Tamponi positivi all’acqua del rubinetto: intervista a Franco Leoni, sul fenomeno dei “falsi positivi”

Franco Leoni, General Manager di Polonord Adeste SRL ci spiega il fenomeno dei "falsi positivi"

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Federica Petrucci

Editor esperta di economia e attualità

Laureata in Scienze Politiche presso l'Università di Palermo e Consulente del Lavoro abilitato.

Tamponi positivi all’acqua del rubinetto: l’ultima fake news che spopola sui social ha protagonista un video, fatto circolare soprattutto su TikTok e Facebook, volto a mettere in dubbio la validità dei test anti Covid (e del virus stesso in molti casi). Ma quanto c’è di vero? È mai possibile un risultato del genere?

In questo video, nello specifico, viene mostrato il risultato positivo di un tampone fatto scorrere sotto l’acqua del rubinetto, sostenendo spesso di come l’intero sistema sia un “imbroglio”, un “complotto”.

Dell’ultima bufala diventata “virale”, QuiFinanza ne ha parlato con Franco Leoni, General Manager di Polonord Adeste SRL, società che opera – tra le altre cose – nella produzione e distribuzione di dispositivi medici e dispositivi di protezione in Italia.

Tamponi rapidi positivi all’acqua del rubinetto: come è possibile?

“I test rapidi hanno una striscia di nitrocellulosa  dove sono fissati questi reagenti che, sostanzialmente, riescono a legarsi con gli antigeni mostrando nella zona t-test (ovvero il riquadro che riporta il risultato, ndr) se il test è positivo”, ci ha spiegato Leoni.

Ovvio, però, che se si immerge un tampone nell’acqua, non ci si aspetta che quest’ultimo dia come risultato positivo.

“Dalle verifiche che abbiamo fatto noi, effettivamente, abbiamo rilevato che ci sono alcuni prodotti nel mercato che, se a contatto con l’acqua del rubinetto, danno come risultato positivo. Non sono tra quelli che distribuiamo noi, però ci sono. Tuttavia, questo non invalida il sistema, perché nelle istruzioni di utilizzo sono segnalate le reazioni che sono escluse”.

Un esempio?

“Se, per esempio, le istruzioni riportano che non c’è reattività crociata con l’influenza di tipo B e facciamo il test ad una persona che non è infetta di Covid-19 ma di influenza di tipo B ed esce risultato positivo Covid-19 allora abbiamo un problema serio sul test. Mentre se mettiamo acqua o coca-cola o succo d’arancia nel test ed esce positivo probabilmente nel liquido inserito vi sono sostanze organiche o minerali che interagiscono col test, ma questo è un uso improprio”.

È probabile, quindi, che l’acqua contenta sostanze organiche o minerali che falsano il test.

Si può affermare che l’errore è dovuto a un uso non corretto del test?

“Certamente, il test ha delle istruzioni e queste devono essere eseguite con molta precisione. Questa è un po’ la difficoltà: se faccio un tampone da solo devo seguire le istruzioni. Che non dicono di metterlo sotto l’acqua del rubinetto, proprio per non falsare il risultato”.

Non a caso, qualche tempo fa avevamo parlato di una fake news simile, relativa ai test anti Covid risultati positivi dopo essere stati imbevuti di Coca Cola (nella vicenda era coinvolto anche un noto politico, qui l’approfondimento e la smentita).

L’obiettivo, in quel caso, era dimostrare l’inaffidabilità dei test. Abbiamo chiesto allora a Leoni se, in linea di massima, sia possibile affermare oggi che lo stesso errore si ripeta e ripresenti con l’acqua del rubinetto positiva al Covid.

“Sì, questo non va bene. I test che produciamo e distribuiamo noi non hanno questi problemi, però ripeto non c’entra. Sono sciocchezze: il prodotto va usato secondo quelle che sono le indicazioni d’uso e se viene usato in maniera impropria ovviamente non potrà dare risultati validi”.

Tamponi rapidi: perché rimangono comunque uno strumento valido nel contrasto della pandemia

I tamponi, anche se hanno dei limiti, svolgono un ruolo chiave nel contrasto della pandemia. Come lo stesso Leoni ci ha infatti spiegato: “Il tampone rapido è importante perché dà la possibilità alle persone di avere subito una informazione di positività. È chiaro che c’è il problema dei falsi negativi e positivi, però è limitato, perché tutti i positivi rilevati dai test rapidi – comunque – non sarebbero stati rilevati altrimenti”.

“Sappiamo benissimo che le farmacie e i centri tampone al momento sono oberati di lavoro, in alcuni casi ci vogliono fino a quattro-cinque giorni per poter fare un test. Quindi, avere una diagnosi precoce, anche se non con gli stessi livelli di precisione di un tampone molecolare, è comunque importante”.

Per essere più sicuri, una volta effettuato un test rapido anti Covid, cosa è consigliato fare? C’è qualche azione che riduce ancora di più i rischi e tutela maggiormente il probabile positivo e le persone che ha intorno?

