il rifiuto dell’ex moglie a un’offerta di lavoro, formulatale da una società per azioni collegata allo stesso ex coniuge.

Dopo un primo grado favorevole a quest’ultimo, con la revoca dell’assegno, la decisione del giudice d’appello aveva confermato la perdita del diritto alla somma, ritenendo congrua la proposta lavorativa.

Al contempo aveva però respinto la domanda di restituzione delle somme che l’ex marito aveva versato nel corso del processo. Ne conseguì il ricorso in Cassazione dell’ex moglie e quello parallelo dell’uomo, che chiedeva la restituzione di quanto già corrisposto.

Come accertato nel corso di causa, la menzionata offerta di lavoro riguardava un contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato nel ruolo di impiegata amministrativa-commerciale, con retribuzione pari all’assegno e con l’aggiunta di una polizza previdenziale.

Confermata la revoca: i requisiti dell’assegno divorzile

I giudici di piazza Cavour hanno concluso la disputa in modo molto chiaro e preciso, offrendo indicazioni valide per tutti. Condividendo il ragionamento logico-giuridico che ha portato la magistratura dell’appello a pronunciarsi contro la donna, la Cassazione ha infatti spiegato che:

  • il no opposto a un’offerta di lavoro serio e stabile e che garantirebbe un reddito comparabile all’importo dell’assegno divorzile fa decadere il diritto a incassarlo;
  • questo comportamento esclude il presupposto dell’assegno, ossia l’inadeguatezza dei mezzi di sostentamento dell’ex coniuge che riceve la somma periodica, di cui all’art. 5, comma 6, della legge sul divorzio (legge 898/1970).

Sulla scorta della costante giurisprudenza (Cass. 18287/2018; Cass. 21234/2019; Cass. 13420/2023), la Corte inoltre coglie l’occasione per ricordare che l’altro presupposto dell’assegno è l’impossibilità di procurarsi i mezzi per ragioni oggettive:

e si deve tener conto, utilizzando i criteri di cui all’art. 5, comma 6, della legge n. 898 del 1970, sia della impossibilità di vivere autonomamente e dignitosamente da parte del congiunge richiedente, sia della necessità di compensarlo per il particolare contributo, che dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell’altro coniuge durante la vita matrimoniale.

Non bisogna dimenticare, infatti, che l’assegno di divorzio è mirato anche a riequilibrare eventuali sacrifici fatti durante il matrimonio. Si pensi al caso tipico del coniuge che ha rinunciato a lavorare per occuparsi della famiglia, consentendo all’altro di progredire nella carriera.

Assegno divorzile
📜 Riferimenti normativi Articolo 5 della Legge n. 898/1970 (legge sul divorzio)
Cassazione Sezioni Unite n. 18287/2018 e successive pronunce (es. Cass. n. 32198/2023)
👩‍⚖️ Cos’è Contributo economico periodico riconosciuto a uno degli ex coniugi dopo lo scioglimento del matrimonio
Deve garantire equilibrio economico e riconoscere il contributo dato alla vita familiare
⚖️ Finalità Funzione assistenziale (garantire mezzi adeguati all’ex coniuge)
Funzione compensativo-perequativa (riconoscere sacrifici o rinunce in favore della famiglia o del coniuge)
📅 Durata Generalmente a tempo indeterminato, ma può essere modificato o cessare se cambiano le condizioni economiche
(nuovo matrimonio, convivenza stabile o miglioramento economico del beneficiario)
💶 Modalità di pagamento Somma periodica (mensile) oppure somma una tantum (accordo o decisione del giudice)
L’importo è rivalutato annualmente secondo gli indici Istat
🧾 Requisiti principali Squilibrio economico tra gli ex coniugi
Durata significativa del matrimonio
Contributo del richiedente alla formazione del patrimonio familiare o dell’altro coniuge
Impossibilità oggettiva di procurarsi redditi adeguati
💔 Quando si perde il diritto In caso di nuove nozze o unione civile
In caso di convivenza stabile e continuativa con un altro partner
Se l’ex coniuge migliora notevolmente la propria condizione economica
🏠 Legame con la casa coniugale L’assegnazione della casa familiare è indipendente dall’assegno divorzile
📉 Esenzione fiscale L’assegno divorzile periodico è soggetto a Irpef per chi lo riceve e deducibile per chi lo versa
L’assegno una tantum non è né deducibile né tassabile

L’assegno divorzile non giustifica l’inattività

Ben si comprende allora perché nella sentenza si trova scritto che l’assegno di divorzio non è una rendita garantita a tempo indeterminato, insensibile ai cambiamenti che possono intervenire nella vita degli ex coniugi. Allo stesso modo, non autorizza chi lo percepisce a restare inattivo, contando passivamente e per sempre sull’obbligo economico dell’ex partner.

Il principio di auto-responsabilità, che deve comunque essere bilanciato con quello di solidarietà post-matrimoniale, impone infatti che il beneficiario dell’assegno si impegni a raggiungere una propria indipendenza economica.

L’ex moglie avrebbe dovuto allora accettare una proposta di lavoro seria e con uno stipendio dignitoso, anche se inferiore all’importo dell’assegno divorzile o a quanto l’ex coniuge avrebbe potuto versarle.

Questo perché, ha spiegato la Corte, una volta sciolto il matrimonio, non esiste alcun diritto a mantenere lo stesso tenore di vita che si aveva durante l’unione coniugale.

Sulla richiesta dell’uomo di avere indietro le somme già corrisposte, la Cassazione ha ricordato che la revoca del contributo economico produce i cosiddetti effetti ex nunc. Perciò quanto è stato pagato fino alla decisione resta dovuto, e nulla va restituito.

Che cosa cambia con la sentenza della Cassazione

La sentenza n. 25523/2025 della Cassazione è molto importante per tutti coloro che hanno rotto l’unione matrimoniale e percepiscono l’assegno divorzile.

Quest’ultimo, infatti, non ha natura di rendita vitalizia nel senso stretto del termine, ossia non è automatico né a vita. In pratica, non è garantito a vita e non spetta sempre e comunque, ma solo se ricorrono i presupposti fissati dalla legge e dalla giurisprudenza.

Può dunque essere modificato o revocato dal giudice, se cambiano le condizioni economiche delle parti, ad esempio se chi lo riceve trova un lavoro stabile o instaura una nuova convivenza.

La funzione della somma è meramente assistenziale e di ponte o sostegno temporaneo verso una rinnovata autonomia economica. Perciò, se c’è un’opportunità lavorativa congrua, concreta e rispettosa della legge, anche se presentata dall’ex marito o moglie, opporsi senza alcun valido motivo fa perdere il diritto al contributo.

Rifiutare un contratto a tempo indeterminato significa rifiutare un nuovo reddito e dimostrare di non voler perseguire quella stessa autonomia economica che l’assegno mira a favorire.

Non solo. La Cassazione ha anche specificato che la valutazione sulla congruità dell’offerta non è suo compito ma del giudice di merito (primo o secondo grado). Egli potrà valutare tutti i fattori utili, compresa stabilità e serietà della proposta.

Nel giudizio non ha peso il fatto che l’offerta arrivi dall’ex, perché anzi quest’ultimo aveva tutto l’interesse a “rimpiazzare” l’assegno divorzile con una prestazione lavorativa – e ovviamente stipendiata – della beneficiaria.