Le tecnologie spaziali nella lotta al Covid-19: intervista a Giorgio Saccoccia, presidente ASI

Il presidente dell'Agenzia Spaziale Italiana parla del bando “Space in response to COVID19 outbreak” e commenta l'imminente lancio di Vega.

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Andrea Bertolucci

Giornalista esperto di Lifestyle

Classe 1990, Andrea Bertolucci è un giornalista e autore specializzato in cultura giovanile, lifestyle, società ed economia dell’intrattenimento. La sua attività professionale lo ha avvicinato negli anni ad alcune tra le principali redazioni televisive e web nazionali. Andrea è considerato uno dei maggiori esperti di cultura Trap nel nostro Paese.

Il momento storico che stiamo affrontando ha obbligato molte realtà e aziende a ridefinire i propri obiettivi e attività, oltre che a mettere in campo la propria forza per fronteggiare l’emergenza. In questo periodo vi abbiamo raccontato quello che sta facendo – per esempio – TIM con l’operazione Risorgimento Digitale oppure Ford, con un programma di Donation Match. E ancora Land Rover, Banca Intesa, Kia Motors e molte altre.

Anche ASI (Agenzia Spaziale Italiana), un ente governativo creato nel 1988 con il compito di predisporre e attuare le politica aerospaziali del nostro Paese, ha previsto un finanziamento di idee e progetti basati su tecnologie e asset spaziali, per contrastare l’emergenza Covid-19. Il bando era parte integrante della Call to Action “Innova per l’Italia“, un’iniziativa congiunta del Ministero per l’Innovazione Tecnologica e la Digitalizzazione, del Ministero dello Sviluppo Economico e del Ministero dell’Università e della Ricerca, insieme a Invitalia e a sostegno della struttura del Commissario straordinario per l’emergenza Coronavirus Domenico Arcuri.

Ci siamo fatti raccontare di questo bando e dell’imminente lancio di  Vega direttamente da Giorgio Saccoccia, Presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana.

Parliamo del bando “Space in response to COVID19 outbreak”: la va di fare un bilancio?
Questo bando è stato composto da varie fasi: una prima nella quale è stata richiesta semplicemente l’idea di ciò che gli operatori intendevano proporre. Già a quel punto, ci siamo resi conto di una risposta ben oltre le aspettative, fatto che ci ha motivato a chiedere ad ESA di dedicare una parte di questi finanziamenti ad applicazioni di tecnologie spaziali nell’ambito della salute e dell’educazione a distanza, al fine di contrastare la pandemia, con una particolare attenzione al caso italiano. La seconda fase – che si è appena conclusa – prevedeva invece una proposta più dettagliata di quelle idee che erano state pre-selezionate. Sulla base di queste proposte di dettaglio, verranno poi assegnati i contratti. Su una ventina circa è stata già effettuata una valutazione, quindi a brevissimo partirà la fase di negoziazione e di assegnazione del contratto. Attorno alla metà di luglio prevediamo quindi che partiranno tutte le attività di finanziamento: sono tempi molto brevi e ciò significa un buon aiuto alle nostre imprese.

Ha parlato di risposta ben oltre le aspettative: chi ha raccolto questa sfida?
Trattandosi di un finanziamento da parte di ESA, potevano accedere enti di tutta Europa. La risposta italiana – in particolare – è stata molto oltre le aspettative: in poco tempo abbiamo ricevuto centotrenta risposte, di cui un centinaio italiane. Visto il momento particolare e il numero di richieste, abbiamo deciso addirittura di quadruplicare quello che era stato lo stanziamento iniziale, portandolo a dieci milioni di euro. Anche ESA – nel valutare le idee iniziali – aveva compreso che una buona parte di queste fossero di alto valore.