Ovvio che, come Leoni ha ribadito, “se una persona fa un test rapido e risulta positivo deve isolarsi e seguire le istruzioni del Ministero della Salute”.

E in caso di negatività (ad un test rapido) se un soggetto lamenta comunque sintomi simili a quelli del Covid, è meglio ripetere il test?

“In caso di negatività e sintomi compatibili col Covid, come riportato nelle istruzioni d’uso di un buon tampone rapido (in autodiagnosi) è sempre indicato che bisogna consultare il medico. Se non è possibile, se non si riesce ad avere un’informazione aggiuntiva o non si può – per esempio – fare un molecolare immediatamente oppure avere un altro riscontro, bisogna comportarsi come positivi”.

Questo implica quindi l’isolamento, i giorni di quarantena (qui vi spieghiamo come, nel frattempo, è cambiata per vaccinati e non vaccinati) e la ripetizione del test una volta passati i sintomi.

I test rapidi sono in grado di rivelare anche le varianti, attuali e future?

Ultimamente si è parlato di una sotto-categoria della variante Omicron (qui tutto quello che sappiamo su Omicron 2), ma un test rapido in autodiagnosi sarebbe in grado di rivelarla?

A tal proposito Leoni è stato molto chiaro: “Noi facciamo vari tipi di analisi ai test che andiamo a distribuire. Facciamo anche analisi sulle varianti conosciute. Quando ne vengono rivelate di nuove, appena disponibile il ceppo, effettuiamo subito i primi test. Sulle future, chiaramente, non è possibile anticipare nulla. Però, quelle attuali e note, le cd. VOC (variants of concern), individuate dall’OMS come varianti preoccupanti, certamente sono rilevate”. Tra queste, è stato aggiunto poi, rientra sicuramente l’attuale variante Omicron ma anche la Delta. 

Ma dove sono prodotti questi test e che tipo di verifiche vengono fatte?

Quasi la totalità dei test in commercio sono prodotti in Cina, anche Polonord Adeste SRL produce in Cina, dove ci sono degli ispettori dell’azienda che verificano che il prodotto sia conforme. Successivamente, vengono fatti dei controlli aggiuntivi in Italia.

Polonord Adeste SRL, per esempio, attualmente collabora con il centro Pievesestina, diretto dal Professor Sambri, dove vengono eseguiti dei test per essere maggiormente sicuri, una volta arrivati in Italia.

E se ci sono dei lotti fallati? O qualcosa durante la produzione e distribuzione va storto?

“È importante che in tutta la filiera ci sia un sistema di distribuzione di qualità, per altro previsto dalla legge, la ISO13485, che è una normativa europea valida sempre. Un’azienda che importa, produce e distribuisce – afferma Leoni – deve avere un sistema di qualità che permette di tracciare tutta la filiera“.

“Da noi, fortunatamente, di falle non ce ne sono state – aggiunge poi lo stesso – Ma se c’è una falla nel sistema abbiamo una gestione di qualità, per cui se ci arrivano delle segnalazioni di non conformità o di un problema sfuggito al controllo interno, parte la procedura di verifica e nel caso estremo il ritiro del prodotto dal mercato. Questo è quello che prevede la legge”.

Come scegliere un buon test rapido: attenzione ai codici

Con l’enorme quantità di test che ci sono ormai in giro, come fa una persona a scegliere quello giusto? Soprattutto, come fa a sapere che quello che sta comprando ha superato tutti i controlli di qualità?

“Prima di tutto, un test in autodiagnosi deve avere un CE seguito dai quattro numeri dell’ente notificato – chiosa Leoni – qualcosa che gli italiani hanno imparato a conoscere con l’acquisto delle mascherine FFP2 (qui l’elenco di quelle certificate, ndr). Quindi, se compriamo un test che riporta un CE ma manca dei quattro numeri c’è qualcosa che non va. Quel test non è un test in autodiagnosi quindi non può essere utilizzato da una persona non professionalmente abilitata”.

Attenzione a comprare un test pensato appositamente per l’autodiagnosi. Perché succede che invece vengano venduti e utilizzati da persone che non hanno le qualifiche professionali test che non sono per l’autodiagnosi. Sia chiaro, non sto dicendo che questi abbiano dei problemi, semplicemente il test per l’autodiagnosi è studiato apposta per essere fatto da una persona che non ha le competenze specifiche. La problematica principale non è imbattersi in un test che non funzioni. Il problema principale che il consumatore deve porsi è: sono in grado? Ho studiato bene tutte le istruzioni? Le sto seguendo in maniera corretta?”.

Sottovalutare questi fattori, negli ultimi mesi, ha generato il problema dei falsi negativi. Non sono i test che non funzionano, ma le persone che spesso non li usano correttamente. Perché se vogliamo un risultato autentico, dobbiamo seguire le istruzioni in maniera precisa. Il che vuol dire non mettere alla prova i tamponi con “stress test” che implicano passaggi sotto l’acqua corrente o altri esperimenti assurdi che, soprattutto negli ultimi tempi, circolano sempre di più sui social.