Abuso del congedo parentale: quando rischi il posto

Con la decisione n. 24922, la Cassazione chiarisce che violare le regole del congedo parentale porta al licenziamento. Ecco cosa rischia il lavoratore e come evitare errori

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Claudio Garau

Editor esperto in materie giuridiche

Laureato in Giurisprudenza, con esperienza legale, ora redattore web per giornali online. Ha una passione per la scrittura e la tecnologia, con un focus particolare sull'informazione giuridica.

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Tra i più importanti istituti a tutela dei diritti dei lavoratori genitori e al centro di recenti novità riguardanti il suo funzionamento, il congedo parentale – regolato dall’all’art. 32 d.lgs. n. 151/2001 – è oggetto di una sentenza della Cassazione che avverte sui rischi che incorre chi abusa delle possibilità di astensione dall’ufficio, per prendersi cura dei figli piccoli.

Infatti, con la pronuncia n. 24922 dello scorso 9 settembre, i giudici di piazza Cavour spiegano che usare il congedo per scopi differenti da quelli per cui il legislatore l’ha previsto, non soltanto apre a una sanzione disciplinare dell’azienda che lo scopre, ma fa rischiare concretamente il licenziamento per giusta causa.

Vediamo insieme, in breve, i fatti che hanno portato a questa decisione della Corte e spieghiamo a che cosa il lavoratore padre deve fare molta attenzione per evitare brutte sorprese in azienda.

Il caso concreto, l’abuso e l’impugnazione del licenziamento

Tramite l’attività di un’agenzia investigativa, la società datrice di lavoro scoprì che un dipendente beneficiario del congedo parentale, lavorava in realtà presso l’attività commerciale della moglie. In più giornate coperte dal congedo, l’uomo fu infatti “beccato” a svolgere attività di vario tipo in uno stabilimento balneare, in assenza del figlio di tre anni. Come poi emerso in corso di causa, quest’ultimo veniva affidato alle cure sostitutive dei nonni o della baby-sitter.

Dalla contestazione dell’abuso delle regole del congedo, scaturì il licenziamento disciplinare a cui l’uomo si oppose in tribunale. Dopo un primo grado favorevole, in appello il giudice – tenuto conto di tutte le risultanze emerse e in particolare del materiale raccolto dagli investigatori – decise in maniera opposta e confermò la correttezza dell’espulsione. L’ex dipendente non si rassegnò all’esito e impugnò la decisione di secondo grado in Cassazione.

La Corte di Cassazione conferma l’espulsione del dipendente dall’azienda

La Suprema Corte non ha mutato l’esito del giudizio di merito, riconoscendo apertamente che l’assenza dal lavoro per la fruizione del congedo parentale deve sempre porsi in rapporto diretto e primario con il bisogno per il cui soddisfacimento questo diritto è previsto dalla legge, ovvero l’assistenza al figlio. In caso contrario si è sempre innanzi a un abuso e non ci sono eccezioni di sorta che possano giustificare il comportamento del padre.

Nell’ordinanza n. 24922, che in sostanza conferma la correttezza del ragionamento del giudice d’appello, la Cassazione sottolinea che le regole a sostegno della paternità nel lavoro nascono nella sola finalità di tutelare le esigenze affettive e dello sviluppo della personalità del bambino.

Conseguentemente, spiega la Corte, non sono mai ammesse deroghe o utilizzi non rispettosi della legge. Come nel caso in oggetto, anche una violazione “parziale” e protrattasi per poche ore o giorni – rispetto a tutto l’arco del periodo di congedo – è sufficiente a giustificare il licenziamento. Non è la quantità di giorni a pesare sulle responsabilità del dipendente, ma il fatto stesso di violare la finalità del beneficio di legge.

L’abuso del diritto potestativo

Se è vero che quello al congedo (istituto recentemente riformato) è un diritto potestativo e – quindi – il dipendente che decide di esercitarlo non ha bisogno del consenso del datore, è altrettanto vero, spiega la Corte, che la natura di questo diritto:

non esclude la verifica delle modalità del suo esercizio nel suo momento funzionale, per mezzo di accertamenti probatori consentiti dall’ordinamento, ai fini della qualificazione del comportamento del lavoratore negli ambiti suddetti (quello del rapporto negoziale e quello del rapporto assistenziale), posto che la titolarità di un diritto potestativo non determina la mera discrezionalità e arbitrio nell’esercizio di esso e non esclude la sindacabilità e il controllo degli atti (Cass. n. 16207/2008).

È così ammesso e giustificato il controllo tramite detective, da parte dell’azienda datrice. Ma non solo. Se il diritto al congedo va esercitato per la cura diretta del bambino:

lo svolgimento di qualunque altra attività che non si ponga in diretta relazione con detta cura, costituisce un abuso del diritto potestativo al congedo parentale.

In sintesi, la violazione delle regole in materia non svilisce soltanto lo spirito del congedo in sé, ma contrasta con il principio civilistico di lealtà e buona fede nei confronti del datore, che si vede ingiustamente privato della prestazione lavorativa del dipendente e costretto a modifiche organizzative. Al contempo, anche l’Inps è vittima dell’abuso perché si trova a versare l’indennità sostitutiva della retribuzione a chi tradisce la finalità del congedo.

Ecco perché la Suprema Corte non ha potuto che rigettare il ricorso proposto dal lavoratore, confermando la legittimità della massima sanzione disciplinare.

Che cosa cambia

Analogamente agli abusi in tema di permessi della legge 104, su cui peraltro la Cassazione è intervenuta più volte – ad es. Cass. 21529/2019 e Cass. 23891/2018 richiamate dalla decisione che qui interessa – è corretto il licenziamento del dipendente che, nel periodo di congedo parentale, non sta con la prole e si dedica – invece – ad attività lavorativa, di svago o comunque ad attività diverse dall’accudimento diretto.

Come indicato anche da una precedente sentenza che giunge alle stesse conclusioni, questo comportamento costituisce un chiaro abuso del diritto al congedo e danneggia sia datore che l’ente previdenziale. In casi come quello visto sopra, non è una scusa valida l’aiuto esterno di altre persone, familiari o baby-sitter, perché il periodo di congedo deve essere sfruttato dal diretto interessato e non “sostituito” da altre figure di supporto.

Da tempo la giurisprudenza ammette la possibilità di procedere al licenziamento disciplinare sulla base delle prove raccolte da investigatori privati, a patto che queste siano conseguite nel rispetto delle regole sulla privacy. Il lavoratore deve quindi fare molta attenzione a questa decisione giudiziaria, perché lo vincola al rispetto delle regole del congedo, per non rischiare un licenziamento che sarebbe comunque confermato in aula.