Cosa si è visto d’interessante?
Come le dicevo, il bando era dedicato ad applicazioni satellitari a distanza in ambito sanitario e in quello dell’istruzione. In particolare, sul tema della salute si è guardato ad aspetti quali l’assistenza sociale, il monitoraggio e la sicurezza, la telemedicina e il supporto alle attività dei medici. É su questo che si sono concentrate maggiormente le idee e ne sono venute fuori proposte molto interessanti. Per esempio l’utilizzo di dati satellitari combinati con sensori a terra per studiare la diffusione del virus, oppure l’uso di robot miniaturizzati a guida autonoma per consegnare merci, riducendo al massimo i contatti. E ancora, mezzi quali i droni equipaggiati con il meglio della tecnologia di comunicazione e localizzazione satellitare, l’utilizzo di realtà aumentata per facilitare gli operatori sanitari o la telemedicina con assistenza di sensori indossabili e trasportabili. In generale, tutte idee che possono portare ad un’azione efficace di intervento o di prevenzione. Per quanto riguarda l’altro tema – quello dell’istruzione – sono venute fuori idee legate all’apprendimento a distanza, che suggerivano anche l’utilizzo di laboratori a bordo della stazione spaziale internazionale e servizi – più in generale – di telecomunicazione ibrida, terrestre e satellitare, per sopperire in alcune aree al digital divide.

Tempo fa, avevamo parlato con Tommaso Ghidini di come spesso le tecnologie e i materiali che vengono comunemente utilizzati nello spazio, possano risolvere problemi decisamente terreni. In questo senso, che tipo di soluzioni lo spazio ci può offrire?
Il bello delle attività spaziali è che da sempre stimolano l’innovazione, perché spesso è necessario trovare delle soluzioni estreme. Anche solo lanciare un satellite ha sempre implicato il fatto che non si potessero fare revisioni o manutenzioni a posteriori, ecco quindi la necessità nell’utilizzo di tecnologie estremamente affidabili e resilienti. Queste soluzioni innovative sono state poi trasferite anche nella vita quotidiana, attraverso applicazioni di tipo diverso. Per esempio – visto che abbiamo citato Ghidini – un sacco di materiali utilizzati nella vita di tutti i giorni sulla terra, hanno in realtà una loro origine nel settore spaziale o aerospaziale. Ciò non si limita solo alla struttura, ma anche a tutto ciò che riguarda il supporto alla vita degli astronauti in condizioni estreme: molte di queste tecnologie sono applicabili oggi sui pazienti. Potrei fare un elenco infinito di oggetti che sono nati per lo spazio e che sono divenuti oggi parte della nostra vita, laddove l’economia di scala ovviamente lo ha permesso e ne ha ridotto i costi.

Lo spazio è quindi un apripista e un’ispirazione per la risoluzione di problemi terreni.
Lo è e lo sarà ancora di più adesso che si parla tanto di intelligenza artificiale e quindi di una gestione autonoma della macchina, secondo esigenze che cambiano continuamente.

In conclusione non posso che chiederle un commento sul lancio di Vega, visto che siamo ormai agli sgoccioli.
Vega è il lanciatore di maggior successo, avendo collezionato già 14 lanci fino allo scorso anno. Poi c’è stata la failure che tutti conosciamo, che dal punto di vista statistico rientra perfettamente nella normalità: non dimentichiamoci che lo spazio non è qualcosa di semplice e banale. Eravamo pronti poi ad avere il suo ritorno in volo subito prima del lockdown, che ha però determinato la chiusura del centro spaziale di Kourou in Guyana a marzo. Questo lancio – in particolare – ha qualcosa di speciale perché oltre ad essere l’atteso rientro in volo di Vega, sancisce la prima volta che viene inaugurato un sistema di distribuzione di tantissimi mini-satelliti, oltre cinquanta, alcuni dei quali sviluppati anche dall’Italia.

Una sorta – quindi – di “car sharing” dei satelliti: questa tecnologia verrà replicata anche in futuro?
Sì, il sistema si chiama propriamente rideshare e verrà replicato in serie. Non è questo solo un esperimento, ma un progetto che tende ad aumentare la flessibilità del prodotto Vega e in futuro farà lo stesso con altre sue evoluzioni. C’è una richiesta sempre maggiore nel lancio di piccoli e micro-satelliti e Vega si è perfettamente adeguato a questa esigenza di mercato.